In una intervista a L’Equipe i due tennisti ucraini raccontano dei mesi passati in guerra, in condizioni di vita disumane. E al tennis rimproverano di non aver preso abbastanza posizione. Dimenticando però i casi di Rublev e Kasatkina

Dolgopolov: «la maggior parte dei russi sostiene Putin»

Alex Dolgopolov e Sergiy Stakhovsky tornano alla guerra. Magari non in prima linea, ma comunque a contatto con le atrocità di un conflitto che dura ormai da quasi un anno, e che oltre a distruggere vite e destini ha diviso anche il mondo dello sport. «Molte organizzazioni scelgono i dollari stando in disparte, facendo finta che i russi non abbiano nulla a che fare con Putin e non sanzionando nemmeno coloro che sostengono la guerra», ha raccontato , lamenta Dolgopolov a Quentin Moynet sulle colonne de L’Equipe. La storia giudicherà le loro azioni in seguito. La verità è che la maggior parte dei russi sostiene Putin e la sua guerra».

Non la pensa troppo diversamente Sergiy Stakhovsky. Un razzo russo che ha colpito il carro armato dove viaggiava, lo scorso ottobre, in Donbass. A dicembre invece si è ritrovato nel retro di un furgone, il fucile automatico puntato contro un gruppo di soldati russi presi prigionieri dei quali trattava il rilascio («Ventisette bastardi per 64 soldati ucraini che, dopo sessanta giorni, hanno potuto finalmente fumare e rilassarsi»). E’ il bilancio – provvisorio, incompleto – della seconda sua carriera, quella da soldato. L’ex 31 del mondo poco più di un anno fa aveva raccontato in esclusiva a La Stampa della sua decisione di lasciare la famiglia e la vita civile in Ungheria per tornare a combattere nella sua Kiev, oggi in una intervista a Quentin Moynet de L’Equipe ha parlato di quanto gli è capitato negli ultimi mesi. «Vedere i cadaveri per le strade non fa più impressione – spiega ‘Stakho’, che in novembre abbiamo visto anche ospite a Torino delle Atp Finals, rigorosamente vestito in divisa militare – E’ la forza dell’abitudine. L’uomo sa adattarsi a qualsiasi cosa, così noi ci adattiamo ai bombardamenti, alla paura, alla morte».

Stakhovsky durissimo: «meglio clown che puttana al soldo dei russi»

A condizioni di vita inumane, a Bakhmut e dintorni, come ha descritto Dolgopolov, arruolatosi volontario come Stakhovsky. A Kherson gli è capitato di dormire «in messo ai topi, con un buco per terra come toilette e senza acqua calda». Sfamato da una «vecchia signora, una delle poche non scappate davanti all’avanzata russa», che gli offriva dell’uva.

Entrambi sono convinti che il tennis non abbia fatto, non stia facendo il necessario, cioè a loro parere bandire tutti i tennisti russi dal circuito (cosa che è avvenuta a Wimbledon e in generale in Inghilterra nel 2023).

Atleti russi che hanno preso le distanze dalla guerra, anche a rischio di rappresaglie contro le loro famiglie, non sono mancati, da Andrey Rublev a Daria Kasatkina. Stakhovsky si rivolge però anche a ex colleghi di altre nazioni, come i serbi Janko Tipsarevic e Viktor Troicki. che hanno partecipato, insieme ad altri (Fucsovics, Martinez, Zapata Miralles, Bodnar, Djere), a una esibizione a San Pietroburgo. «Bisogna credere che il denaro possa comprare tutto. Godetevi i soldi […] preferisco essere un ‘pagliaccio di Instagram’ che difende il mio Paese piuttosto che una puttana russa al soldo».