Roberta Vinci ce l’ha fatta: battuta Kristina Mladenovic dopo una battaglia di nervi, cuore e testa. A 32 anni, è in semifinale allo Us Open per la prima volta. Secondo tutti il meglio era alle spalle, secondo lei no. Ha avuto ragione anche stavolta.Lo si era capito sin dal primo giorno: per Roberta Vinci lo Us Open 2015 poteva diventare il torneo della vita. Lo scorso lunedì la sua parte di tabellone, già orfana di Maria Sharapova, ha perso anche Suarez-Navarro, Ivanovic e Jankovic, ma non stava scritto da nessuna parte che ad approfittarne dovesse essere lei. Era fra le più accreditate, ma c’erano tante rivali attrezzate. Invece è stato proprio così, dopo un percorso splendido culminato con un successo di nervi contro la francese Kristina Mladenovic, di dieci anni più giovane, battuta 6-3 5-7 6-4 in oltre due ore e mezza a emozioni alterne. I più scettici faranno presente che Roberta è giunta in semifinale senza battere nemmeno una top 30, ed è un dato inconfutabile, ma le partite vanno vinte e lei l’ha fatto. E quindi eccolo lì, a 32 primavere sul groppone, il risultato più bello di una carriera splendida. Dopo lo scioglimento della coppia di doppio più forte della storia del tennis italiano, e col ranking che cresceva insieme ai minuti del suo orologio, sembrava proprio che gli dei del tennis avessero deciso di tagliarla fuori dal giro grosso, in barba a quello stile di gioco da esaltare e conservare, come un animale in via d'estinzione. Prima o poi quel momento arriverà inesorabilmente, ma per ora il cemento di Flushing Meadows ha detto che il tramonto delle migliori volèe del circuito femminile è ancora lontano. Sorride lei e chi ha sempre creduto nel suo tennis, che pare venuto dall’era della spada ma combatte e vince al tempo della polvere da sparo, come raccontato da Marco Bucciantini nell’ultimo numero del nostro magazine, e sorride pure l’Italia, che ritrova una giocatrice in semifinale a New York. Era successo alle sue compagne di Fed Cup, nel 2012 alla Errani, l’anno dopo alla Pennetta, mentre lei era sempre rimasta a guardare, battuta in entrambi i derby ai quarti di finale. Finalmente è giunto il suo momento. L’ha favorita il forfait della Bouchard negli ottavi, ma se la fortuna aiuta gli audaci, lei lo è stata eccome a vincere i primi tre incontri. E poi le aveva dato una severa lezione a New Haven, il bis era dietro l'angolo. Nulla, ma proprio nulla, può rovinare la sua impresa, colta in quello che fino al 2011 era lo Slam dove rendeva meno: un solo terzo turno in nove apparizioni. Poi è sbocciato l’amore, culminato con un traguardo che rimarrà inciso nella storia del tennis tricolore.
