Come l’Achab del romanzo, Daniil ha inseguito la sua balena, che era… rossa. Ma a differenza dell’anti eroe di Melville, l’ha domata, vendicando con coraggio e straordinarie qualità di adattamento il danese Rune che lo aveva beffato a Monte Carlo
Fosse nato nell’800, Herman Melville ne avrebbe fatto l’Achab dal dente avvelenato che giura vendetta alla balena bianca. Scuro in volto e barba incolta, Daniil Medvedev è sceso sul centrale del Foro con la stessa espressione del famoso capitano, condividendo con esso affinità elettive che hanno nel coraggio la qualità migliore. Tradotta in voglia di rivalsa, la vendetta mirava a riscattare la sconfitta subita per mano di Holger Rune in quel di Monte Carlo meno di un mese fa. Se l’era legata al dito, e a Roma ha cambiato musica. Il giovane danese andava domato coprendo gli angoli delle sue bordate per montargli in groppa alla prima occasione possibile. Con il suo rovescio ridotto all’osso, il russo ha saputo giocare d’incontro sfruttando spesso la forza del giovane ventenne. Quindi, con l’aggiunta del dritto, é andato alla ricerca dei soliti angoli maledetti difficilmente raggiungibili anche per un campione unto di gioventù. Non contento, il marcantonio di Mosca ha chiesto di più al servizio, mettendo a segno cinque ace e percentuali migliori rispetto alla finale nel Principato monegasco. Il risultato è quello che illustrano le cronache e i tete-à-tete salgono a uno pari nel conteggio totale. Chiudo dicendo che Medvedev non è il brutto anatroccolo che molti descrivono, ma è un campione con qualità adattative difficilmente rintracciabili in altri tennisti. Quanto a visione di gioco, al russo bene calzano le parole che Melville fa dire al suo furioso capitano: «il coraggio più utile è quello che nasce dal giusto apprezzamento del pericolo».