Einstein parlava di relatività, c’è chi invece trova più affine citare il libretto del Qohelet. Il tema su cui si discute però è sempre Roger Federer e, in termini tecnici, il suo timing. Da qui una originale riflessione sulla dimensione del tempo

C’è un tempo per ogni cosa

“C’è un tempo opportuno per ogni cosa sotto il cielo”. Anche chi non frequenta abitualmente la Bibbia conosce queste parole. Stanno nel piccolo libretto del Qohelet (3,1). Quello del “vanità di vanità”, per intenderci, che poi sarebbe “soffio di soffi”: ma non intraprendo questo sentiero, altrimenti non la finisco più. Fidatevi: è un capolavoro da leggere almeno una volta nella vita, perché aiuta a fare i conti con ciò che è veramente essenziale “sotto il sole”, espressione carissima all’autore. Nel nostro caso, continua: “un tempo per nascere e un tempo per morire”, e così via per 14 coppie di polarità che racchiudono in un giro d’orizzonte tutta l’esistenza umana…

“C’è un tempo per ogni cosa”. Mi sono ritrovato a pensarlo qualche giorno fa nel godermi l’oretta e mezzo del secondo turno degli Australian Open, dove Roger ha deliziato, sconfiggendo un ottimo Krajinovic per 6-1 6-4 6-1: solo per citare un dato statistico, il serbo ha servito con il 90% di prime nei primi due set, se vi pare poco… Ma perché questo collegamento? No, non vi infliggo un’altra tirata esistenziale sul tempo ormai vicino del ritiro di Federer. Tutto molto più semplice, almeno a vedersi…

Il colpo giusto per Federer esiste già due tempi prima

Una volta di più abbiamo assistito alla maestria con cui King Roger sa variare il suo tennis, scegliendo il tempo opportuno per ogni colpo sotto il cielo, anche quello indoor della Rod Laver Arena. Ha a disposizione tutti i colpi e la sua mano santa si diverte a mescolarli, giocando sull’effetto sorpresa. “Krajinovic si aspettava uno slice in diagonale e invece gli arriva un dropshot lungo linea”, per citare solo un caso messo in rilievo da un commentatore. E che dire del tempo scelto per l’in-cre-di-bi-le passante in corsa di dritto all’inizio del secondo set? Ma questo è un terreno non mio…

Un passo biblico ne attira sempre un altro, e così mi viene in mente l’Apocalisse di Giovanni: “Non ci sarà più il tempo” (10,6). Roger anticipa i colpi, impedisce quasi alla palla di muoversi secondo cadenze regolari. La colpisce prima, con una velocità che a tratti stupisce la stessa palla. “Non sono pronta”, sussurra, “perché così in fretta?”. Un amico direttore di coro sostiene che “il bravo direttore sa guidare il coro non per virtù speciali ma perché nella sua testa l’accordo giusto suona prima di essere cantato”. Roger ha nei suoi testa-occhi-gambe-mano il colpo giusto prima di eseguirlo, per lui esiste già due tempi prima, noi lo vediamo solo un tempo prima, l’avversario perde il senso del tempo…

Una lezione mai imparata davvero

Non tutto però è sempre così roseo, neanche per Sua Fluidità. Spesso, in particolare dopo colpi sublimi come quello di cui sopra, si rilassa, e allora quasi sempre si fa brekkare, stizzito perché i suoi colpi ritornano nel timing più normale. Si spazientisce – lesa maestà! –, forza i movimenti e non trova più il kairós, l’attimo fuggente. È avvenuto ieri nel secondo set, così come era avvenuto, contro lo stesso avversario, il 23 ottobre 2018 a Basilea, torneo sua riserva di caccia. Quella volta c’ero, e ricordo bene: dopo un primo set dominato in 30’ (oggi 20’), il secondo si era aperto sulla stessa falsariga, e in una manciata di minuti Roger si era trovato sul 3-1. “Finirà troppo presto, in meno di un’ora”, mi dicevo. Pensiero stolto, perché nel tennis – come nella vita! – tutto può cambiare in un attimo, anche se quando gioca Roger mi ostino a non considerare questa possibilità. A un punto da un ennesimo break, che lo avrebbe portato sul 4-1, cominciò a distrarsi, rientrò nel tempo, quello pesante, e in un batter d’occhio, perse 6-4.

Poi, sì, vinse a fatica il terzo, ma questa lezione non l’ha mai veramente imparata. Anche perché nessuno di noi la impara mai davvero, come ci insegna ancora Qohelet, con parole indimenticabili, quasi come il tweener di Roger contro Nole agli US Open 2009: “Dio” – lo nominerò poco, ma qui mi sia consentito (chi vuole sostituisca con “vita”) – “ha fatto bella ogni cosa a suo tempo e ha messo nel cuore degli umani il desiderio di comprendere il mistero del tempo, senza però che essi riescano a comprenderlo dall’inizio alla fine” (3,11). Neanche dall’inizio alla fine di un match di tennis, lezione valida per il resto della vita. Anche per Roger, anche per noi.

“Devi cogliere il vento quando gira dalla tua parte”, ha detto nell’intervista di fine partita a Super Mac. Saperlo cogliere, il vento, il soffio… Ah sì, comunque anche Qohelet sarebbe d’accordo: c’è un tempo per giocare e un tempo per ritirarsi!