L'esordio di Andre Agassi sulla panchina di Grigor Dimitrov non avrà l'onore del campo centrale. Il bulgaro scenderà in campo nel palestrone del Campo 1, ma sarà un match duro. Il suo avversario sarà un uomo – ancor prima che un giocatore – segnato da una stagione durissima, vittima di uno dei colpi più dolorosi che si possano ricevere: la morte della madre. Lo scorso maggio, Roberto Bautista Agut è diventato improvvisamente orfano. Per lui, persona cerebrale e profondamente legata alle sue origini, è stata dura rialzarsi. Oggi è un giocatore con la mente completamente rinnovata, con un solo obiettivo: risollevarsi, sempre e comunque. “È stato un anno difficile, sia sul piano fisico che su quello personale” dice Bautista, sceso al numero 25 ATP dopo essere stato anche in tredicesima posizione. “Sono successe molte cose dentro e, soprattutto, fuori dal campo. Però credo di aver sempre giocato bene. Anche se non ho la classifica che avrei voluto, credo di aver migliorato il mio tennis”. È il frutto della volontà di un giocatore capace di scendere in campo appena sette giorni dopo la scomparsa di mamma Esther, proprietaria di un negozio di abbigliamento nel centro storico di Castellon de la Plana. “Ho cambiato la mia visione delle cose – afferma – ci sono momenti della vita in cui le cose sono molto difficili. Ci si ferma a riflettere e, senza essere del tutto consapevoli di quello che è successo, si sente che è giunto il momento di una svolta. Pertanto, in futuro, vorrei ottenere qualcosa che sembra semplice ma non lo è, nemmeno per uno sportivo professionista: pensare di più alla mia carriera”. Ripensando al passato, si trovano quei momenti in cui le cose hanno preso una direzione piuttosto che un'altra. Bautista aveva le doti per diventare un ottimo calciatore. Da Castellon de la Plana (dove è nato e continua a risiedere, con i suoi amati cavalli), si era spostato a Villa Real per giocare nelle giovanili di una delle squadre più famose di Spagna, il "submarino amarillo" del Villarreal. Ed era molto promettente.
CINQUE ANNI INTORNO AL NUMERO 20
Ha scelto di giocare a tennis, rischiando di più, investendo su se stesso. Gli è andata bene grazie a una forte motivazione e la capacità di mantenere i piedi piantati per terra. Se si guarda troppo al futuro, c'è il rischio di farsi travolgere dalle illusioni. Per questo, ha sempre pensato al presente. “Bisogna vivere ogni giorno al massimo – dice – senza guardare troppo avanti. In realtà il futuro non esiste, quindi ce ne preoccupiamo troppo. Le cose accadono nel presente: per questo bisogna sfruttare il proprio lavoro, quello che si fa giorno dopo giorno, dei momenti che trascorri con le persone che ami. Insomma, godere delle piccole cose. Sembra semplice, ma non lo è”. Per trovare questa consapevolezza, Bautista Agut si è rifugiato nel tennis. La sua routine gli ha dato una mano a dimenticare quello che succedeva fuori dal campo. “Concentrarmi sulle competizioni è stato un grande aiuto. Lo sport è la mia passione, l'ho sempre amato, e in certi momenti è stata la mia ancora di salvezza. Sono stato in grado di dimenticare i problemi personali, che in alcuni momenti sono stati molto forti. Il tennis mi ha aiutato ad andare avanti”. E allora, con il sostegno dello storico coach Pepe Vendrell (a cui si è aggiunto l'ex pro Tomas Carbonell), ha costruito una stagione di discreta qualità, la quinta di fila intorno alla ventesima posizione. È un peccato, perché quest'anno ci sarebbe stato spazio per attaccare i top-10, specie dopo l'ottimo inizio di stagione, con le vittorie ad Auckland e Dubai. Dopo la morte della madre ha giocato discretamente, forse per reazione emotiva, arrivando a giocarsi la finale a Gstaad contro Matteo Berrettini. Poi si è fermato fino allo Us Open e ha perso occasioni importanti, faticando a ritrovare la forma. Sembra averla raggiunta nell'ultimo torneo dell'anno: lunedì ha giocato una bella partita contro Steve Johnson e oggi cercherà di prolungare il suo 2018, rovinando la festa a Dimitrov. È in svantaggio 3-2 negli scontri diretti, ma ogni partita riparte da zero. E Roberto sa che bisogna pensare soltanto al presente.