dal nostro inviato a Roma Gabriele Riva – foto Ettore Ferreri La cronaca nuda e cruda e il quattrosei-seitre-seitre non bastano a raccontare una finale che è andata a finire un po’ come tutti, da un lato, si aspettavano e dall’altro si auguravano. Novak Djokovic, numero 3 del mondo, già vincitore di uno slam e dal futuro sul tetto del mondo, ha battuto Stanislas Wawrinka, la sorpresa più luminosa in una settimana che di sorprese in assoluto ne ha conosciute tante, fin troppe (vedi la sconfitta di Nadal, vedi quella di Federer). Per vincere Djoko ci ha impiegato tre set, dallo scorso anno infatti tutte le finali dei Masters-Series si giocano al meglio delle tre partite e non più delle cinque. Tre set di un buon livello, non eccelso. Tre set che hanno avuto sempre un padrone preciso: lo svizzero in quello d’apertura, il serbo nei due restanti. Wawrinka ha cominciato col botto, anzi con le botte, quelle sparate da un rovescio a tutto braccio, fluido, elegante, ma soprattutto efficace. Nel secondo la musica è cambiata, un po’ perché il buon Stanislao ha accorciato di qualche centimetro la profondità dei colpi, un po’ perché Nole ha cominciato a macinare e a ricamare qualche volée degna di nota. “E’ vero il gioco a rete mi ha dato una grossa mano – ha detto il serbo – in special modo nel secondo e nel terzo set quando in qualche situazione delicata sono uscito alla grande proprio attaccando”. E in effetti qualche bel ricamo mostrato nel primo set (strettini col diritto, drop-shot col rovescio) si è dimostrato pressoché inutile di fronte allo svizzero. In avvio di secondo set subito due palle break, subito strappo, subito inversione di tendenza. Permanente. “Sono contento di aver vinto – ha proseguito davanti ai giornalisti – perché adesso so che posso vincere anche sul rosso, superficie su cui il mio gioco continua a migliorare”. A casa degli sconfitti invece un pizzico di delusione c’è; “Mi spiace – ha detto Wawrinka – perché so che avrei potuto fare molto di più, anche se Novak ha trovato sempre il tempo giusto sullo scambio e quindi si merita la vittoria”. Vittoria arrivata nel terzo set, che ancor prima di cominciare, sembrava segnato. Qualcuno paventava addirittura l’ipotesi “seizero” che però per fortuna è rimasta tale. L’edizione che ha visto segnare il record di affluenza al Foro già giovedì, che ha inaugurato e già salutato un centrale di passaggio (nel 2009 dovrebbe già essere pronto quello nuovo e modernissimo), che ha dato il benservito molto presto ai primi due giocatori del mondo, va dunque in archivio sotto la voce consacrazioni: quella di un campione che sta pure maturando e lasciando da parte la scorza di ragazzino. Volete una prova? Eccola, durante la premiazione, cui hanno partecipato anche Manolo Santana e Gabriela Sabatini, è stato invitato a esibirsi in una delle sue ormai storiche imitazioni, lui ha sorriso, ha fatto un cenno col capo e ha passato la mano. “So che alcuni ci restano male – avrebbe confessato poi, a freddo – non voglio che succeda. Io non lo faccio per prendere in giro nessuno, voglio solo portare un po’ di energia positiva ma capisco che qualcuno possa offendersi. E quindi non ne faccio più”. Imitazioni o non imitazioni, Nole resta un personaggio, uno che quando vince lo fa in modo mai banale, uno capace, una volta stretta la mano all’avversario, di raccogliere un pizzico di terra e cospargersela sulla maglietta, come un rito, come un’autoconsacrazione per l’appunto. Non è mania di protagonismo, è convinzione. Sta maturando, il ragazzo sta maturando… | ||
Roma 2008 – Finale non a sorpresa: Djokovic conquista Roma
dal nostro inviato a Roma Gabriele Riva
– foto Ettore FerreriLa
cronaca nuda e cruda e il quattrosei-seitre-seitre non bastano a raccontare
una finale che è andata a finire un po’ come tutti, da un lato, si
aspettavano
e dall’altro si auguravano