Quando Roberta Vinci ha messo in campo l'ultima demi-volèe, condannando Serena Williams alla sconfitta più atroce, abbiamo tutti esultato. Poi, a mente fredda, ecco la sentenza: "la più clamorosa sorpresa dell'Era Open". Eppure, un episodio altrettanto clamoroso si era verificato 31 anni prima. Nel 1984, Martina Navratilova vide crollare il sogno Slam alla penultima partita, al termine di un match inizialmente dominato, poi sottovalutato, infine perduto alla stretta finale. Serena come Martina, Roberta come Helena. Helena Sukova, gigantessa cecoslovacca che quel giovedì 6 dicembre 1984 aveva 19 anni. Fu lei a impedire il Grand Slam alla Navratilova, che aveva vinto gli ultimi sei Slam e perso solo una partita in tutto il 1984, guarda caso contro un'altra cecoslovacca: Hana Mandlikova. Allora, la stagione iniziava a marzo e l'Australian Open era l'ultimo Slam dell'anno. La Navratilova si presentò con un'impressionante serie di 70 vittorie consecutive (comprensive di Roland Garros, Wimbledon e Us Open) e sembrava un rullo compressore, in grado di schiacciare ogni avversaria. Aveva battuto 13 volte di fila Chris Evert, rivale di una vita. L'aveva domata, schiacciandola sul piano della preparazione atletica. Tutto era pronto per festeggiare il Calendar Grand Slam, terza donna dopo Maureen Connolly e Margaret Court. A dare ancora più sacralità, il forfait di John McEnroe dal torneo maschile. Un problema alla caviglia gli impedì di recarsi nel vecchio impianto di Kooyong. Tutte le attenzioni si spostarono su Martina e sulla sua missione. Avversarie? Chris Evert, certo, ma il sorpasso era ormai effettuato. Mancavano due delle avversarie più pericolose, almeno per lo stile di gioco: Kathy Jordan e la stessa Mandlikova. Helena Sukova? Una ragazzina come tante. Ok, tre mesi prima aveva vinto il suo primo titolo WTA, proprio in Australia, a Brisbane. Ma contro Martina aveva perso tre volte su tre, senza mai impensierirla.
"MARTINA, PERCHE' L'HAI FATTO?"
La storia di questo Slam mancato ha un retrogusto affascinante. Profuma di destino, di puzzle che improvvisamente trova il pezzo mancante. Nove anni prima, esasperata dalle restrizioni del governo cecoslovacco, dall'obbligo di versare il 20% dei guadagni, la Navratilova volò negli Stati Uniti per non tornare mai più. Lo comunicò in una storica conferenza tenutasi il 5 settembre 1975. Ma poche ore prima, il telefono squillò nella sua stanza d'albergo a New York. Era Vera Sukova, direttrice tecnica della federazione cecoslovacca. Era stata la sua allenatrice in gioventù. Finalista a Wimbledon nel 1962, ebbe indubbi meriti nella formazione tecnica della Navratilova. Sotto la sua guida, Martina vinse una storica Federation Cup per la Cecoslovacchia. Ma qualcuno aveva spifferato le sue intenzioni e la voce arrivò rapidamente a Praga. “Perché l'hai fatto?” sospirò la Sukova, fedele al governo e mamma di una bambina di 10 anni, spesso raccattapalle proprio nella Navratilova. Ma non c'era più spazio per tornare indietro. Addio Cecoslovacchia, solo libertà. Divenne la più forte di tutte, una dominatrice assoluta. Nel frattempo, Vera Sukova continuava a lavorare al di là del muro. Tra le sue allieve c'era anche la figlia. Alta, altissima, slanciata, così diversa da lei. Però le aveva insegnato un serve and volley altrettanto efficace. Vera morì il 13 maggio 1982, a neanche 51 anni, per un tumore al cervello. Rimasta senza guida tecnica, Helena si mise nelle mani di un certo Jan Kurzk. Uomo pragmatico, costruì un tennis simile a quello di Ivan Lendl. Altro che serve and volley: dritto aggressivo, potenza, gioco a tutto campo. Risultato? Divenne più forte sull'erba che sulla terra battuta, dove pure era cresciuta.
