Svezia sì, Danimarca sì, Finlandia sì, Norvegia no. O forse non ancora. La rivincita tennistica ai danni degli altri paesi nordici è nella racchetta del 17enne Casper Ruud, numero 8 del ranking juniores. I geni promettono bene: è il figlio di Christian, top 40 negli anni ’90."La Svezia ha avuto alcuni fra i migliori giocatori della storia, la Danimarca ha Caroline Wozniacki, e qualche raggio di sole è arrivato pure in Finlandia. Ma in Norvegia no. Hanno la nuvola di Fantozzi: solo pioggia”. È un passaggio del nostro reportage dal Gruppo 3 della Coppa Davis, l’inferno della competizione tennistica a squadre più famosa del mondo, che a luglio ha fatto tappa a San Marino. Con la complicità del cipriota Marcos Baghdatis, che ha deciso di non scendere in campo nel match decisivo, i norvegesi si sono guadagnati il passaggio del turno, aggiungendo un piccolo segnale positivo ai tanti altri raccolti qua e là. I principali si chiamano Viktor Durasovic, diciottenne numero 452 del mondo, e soprattutto Casper Ruud, di un anno più giovane (ne compirà 17 il prossimo 22 dicembre) e appena entrato fra i primi 10 del ranking mondiale under 18. Un risultato ottenuto grazie al titolo nel prestigioso torneo giapponese di Osaka (uno dei nove tornei di grado A del circuito insieme ai quattro Slam, più Bonfiglio, Orange Bowl e due appuntamenti sudamericani), che in Norvegia ha riscosso grande attenzione mediatica. Ne hanno parlato tutti i quotidiani sportivi e i siti web, che in mezzo a calcio e sport invernali hanno ritagliato uno spazio per il loro ‘predestinato’. Già, perché per chi si stesse domandando se questo Ruud sia parente di Christian, top 40 negli anni ’90 con un ottavo all’Australian Open nel palmarès, la risposta è sì: sono padre e figlio. Christian, classe 1972, è stato il miglior tennista norvegese di tutti i tempi, ma il figlio vuole fare ancora meglio, per dimostrare che si può arrivare nel tennis che conta anche partendo da un paese senza grande tradizione e privo di chissà quali strutture.
UN PADRE CHE SA FARSI DA PARTE
Il quadro del tennis norvegese ce lo fece proprio il padre a San Marino, con un po’ di amarezza. “Da noi la gran parte della gente scia o gioca a calcio, è difficile trovare un buon numero di ragazzi da cui provare a tirare fuori un campione. Serve anche maggiore formazione dei coach, così come delle strutture migliori. Ci stiamo provando, qualcosa si muove. Abbiamo qualche ragazza interessante, e anche negli uomini va meglio degli anni scorsi. Durasovic è fra i primi 500 del mondo a 18 anni, mentre mio figlio ha raggiunto la semifinale in doppio a Wimbledon juniores. Speriamo che insieme riescano a fare qualcosa di importante”. Le sue previsione stanno trovando conferma nei fatti, ovvero i grandi risultati del figlio, che da agosto in avanti ha raccolto anche i primi punti ATP, arrivando a ridosso dei primi 1000 della classifica dei grandi. Il padre l’ha seguito direttamente fino a un paio di anni fa, prima di farsi da parte. Invece che porsi come leader in virtù dei propri trascorsi, ha preferito spedirlo in Spagna per affidarlo alle cure del coach Pedro Rico, cresciuto insieme al coetaneo Juan Carlos Ferrero ma poi saggio nel dedicarsi all’attività di allenatore già a 21 anni, quando ha capito che col professionismo non si sarebbe mai pagato da vivere. Così ha trovato lavoro in un’accademia ad Alicante e si è fatto le ossa seguendo Roberto Bautista-Agut, mentre ora si dedica al 100% a Ruud. Il padre gli dà una mano solamente con la programmazione, oltre a seguirlo quando è a casa. E appoggia tutte le scelte di Rico, come quella di dedicarsi principalmente all’attività juniores, quando lui di tornei giovanili ne giocò appena una manciata. “Ma da allora i tempi sono cambiati, si arriva in alto più tardi. Se guardiamo a un giocatore come Andy Murray, ha percorso più o meno la strada che sta percorrendo Casper”.
TOP TEN CON UN ANNO D’ANTICIPO
Vero, ma provare a seguire le orme di un campione è un conto, raggiungerlo è ben altra cosa. “Siamo consapevoli delle difficoltà, ci sono passato io stesso. Per arrivare fra i primi 10-20 del mondo ci vogliono un sacco di qualità. Serve pazienza, grandi motivazioni, bisogna stare lontano da casa tante settimane e buttare sempre la palla dall’altra parte della rete, per tanti tanti anni. Ma noi ci vogliamo provare”. L’incoraggiamento arriva dalla Federazione e da qualche sponsor locale, che invece della strada facile, che da quelle parti significa sport invernali, non ha smesso di credere nel tennis. “Non ci poniamo chissà quali obiettivi – precisa Christian – e non diremo mai di essere qui per diventare i migliori del mondo. Siamo qui per metterci tanto impegno ogni giorno, sperando che ciò che arrivi sia soddisfacente”. Per quest’anno non possono lamentarsi. Pensavano che Casper non fosse ancora pronto per fare grandi cose fra gli junior, perché compete con avversari fino a (quasi) due anni più grandi, invece il ragazzo ha bruciato le tappe col suo diritto-bomba, fino a diventare il più giovane fra i top ten. L’obiettivo per fine 2016 è arrivato con un anno d’anticipo, segno che la stoffa è quella giusta. Ora bisogna coltivarla giorno dopo giorno, in campo ma anche sui banchi di scuola, a Oslo. “Ci abbiamo sempre tenuto molto, è importante che Casper si prepari anche per un eventuale futuro lontano dal tennis”. L’augurio, tuttavia, è che non ne abbia bisogno e riesca a togliersi la pesante etichetta di ‘figlio di…’, per andare a migliorare i record del tennis norvegese. Li ha stabiliti papà, il primo a desiderare il sorpasso.
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