Si avvicina il momento del rientro del campione svizzero… o forse del suo ritiro definitivo. La sua carriera è stata un sogno lungo quasi 25 anni, che voremmo non finisse mai. Ma anche dopo di lui il tennis saprà entusiasmarci
Aprile è il mese più crudele, generando
lillà da terra morta, confondendo
memoria e desiderio, risvegliando
le radici sopite con la pioggia della primavera.
Il famoso incipit de La terra desolata di T. S. Eliot ben si adatta alla radiosa malinconia che gli amanti del Re provano in questa rinnovata primavera. Rileggetele, sono un capolavoro di realistica poesia. Certo, il tennis procede, come attesta nella nostra rivista cartacea l’intervista del direttore al nuovo che avanza, il bel Musetti. O si pensi alle recenti prodezze del giovane Alca(t)raz, che imprigionerà molti. Certo, sta per iniziare la stagione sulla terra rossa, finalmente con il pieno di pubblico. E poi verrà il verde, e torneremo in Church Road.
Ma siamo stanchi di scrivere del Genio, mentre lui è in contumacia. Ben sapendo che il suo ritorno sui campi – se sarà – coinciderà con i titoli di coda. Roger ci ha offerto lo spunto per parlare su queste colonne di attesa, perseveranza, gratitudine, amore, fede, speranza e molto molto altro, con accenti biblici, teologici, filosofici. Ora è giunto il momento della via apofatica. Non spaventatevi: significa solo che la comprensione di Dio a un certo punto richiede il silenzio, non può essere espressa a parole. Con le dovute proporzioni, lo stesso vale per Roger. Cosa altro aggiungere? E, se mai, parlerà ancora in campo? Parlerà ancora il campo?
Congediamoci, dunque, in questo tempo di Pasqua, grande speranza di vita per sempre, per ciascuno. Non mi pare vi sia momento migliore per salutarsi. Vi do però appuntamento – se sarò in grado e mi sarà consentito – al giorno del ritiro del Re (e se avverrà a Basilea, farò di tutto per esserci in presa diretta!). Anzi, magari a qualche giorno dopo, avendo assorbito il colpo, almeno un po’. Non sarà facile, ma dovrà essere. La vita continua, così come il tennis. La luce squarcia sempre l’ombra, la illumina… Così aprivamo nel gennaio 2020 questa rubrica, con parole ancora di Eliot: «Nel mio inizio è la mia fine … Nella mia fine è il mio inizio». Vedremo, a suo tempo. Grazie per l’attenzione e la pazienza, e soprattutto grazie al Re.
Mi sia consentito di esprimerlo con le parole un po’ cariche di pathos ma efficaci dell’ultimo libro su Roger letto in ordine di tempo: «Lo abbiamo adorato con l’amore reverente che si riserva agli esseri umani tanto perfetti da non sembrare umani, e poi ci siamo d’improvviso ritrovati di fronte ai suoi limiti e alla sua imperfezione. In quel momento ci siamo accorti di amarlo ancora di più … Federer ci ha suggerito l’esistenza di una natura divina dell’uomo, e al contempo l’impossibilità di raggiungerla in maniera compiuta. Si è via via arreso alla consunzione del proprio talento, ma mai del tutto. Non ha mai smesso di suggerire l’esistenza di una dimensione sacra e metafisica attraverso una partita di tennis … Abbiamo interpretato il suo rifiuto a ritirarsi come egoismo, il capriccio di un re che non vuole abbandonare un trono che non gli appartiene più, ma dovremmo vederlo da una prospettiva ribaltata. Apprezzando la generosità di un re che non ha avuto paura di sporcarsi, di mostrare la propria debolezza, di portare la lotta contro il tempo fino a un punto estremo, fino a trasformarla in una strana forma di danza … Siamo pronti all’ultima partita, forse alle ultime lacrime. Finalmente avremo un commiato, e saremo pronti ad amare un tennis senza Federer, senza il suo gioco impossibile. Chissà se è esistito davvero, o se arriverà il momento in cui ci accorgeremo che la sua apparizione, in realtà, è stata un sogno» (E. Atturo).
Ma che bel sogno, Roger! Più vero e reale della realtà più bella. No, non vogliamo svegliarci.