Roberto Bautista Agut è il giocatore del momento: ha già vinto due titoli, e solo i semifinalisti di Melbourne han raccolto più punti di lui. Spesso sottovalutato, non sarebbe una sorpresa vederlo fra i top-10. Coach 'Pepe' Vendrell ha raccontato i segreti del suo successo.Per notare i primi cambiamenti nei piani alti del ranking ATP bisognerà attendere almeno qualche mese, perciò nelle prime settimane dell’anno è più interessante tenere d’occhio la Race. Al momento, i primi quattro della classifica stagionale sono i semifinalisti di Melbourne: Djokovic, Murray, Raonic e Federer. Subito dietro c’è Roberto Bautista-Agut, un nome che da quelle parti nel ranking vero e proprio non si è mai visto. Lo spagnolo, 28 anni il prossimo 17 aprile, non è un predestinato. Ha vinto il suo primo Futures a 19 anni, piuttosto tardi, e fa parte di quei giocatori che non rubano l’occhio, tanto da venir spesso sottovalutati. Ma in campo lasciano sempre tutto e difficilmente a fine carriera conservano dei rimpianti. E poi lui ha un paio di caratteristiche che lo rendono diverso. Da una passione sfrenata per i cavalli (ne possiede un paio sin da ragazzino, coi quali si rilassa quando rientra a Castellón de la Plana, nella Comunidad Valenciana), a quell’aria da persona sincera e senza grilli per la testa: tornei, casa e poco altro. Non è un caso che abbia lavorato per 14 anni con lo stesso allenatore, Jorge Belles. Poi ha scelto il giovane José ‘Pepe’ Vendrell, classe 1980, alla prima esperienza da coach e con un passato da giocatore a livello nazionale. Insomma, una decisione rischiosa, che invece ha pagato alla grande, permettendogli di proseguire una scalata importante, senza particolari acuti ma estremamente costante, che gradino dopo gradino l’ha portato su fino alla 14esima posizione del ranking. Ha trovato una propria identità basata su intensità e aggressività, e la convinzione di poter sempre migliorare. “Il nostro modello è David Ferrer – ha raccontato il coach in un’intervista con El Periódico Mediterráneo – perché è come i conigli della Duracell, non esaurisce mai l’energia e continua a crescere”.
 
"UN ANIMALE DA COMPETIZIONE"
Nel 2015 “Bati” non è stato brillantissimo, per la prima volta dopo nove anni ha chiuso in una posizione di classifica peggiore rispetto a dodici mesi prima. Così, deve aver lavorato ancor più duramente nell’off-season, tanto da diventare uno dei grandi protagonisti delle prime settimane: titoli ad Auckland e Sofia, ottavi all’Australian Open (dove ha vinto due match al quinto set prima di cedere, di nuovo al quinto, a Tomas Berdych) e quarti a Chennai e Rotterdam. Insieme fanno 14 match vinti e 815 punti, pronti ad aumentare già domani se dovesse fare altra strada in Olanda. “Il nostro lavoro – prosegue Vendrell – è imposto su cose semplici e logiche. Il segreto sta nel dialogo: lavorando sempre in gruppo siamo riusciti a creare un team molto compatto. Le situazioni vanno sempre affrontate insieme, il giocatore non deve mai sentirsi solo. Non ci poniamo chissà quali obiettivi, perché il tennis è fatto di piccole cose. Quello che verrà sarà il risultato del lavoro fatto ogni giorno”. Una frase che i coach amano ripetere all’infinito, ma non sempre è credibile come se il giocatore in questione è uno come Bautista, ragazzo serio e riflessivo, due qualità sinonimo di intelligenza. “Se fossi nato in un altro paese giocherei la Coppa Davis, mentre in Spagna non sono nessuno”, disse un po’ amareggiato nel 2012, dopo aver messo per la prima volta piede fra i top 100. Oggi invece è numero 17 ed eccetto i mostri sacri Nadal e Ferrer si è messo alle spalle da un po’ tutti gli altri connazionali, in Davis ci ha giocato da titolare e ad agosto farà il suo esordio alle Olimpiadi. “Il suo punto di forza è che è un vincente nato, un animale da competizione, con una grande determinazione per ottenere il risultato. Ci mette sempre la faccia e vende cara la pelle”.
 
ALLA GRANDE SU TUTTE LE SUPERFICI
Il percorso di Bautista Agut ricorda un po’ quello di Juan Monaco: nella sua lunga carriera “Pico” ha rincorso a lungo un posto fra i primi 10, poi ha azzeccato un paio di tornei nell’estate del 2012 ed è stato ripagato di tutti gli sforzi. Ma il suo sogno è durato poco, giusto due mesi scarsi, perché la sua classifica è troppo legata al rendimento nei tornei sulla terra. Dovesse farcela anche lo spagnolo, invece, avrebbe la versatilità giusta per starci di più. Lo dice una statistica molto interessante: in carriera ha vinto quattro titoli ATP, tutti su superfici diverse, terra, erba, cemento e veloce indoor. Non sono in molti a poterlo dire, specialmente fra i non campionissimi. Il segreto? “È un giocatore molto regolare, metodico e professionale, che negli anni è cresciuto tanto dal punto di vista fisico. E poi ha un’ottima visione di gioco, che rende il mio lavoro molto più facile. Sarebbe un grande allenatore, glielo dico spesso. S allena ogni volta come un forsennato, tanto che va aiutato a gestire le giornate in cui non tutto funziona per il verso giusto. Ogni tanto nel corso dell’anno ci sono momenti in cui arrivano alcune sconfitte difficili da accettare. Lui tende a demoralizzarsi, perché esige moltissimo da sé stesso. Ma ha fatto dei progressi anche da questo punto di vista, parte di un’importante crescita mentale”. Addirittura, leggendo le parole di Vendrell, emerge un giocatore per il quale esiste solo il tennis, ogni santo giorno. “Dedica 24 ore al giorno a pensare al tennis, a volte ci capita di doverlo obbligare a staccare, a prendersi dei momenti di relax”. Con una mentalità così, se alla base ci sono mezzi importanti, prima o poi si arriva molto in alto. Per questo non ci sarà da stupirsi se fra qualche tempo la Spagna troverà l’ennesimo top-10.