A 50 anni dalla finale a Wimbledon persa contro Connors, all’età di 39 anni, Ken Rosewall commenta i campioni di oggi, ci parla delle differenze rispetto al passato e sul confronto Sinner Pietrangeli dice che…

foto Art Seitz

Ken Rosewall è uno dei più grandi tennisti della storia, e una leggenda incompiuta di Wimbledon. Quest’anno sono giusto 50 anni da quando ‘Muscle’, a 39 anni, perdendo contro Jimmy Connors diventò il più anziano finalista di Wimbledon (e di uno Slam in generale), il torneo che in finale gli era già sfuggito nel 1954 contro Drobny, nel 1956 contro Hoad e nel 1970 contro Newcombe. Fra la seconda e la terza finale però vanno contati anche gli undici anni di ‘bando’ in quanto professionista. 

«Tutti i bambini sognano di vincere Wimbledon», dice Rosewall, lucidissimo 89enne che a Londra ha accettato di rispondere a qualche domanda per Il Tennis Italiano. «Io in 11 partecipazioni ho fatto finali e due semifinali, ci sono andato vicino. E di quell’ultima finale (persa con Connors, ndr) ho bei ricordi per i momenti che quell’anno passai con la mia famiglia».

L’erba da allora è molto cambiata?

 «Non ci gioco da un bel po’, qui a Wimbledon, e onestamente non so molto di come è tagliata oggi…  Ma penso che il tennis su erba sia sempre molto interessante, più interessante che su altre superfici, anche se a causa dei rimbalzi a volte hai bisogno di un po’ di fortuna. Piuttosto sono cambiati i materiali…».

Le racchette, le corde…

«E anche le scarpe. L’erba è spesso scivolosa nei primi giorni del torneo oppure un po’ dietro la linea di fondo. Ma oggi i giocatori hanno a disposizione scarpe specifiche per l’erba, ai miei tempi usavamo le stesse su tutte le superfici. Io avevo le Dunlop Volleys che ho usato per tutta la mia carriera sin dai tempi junior, fino a quando mi hanno dato qualche soldo per utilizzarne altre negli States: e la gente era sorpresa di vedermi con un marchio nuovo a 40 anni!».

Djokovic può vincere l’ottavo Wimbledon a 37 anni? In fondo non le ruberebbe il record di longevità…

«Djokovic è uno che sa rispondere in maniera diversa, e sa sempre come far partire lo scambio, mentre il difetto di tanti, compresi gli australiani, è di pensare a come chiudere il punto ma di concentrarsi poco su come rimettere in gioco la palla».

Sinner le piace?

«Sono veramente impressionato da Jannik, perché è un vero atleta, ed è forte in ogni parte del suo tennis. Si muove molto bene per essere così alto. Sicuramente ciò è dovuto agli sport che ha fatto in precedenza, ma è perfetto per il tennis».

Sinner contro Alcaraz, il duello che è mancato a Wimbledon,  sarà la rivalità del futuro? Come lei e Laver, Borg e McEnroe, Federer e Nadal?

«La direzione è quella. Negli ultimi due anni il tennis di Carlos è migliorato molto, ha vinto Wimbledon e gli Us Open e questo dimostra l’adattabilità del suo tennis, perché il cemento americano è moto diverso dall’erba di Londra. Ha un ottimo carattere ed è davvero un piacere vederlo».

Dicono che oggi conti tanto il fattore mentale… 

«Sicuramente più che ai miei tempi. Allora non c’era nessuno che si prendeva cura di te, dovevi arrangiarti, oggi tutti hanno un  team. Io non ci ho mai badato troppo. Cercavi di dare il meglio, se perdevi ti impegnavi per migliorare la volta dopo. Tutto qua».

Il suo vecchio avversario Nicola Pietrangeli sostiene di essere lui il miglior tennista italiano di sempre. E’ d’accordo?

«Nicola è stato un grande giocatore. Ha vinto due volte Parigi perché la terra era la sua superficie preferita, ma era bravo anche sulle altre. Paragonarlo a Sinner è come paragonare Rod Laver a Roger Federer, non si può. I tennisti di oggi beneficiano di materiali migliori, e qualcuno può apprezzarli di più, ma c’è anche chi preferisce il vecchio stile».

Djokovic vuole anche gli Slam al meglio dei tre set: ha ragione?

«Io resto per il formato lungo. Se i match durano tanto oggi è perché ci sono tante interruzioni, le pause per il fisioterapista, per la toilette, che ai miei tempi non esistevano».

Il suo rovescio a una mano resta leggendario. 

«Oggi ce ne sono di belli, ma non è più un colpo molto diffuso. Si usano prese estreme, con molto top spin, la palla schizza in alto quindi è difficile usare una mano sola: ma guardi che già prima della seconda guerra mondiale c’era chi giocava bimane».

Che ricordi ha dell’Italia?

«Ho giocato solo una volta al Foro Italico, ma spesso venivo in Italia con la troupe dei professionisti quando a promuoverla era Carlo Della Vida, all’aperto d’estate e indoor d’inverno».

Chi è il nuovo Rosewall?

«Nessuno! Perché io sono più basso di quasi tutti i tennisti e anche di parecchie tenniste di oggi. E colpiscono tutti più forte, anche grazie alle nuove racchette».