Il leggendario Rocket sta per arrivare in Australia, dove seguirà Brisbane e il “suo” Australian Open, a 50 anni dall'inizio dell'Era Open e a 30 dal trasferimento a Melbourne Park. “Non posso dimenticare la semifinale del 1969 contro Tony Roche. Il 2018 può essere un anno di cambiamenti: il mio big del futuro sarà…”

Lui risiede negli Stati Uniti, a Carlsbad, nei pressi di San Diego. Ma nonostante abbia quasi 80 anni (li compirà il 9 agosto), Rod Laver non può mancare allo Slam di casa. In queste ore sta viaggiando in direzione Australia, prima a Brisbane e poi a Melbourne, dove l'Australian Open lo ha onorato intitolandogli il campo più importante e dedicandogli anche una statua. “Non vedo l'ora di incontrare nuovamente tutti i miei amici – dice il mitico Rod, che si ritroverà con Newcombe, Roche, Sedgman e il rivale di sempre Ken Rosewall – sarà una riunione per tutti noi”. Nonostante sia l'unico tennista di sempre ad aver centrato per due volte il Grande Slam (1962 e 1969), Laver non ha perso l'umiltà che lo ha reso ancora più amato da tutti gli appassionati. Nonostante stia per iniziare un Australian Open di ricorrenze (50 anni di tennis open e 30 anni dallo spostamento e Melbourne Park), ammette di non ricordare molto dell'evoluzione del torneo. Fino al 1987 si è giocato sull'erba, a Kooyong, dopodiché c'è stato il passaggio nella nuova sede, prima con il Rebound Ace verde, poi con il Plexicushion blu. “In quegli anni non mi sono recato a Melbourne perché mi stavo occupando di mia moglie” dice con candore, perché la famiglia viene prima di tutto. Però era a Melbourne Park qualche anno fa, quando ha consegnato per la prima volta il trofeo nelle mani di Roger Federer. “Quando gliel'ho passato si è fatto prendere dall'emozione e non è riuscito a terminare la frase”. Era il 2006, anno del secondo titolo di Federer, in finale con il sorprendente Marcos Baghdatis. Ma il rapporto di Laver con l'Australian Open ha radici antiche, sublimate da tre successi.

IL FENOMENO DEL FUTURO SARÀ SHAPOVALOV
Il suo titolo del cuore è quello del 1969, quando diede il via alla seconda campagna Slam. All'epoca si giocava a Milton Courts, Brisbane, in un impianto che oggi è intitolato a Roy Emerson. Laver vinse una semifinale-maratona contro Tony Roche. “Non c'era ancora il tie-break, e il quarto set terminò 24-22. Un solo set era equiparabile a un'attuale partita da cinque set. Quella partita durò quattro ore, eravamo entrambi mancini, il tennis era molto diverso da oggi”. Faceva un caldo maledetto, tipico del gennaio australiano. Non c'erano ancora le tecnologie di oggi, così i giocatori si bagnavano manualmente i cappelli per mantenerli freschi. Roche giocò, stoicamente, tutto il match senza berretto. Come detto, vinse Laver che poi avrebbe superato Andres Gimeno in finale. Come se non bastasse, si aggiudicò anche il doppio insieme a Roy Emerson. Sincero amico di Roger Federer, Laver è consapevole che l'epopea dei big di oggi sta per terminare. E allora si è esposto sul nuovo, possibile, fenomeno del futuro. Non ha dubbi: sarà Denis Shapovalov: “Tra 2-3 anni sarà molto vicino alla cima e vincerà alcuni dei più grandi tornei – dice Laver – gioca con grande fiducia, ha grinta e determinazione. Per lui prevedo un futuro da grande campione”. Onorato da una manifestazione tutta nuova a lui dedicata, la Laver Cup (che a settembre vivrà la seconda edizione a Chicago), il grande “Rocket” ipotizza che il 2018 segnerà un cambio della guardia. “Molto dipenderà dallo stato di forma di Djokovic e Murray, e se Rafa e Roger potranno mantenersi ad alti livelli. A 36 anni, Federer sta giocando bene come quando ne aveva 21. Sono stati aiutati dall'attrezzatura, le nuove racchette aiutano molto in termini di velocità e controllo. Il tennis ha sviluppato una notevole componente mentale”.