dal nostro inviato a Parigi Enzo Anderloni
foto Ray Giubilo
Tredici azzurri nel programma della giornata di uno Slam rappresentano un impegno che la stampa italiana non era pronta ad affrontare. Così la terza giornata di Parigi 2007, spesa ad umidificare l’anima sotto una pioggerellina continua ma incapace di inzuppare i campi, si è trasformata in una corsa da un campo all’altro, da una conferenza stampa all’altra. Una corsa spesso vana. Qualche match non è stato seguito da alcun giornalista nostrano; qualche giocatore è stato prima richiesto per l’intervista del dopo-match e poi dimenticato lì, nella saletta, come il bimbo biondino di “Mamma ho perso l’aereo”. Qualcun altro è stato letteralmente assalito dalla comitiva delle penne italiche e costretto a raccontare tutta la sua storia, dalle origini. Proviamo a mettere insieme, uno per volta, i pezzi del puzzle.
Il pezzo della Knapp – In termini di certezze in realtà la prima della giornata era arrivata da Karin Knapp che, mentre ancora tutti stavano collegando i computer, stilando un programma della giornata per cercare di vedere più partite italiane possibile, aveva rifilato un doppio 6-1 alla bielorussa Azarenka, acciaccatissima. Era stata troppo veloce, Karin. Il match non l’ha visto nessuno e nessuno ha fatto in tempo a chiederne l’intervista. Una vittoria e una vincitrice invisibili.
Il pezzo dei match veloci – A un certo punto toccava scegliere: in campo c’erano infatti contemporaneamente Bolelli, Garbin, Santangelo, Pennetta, Bracciali, Oprandi, Schiavone e Brianti. In attesa che entrasse anche Seppi per continuare la sua sfida con Carlos Moya. Che fare? Si parte per il campo 3 dove Simone Bolelli affronta Guillermo Canas e nel frattempo la scelta si semplifica. “Tina” Brianti purtroppo non regge il confronto con Sanja Mirza e esce in un attimo. Lo stesso accade a Daniele Bracciali contro David Ferrer. Flavia Pennetta subisce l’esperta australiana Pratt tanto quanto Romina Oprandi soffre la statunitense Meilen Tu. Restiamo aggrappati agli altri.
Il pezzo di Mara – Per fortuna c’è un altro match veloce, quello di Mara Santangelo con la tailandese Tanasugarn. Una brutta partita tra due giocatrici che non danno ritmo e giocano con poca rotazione appoggiandosi sulla palla avversaria. La differenza è che l’azzurra è molto più forte e quel suo tennis di tocco e anticipo riesce a impostarlo anche contro le prime in classifica. Così si è imposta in due set facili ma scontenta della sua partita. Vincere giocando male in realtà è un gran buon segno. Intanto si è conquistata un terzo turno contro la Henin (sul Centrale?) e la cosa non la spaventa, anzi. “Non entro perdente contro Justine. Spesso ho lottato con lei e voglio riuscire a migliorare a ogni confronto, fino ad arrivare a batterla”.
Il pezzo di Francesca – Non è stata veloce come Mara, ma ha vinto anche lei, giocando un filo meglio del giorno prima. E’ Francesca Schiavone sempre alla ricerca della versione migliore di se stessa, che comunque ha combattuto e portato a casa un match non facile con la svizzera Bacsinszky. Alla fine era stanca morta, a causa forse del rilassamento di chi, con due turni in archivio, ha onorato la sua testa di serie n.23 e si può giocare serenamente il confronto nei trentaduesimi con la n.10 Dinara Safina, la sorella di Marat. “Se riesco a fare il mio gioco so che posso metterla in difficoltà, giocarmi la partita” dice tranquilla. E oggi va bene così.
Il pezzo di Tathiana – Va molto bene anche alla Garbin che soffre all’inizio con la spagnola Llagostera Vives poi, sostenuta dal pubblico delle sue fans parigine (incredibile ma esistono anche quelle) riagguanta l’avversaria e mette a frutto la splendida condizione di quest’anno. Poi auspica di poter giocare il terzo turno con la francese Cohen-Aloro che sta affrontando la ceka Peschke. E viene esaudita. Lanciatissima.
Il pezzo di Bolelli – Si deve fermare invece Simone Bolelli. L’ostacolo Guillermo Canas è ancora troppo alto per lui. O perlomeno così lo vede il bolognese e finisce per sbatterci contro. Perde in tre set dal punteggio netto, ma chi ha seguito il primo a bordo campo come noi ha goduto di uno spettacolo eccellente. Una goduria vedere, dopo il Fognini di martedì contro Monaco, un altro italiano emergente dotato di gradi mezzi tennistici. Bolelli ha comandato il gioco, mettendo spesso a frutto il diritto devastante ma anche un rovescio veramente esplosivo. Dall’altra parte della rete Canas sembrava un supereroe della Marvel. Si materializzava improvvisamente in luoghi del campo molto distanti tra loro e ribatteva instancabile. Ma quante volte lo abbiamo visto alle corde, sdraiato sulle ginocchia dei giudici di linea e che bel rumore fa la palla che impatta le corde dell’azzurro emergente. Un suono forte, caldo e leggermente roco come la voce di un rocker. Anche per Simone vale il discorso fatto ieri per Fognini. Quando si renderà conto del livello che riesce a esprimere, saranno dolorissimi per chiunque. Ieri con Canas subiva chiaramente la fama di imperforabile dell’avversario, e ha finito per rischiare anche quando non ce n’era bisogno. Oggettivamente il tennis di qualità migliore in campo era il suo. Dalla parte di Canas, un’altra, superiore capacità di giocare la partita. Ma quella si costruisce con l’esperienza e la consapevolezza.