UN PREMIO ALLA CARRIERA
E pensare che il suo 2015 non era stato affatto brillante: è uscita pure dalle top 50 e ha giocato appena una finale, sulla terra del piccolo appuntamento di Norimberga. Pochissimo per una come lei, l’unica italiana di sempre a vincere un titolo WTA su cinque superfici diverse (terra outdoor e indoor, erba, cemento e veloce al coperto), ma mentre qualche critico parlava di ritiro la Vinci ha continuato a lavorare con le basi di una vita, su tutte le storico coach Francesco Cinà, e ha avuto ragione anche stavolta. “Quanto manca alla vetta? Tu sali e non pensarci”, si è tatuata di recente sull’avambraccio sinistro. E la sua, di vetta, l’ha raggiunta oggi, dimenticando in un colpo solo la tanta amarezza per quel posto da top ten più volte mancato per un soffio. È la prima a essersi garantita la semifinale, la quarta italiana di sempre nella Grande Mela (oltre a Errani e Pennetta, ce la fece nel 1930 l’italo-statunitense Maud Levi Rosenbaum). Dopo il forfait della Bouchard, la tarantina si aspettava una sfida con Ekaterina Makarova, che di quarti Slam ne ha già giocati sei vincendone due, invece si è trovata la Mladenovic, una “futura numero uno” (come sparavano qualche anno fa i francesi) che per il momento non ha mai visto nemmeno le prime trenta. Le deve circa venti centimetri di statura e non l’aveva mai incrociata dall’altra parte della rete, ma ha capito subito come farle male e si è presa velocemente il primo set, 6-3 in 27 minuti, con pochi errori e le solite variazioni, per non far prendere ritmo all’avversaria. Le è andata peggio nel secondo: prima un break di vantaggio, subito tornato indietro, poi l’allungo della rivale fino al 4-2, quindi l’aggancio grazie a un game della Mladenovic regalato con quattro doppi falli. Sembrava il momento ideale per scappare via definitivamente, ma sulle due palle-break per il 5-4 la francese l’ha fulminata prima con un gran rovescio incrociato e poi con un diritto inside out, mostrando di avere carattere e di meritare una seconda chance. Se l’è guadagnata nel dodicesimo game, grazie a un paio di indecisioni della Vinci, e l’ha concretizzata aggredendo la risposta: 7-5, dieci minuti di pausa per il caldo (ma in realtà sono stati appena sei) e tutto da rifare per l’azzurra.
CUORE, NERVI ED ESPERIENZA
Il terzo set è stato un’autentica battaglia di nervi. Non contavano più tennis e potenza, ma lucidità ed esperienza. E allora sì, che sono entrati in gioco i due quarti di finale già giocati sullo stesso campo, e pure i cinque Slam conquistati in doppio. Utile ad allenare le volèe, ma anche a imparare a gestire le situazioni delicate. E Roberta l’ha fatto bene, anche se il diritto viaggiava piano e la prima di servizio latitava spesso, andando a prendersi la vittoria nel momento più felice dell’avversaria. La Mladenovic vista fino al 3-3 del terzo è stata la migliore del match: ha lasciato andare il braccio colpendo tanti vincenti, ma non è riuscita ad allungare mancando due chance sul 2-1, e alla fine l’ha pagato a caro prezzo. Il match si è deciso nel settimo game, il fatidico settimo game, diventato il più lungo dei trentuno disputati: circa quindici minuti, ventisei punti. Dopo essersi sentita dire di no sulle prime quattro palle-break, 'Robi' ha vinto gli ultimi tre punti, premio per essere stata sempre lì, in silenzio e concentrata, dopo aver incassato un gran vincente o raccolto un doppio fallo. Quando si è presa il 4-3 ha capito che la semifinale non le sarebbe più sfuggita, e poi non ha regalato nulla, approfittando di una rivale frenata da un fastidio alla coscia sinistra. Ha chiamato il trainer dopo quel game lunghissimo, ed è rientrata in campo leggermente claudicante, con una evidente fasciatura, ma la partita l’ha vinta Roberta. La rivale ha chiuso con 64 errori gratuiti, lei ha risposto con tanta attenzione nei momenti delicati, vincendo sette degli otto giochi terminati ai vantaggi. E poco importa se al prossimo turno ci sarà al 99% Serena Williams, indiavolata per andare a prendersi il Grande Slam. Roberta può essere (super) contenta così, e non l’ha nascosto nell’intervista post-match con ESPN. Non riusciva a smettere di ridere, con quel sorriso sincero, genuino, contagioso, che ha accompagnato ogni tappa dei suoi quindici anni di carriera. C’è stato pure nei momenti più difficili, poteva mancare nel giorno più felice?
US OPEN FEMMINILE – Quarti di finale
Roberta Vinci (ITA) b. Kristina Mladenovic (FRA) 6-3 5-7 6-4
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