BERGAMO – Quando un maschio egiziano va all'estero, deve comunicare con precisione la data del rientro. Come se non bastasse, deve avere una persona o un'entità che garantisca per lui. Gli atleti sono tutelati dalle federazioni sportive, ma la burocrazia è un incubo. L'iter da seguire fa girare la testa. Per un professionista della racchetta, in giro anche 35-40 settimane all'anno, può essere un incubo. Per farcela ci vogliono qualità interiori importanti. Sta dimostrando di averle Mohamed Safwat, miglior racchetta egiziana ormai da qualche anno. Un ragazzo intelligente, già marito e padre di un bambino (Selim, che ha appena compiuto quattro anni). Numero 226 ATP, è stato il primo a raggiungere il secondo turno al Trofeo Perrel-Faip (64.000€, Play-It) con una laboriosa vittoria sul francese Benjamin Bonzi. Un 7-5 3-6 6-2 maturato in oltre due ore, prima vittoria in tre partecipazioni a Bergamo. “Quando ho vinto il primo set ho tirato un sospiro di sollievo: finalmente ho vinto un set dopo averne persi quattro!”. Parlare con Safwat è interessante. Ha lo sguardo attento anche se è seduto su una panchina di legno, ancora sudato e con un asciugamano attorno al collo. Riesce a essere interessante anche su argomenti semplici come la descrizione di una partita: “All'inizio non mi trovavo bene. Non funzionava il dritto, che pure è la mia arma migliore. È una brutta sensazione quando il tuo colpo principale non è incisivo come vorresti, ma ho mantenuto la mente attenta per trovare una soluzione”. L'ha trovata, brekkando il suo avversario sul 5-5. Nel secondo set Bonzi ha cambiato tattica, adottando parecchi serve and volley. “E giocava molto bene la volèe. Io ho cercato di essere aggressivo con il passante, ma ho commesso due doppi falli nel game in cui mi ha brekkato. Nel terzo mi ha brekkato ancora una volta, ma sono rimasto calmo e tranquillo. Ho capito che dovevo fargli giocare più volèe, perché avrebbe anche potuto sbagliarle. Il momento chiave è stato il settimo game: ero avanti 4-2 e 40-15 lui non si è arreso, ha conquistato una palla break ma ho saputo ammazzare la partita. Come spesso accade, la chiave è stata giocare meglio nei momenti importanti”.
PERMESSI DI VIAGGIO
Safwat non raggiungerà i livelli di Ismael El Shafei, miglior tennista egiziano di sempre (n.34 al mondo e quartofinalista a Wimbledon nel 1974) e per adesso è anche alle spalle di Tamer El Sawy, ultimo rappresentante di un certo livello. Però è un punto di riferimento di una realtà piccola ma in espansione.“In Egitto il tennis non è uno sport molto importante. Siamo una piccola comunità, sia pure in crescita. Non è certo come in Italia, dove ci sono tanti buoni giocatori”. E poi c'è il problema dei permessi di viaggio, quel “travel permit” che gli ha creato tanti problemi, soprattutto a inizio carriera. “Adesso va meglio – dice Safwat – sono più collaborativi rispetto al passato e mi offrono dei visti particolarmente lunghi, così non devo tornare troppo spesso. Per me è solo un problema di programmazione: devo pianificare tutto con grande anticipo, non è come i giocatori europei: per esempio, adesso devo già programmare aprile e maggio. Però faccio del mio meglio”. Il 2018 è una stagione importante per Mohamed: un paio di mesi fa ha interrotto la collaborazione con lo storico coach Martin Spottl. “O meglio, lavoro ancora con lui, però faccio più allenamenti e viaggi con Gilbert Schaller. Con Spottl ho ottenuto il best ranking, per me è più di un coach. È come un fratello maggiore, mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Grazie a lui sono più forte sia fisicamente che mentalmente. Abbiamo vissuto tanti alti e bassi, momenti difficili, frustrazione… ma lui era sempre al mio fianco e mi ha spinto ad andare avanti e di tenere duro. Gli sarò sempre grato”. A ben vedere, Safwat non ha neanche cambiato città. Continua ad allenarsi a Vienna, ma con Schaller. “Avevo bisogno di un extra, un nuovo punto di vista: come giocare, come pensare, individuare le debolezze degli avversari. Schaller è molto bravo in questo, era molto intelligente in campo. In passato avevamo collaborato, mi aveva seguito per qualche settimana ma a dicembre abbiamo iniziato ufficialmente. Devo dire che sono cambiate molte cose nel mio gioco e nella mia mente. Oggi il dritto non funzionava, ma grazie ai suoi suggerimenti ho trovato la chiave per uscirne”.
NUOVE PROSPETTIVE
Il nuovo approccio di Safwat è frutto di una crescita interiore che non abbraccia solo il tennis, ma il modo di interpretare la vita. “Ho smesso di pormi obiettivi di classifica. Ovviamente vorrei salire il più in alto possibile, ma voglio concentrarmi sulle cose che posso controllare: servizio, dritto… la classifica non la puoi controllare. Nei primi mesi quest'anno voglio migliorare la percentuale di prime palle e rendere più regolare il dritto. Riuscendoci, i risultati verranno di conseguenza”. Per farcela, si è affidato a una psicologa con cui lavora da due anni. “Mi ha fatto cambiare ogni prospettiva, non solo come giocatore ma anche come persona. Vado in campo e mi diverto, è inutile sentirsi frustrati anche se a volte può accadere: per esempio, la scorsa settimana ho perso nei quarti a Chennai. Potevo vincere, ero avanti di un break… ma che senso ha prenderla male? I punti, i ranking… tutti vogliono migliorare, ma per la mia esperienza non funziona. Meglio avere obiettivi diversi. E posso dire che gli ultimi due mesi sono stati i migliori della mia vita”. Come detto, quella del 2018 è la terza apparizione di Safwat a Bergamo. E pensare che aveva rischiato di non venire…“L'anno scorso il campo era un po' troppo veloce e avevo pensato di lasciar perdere, poi quando ho visto che era cambiata la superficie ho deciso di provarci. Sono contento di questa scelta, credo sia positiva anche per il pubblico. Non penso sia divertente vedere soltanto servizio, risposta e poco altro. Adesso si palleggia, ci sono scambi spettacolari, credo che oggi si siano divertiti”. Safwat è consapevole di quanto sia difficile organizzare un torneo Challenger con i campi dislocati in varie sedi. “È difficile per noi ma anche per gli organizzatori: credo che i giocatori debbano impegnarsi al meglio per cooperare. Tutti fanno del loro meglio, tutto si può migliorare, ma anche nei tornei più grandi e prestigiosi ci sono margini di miglioramento. A parte qualche auto in più per la transportation, non penso che a Bergamo ci sia molto da fare”.