Il pezzo di Seppi – Consapevole di dover voltare pagina e ritrovare il sorriso è invece Andreas Seppi, che ha chiuso nel peggiore dei modi il suo confronto con Carlos Moya. Era partito male l’altro ieri poi pian piano aveva ricostruito le sue geometrie nel match fino a condurre 4-0 nel quarto set, in svantaggio due partite a una. Poi l’aveva fermato l’oscurità. E quella partita destinata al quinto e forse ormai inquadrata sui suoi schemi preferiti, è ricominciata da capo ieri poco dopo l’ora di pranzo. Chiuso il quarto set 6-2, Seppi si è bloccato. Ha ceduto il servizio in apertura, si è fatto ribrekkare sullo 0-2 infilando due doppi falli consecutivi. Poi non ha più messo una palla in campo, come nel peggiore incubo di ogni tennista. “In campo non riesco più a divertirmi” confessava poi sconsolato. E lo capiamo: quando le cose girano così… Ma deve anche pensare che, anche un Seppi “triste” come quello di questo periodo, ha giocato per quattro set alla pari con un certo Carlos Moya che non solo è stato numero uno, ma è fresco semifinalista al Masters Series di Amburgo. Dunque non proprio uno scarso. Riparti da questo pensiero Andreas. E ritrova il sorriso. Hai molto tempo per costruire la tua scalata alle classifiche…
Il pezzo di Starace – L’altra faccia della medaglia azzurra è un Potito Starace in grande condizione. Le ha provate tutte l’argentino Berlocq per distrarlo, per farlo innervosire. Ma in campo non ce n’era. A un certo punto dopo due smorzate millimetriche di “Poto” e persino un passante in back ha chiesto all’arbitro di controllare l’altezza della rete. Non poteva credere ai suoi occhi: tutto quello che toccava il campano si trasformava in oro. E’ finita in tre set e adesso Starace se la vedrà con Federer. Prendeteci pure in giro, dite che siamo troppo tifosi e poco razionali, ma fossimo in Roger staremmo molto ma molto attenti. Poto finora ha perso solo con gente al top: Nadal, Davydenko, Hewitt. Se il numero uno non sarà al 100%… dateci una quota.
Il pezzo di Volandri – Il pezzo di Volandri è fatto di tante mattonate tremende che Filippo ha tirato di là dalla rete al povero argentino Martin Vassallo Arguello. Povero perché giocava attaccato al match con le unghie e con i denti dovendo difendere gli ottavi raggiunti a Parigi lo scorso anno. E giocava da dio, spingendo su ogni palla, con l’ottimo rovescio che gli si conosceva ma anche con il diritto (che non gli si conosceva). Dall’altra parte però Filippo era quello della semifinale romana: un’intensità straordinaria, potentissimo di diritto e di rovescio, una molla esplosiva su ogni palla. I primi due set, di un livello altissimo, li ha portati a casa sul… filo. Appena Vassallo è passato da un livello “super lusso” a un più normale “quattro stelle”, il match è finito: 5-0 con due match point sprecati prima del 6-2 finale. Ora Volandri aspetta il vincente tra Ljubicic e Wawrinka.
Addii – Un caro saluto a Marat Safin, sotto in tre set con Janko “Tel’Dich’io” Tispsarevic, così chiamato da noi in redazione in onore del suo maestro d’arti mentali, l’amico e grande coach perugino Alberto Castellani. Il dominio del serbo sul campo Lenglen contro il fuoriclasse russo è stato la paradigmatica dimostrazione di come il tennis attuale richieda prerequisiti minimi per poter competere. Si dice che Safin abbia il talento di un Federer. Contro un Tipsarevic tosto e ben allenato, il Safin da discoteca di oggi sembrava un turista anche lui, come Verkerk ieri contro Bolelli.
Ci ao ciao anche a Richard Gasquet, che ha fatto piangere la Francia perdendo in tre partite sul centrale contro il belga Vliegen. Dispiace che il torneo perda un talento come il francesino. Però ai suoi connazionali sta proprio bene. Ieri avevano messo sul campo Chatrier, il centrale, Gasquet e Monfils e spedito sul Lenglen, il centralino, Henin e Federer. Va bene tutto…
Monumenti – Un monumento andrebbe eretto al raccattapalle… ignoto. I veri eroi di queste prime giornate di gara sono loro, questi ragazzini bravissimi, allenatissimi, velocissimi, costretti a stare in campo in maglietta e braghini sotto la pioggia con meno di 10 gradi mentre la gente in tribuna è vestita come a St.Moritz e i giudici di linea hanno pantaloni lunghi, maglia, felpa, giubbino e… sotto magari anche la Gibaud e le mutande di lana. Loro, no: là impettiti nell’angolo col braccio alzato e la pallina in mano. Congelati. Ragazzini francesi, con le palle: chapeau!
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