ALL'IMPROVVISO, L'ARTIGLIERIA PESANTE
Torniamo all'Australian Open 1984. In quei giorni arrivarono un paio di annunci importanti: entro un paio d'anni, il torneo vrebbe ripreso la storica collocazione a gennaio (dal 1977 si giocava in dicembre) e, soprattutto, avrebbe cambiato sede e superficie. Kooyong non era più sufficiente: dal 1988 si sarebbero spostati a Flinders Park, sulle rive del fiume Yarra, e avrebbero sostituito l'erba con l'ultramoderno “rebound ace”. Ma nel 1984 si giocava ancora sull'erba, la superficie più amata da Martina, che infatti giunse rapidamente in semifinale. A sorpresa, l'avversaria fu proprio la figlia della sua vecchia allenatrice. Vincitrice su Pam Shriver (compagna di doppio di Martina) nei quarti, si presentò al match con un obiettivo ben preciso: portare a casa almeno cinque game in un set. Era una giornata fredda e umida, quel 6 dicembre 1984. In Australia, dicembre ha poco a che vedere con l'estate che esplode il mese dopo. Il pubblico si presentava spesso con coperte per proteggersi dal freddo. Andò così anche quel giorno. Martina vinse facilmente il primo set, con un netto 6-1. Ma il punteggio ingannava. Sei dei sette game erano finiti ai vantaggi. Dalla sua casa di Perth, Margaret Court guardava in TV. Non aveva dubbi sullo Slam di Martina, tanto che a fine primo set spense l'apparecchio e andò a fare shopping. Non aveva fatto i conti con l'orgoglio cecoslovacco. Non sappiamo – e non sapremo mai – se mamma Vera avesse parlato alla figlia dell'affronto subìto anni prima. Ma sappiamo che, a un certo punto, l'artiglieria pesante della Sukova ha iniziato a bucherellare gli attacchi della Navratilova. Sul 5-2 nel secondo set, Helena si voltò verso il suo coach e quasi sghignazzò. Gli disse “Bene, adesso puoi andartene” o qualcosa del genere. L'obiettivo dei cinque game era raggiunto. Sullo slancio, volò 3-0 al terzo mentre tutti i giocatori, uomini e donne, si radunarono davanti alle TV fuori dagli spogliatoi. Tra le più attive, Carling Bassett (che poi sarebbe diventata la signora Seguso). Sussurrava: “Helena, se vinci questa partita diventi il mio idolo”.
MARTINA E LA CLASSE CHE E' MANCATA A SERENA
La numero 1 ebbe una reazione d'orgoglio e acciuffò il 4-4. Di solito, in questi casI, vince sempre la più forte. Invece la Sukova fece un pensiero simile a quello che 31 anni dopo avrebbe fatto Roberta Vinci. “Perso un punto, mi dicevo: 'dimenticalo e vai avanti'. Era l'unico modo”. Break Sukova, 5-4 e servizio. Break Navratilova, 5-5. Altro break Sukova, 6-5. Nel dodicesimo game, la cecoslovacca si portò sul 40-0. Tre matchpoint consecutivi, annullati da altrettanti dritti vincenti della Navratilova, disperatamente attaccata alla partita. Per altre due volte, Helena si prese il vantaggio. Dritto vincente, poi ancora dritto vincente di Martina. Sembrava una maledizione. Sull'ennesima parità, si trovò a giocare una seconda di servizio. Con coraggio misto a incoscienza, servì nuovamente sul dritto e fu premiata: risposta larga. “Dannazione!” sussurrò la Navratilova, decretando la sua condanna. Sull'ultimo punto, le cercò finalmente il rovescio. Lo slice di Martina volò via insieme alle speranze di Grande Slam. Purtroppo Youtube non ha immortalato questa partita: da un lato ne preserva la leggenda, dall'altro ci impedisce di vedere la stretta di mano. Cronache dell'epoca raccontano che la Navratilova l'abbia presa bene, come se fosse l'ultimo dazio da pagare per la scelta di nove anni prima. Anzichè scappare come ha fatto Serena Williams, prima di piombare davanti ai giornalisti e tenere una vergognosa conferenza stampa, mise un braccio attorno al collo della Sukova e le disse: “Vera sarebbe stata orgogliosa di sua figlia”. Quella sera rimase a Melbourne, senza perdere il sorriso, e chiese di guardare qualche puntata di “Camelot”, la sua serie preferita. “Ovviamente sono delusa, ma sopravviverò – disse la Navratilova – ho ancora due braccia, due gambe, un cuore. Ovviamente non ho giocato al massimo, ma ho dato tutto quello che avevo. So di poter essere una giocatrice migliore, ma lei è stata più brava di me”. Due giorni dopo, la Sukova avrebbe perso in tre set da Chris Evert, che dunque vinse almeno uno Slam per l'undicesimo anno di fila. Chris fece il possibile per perdere la partita, ma la Sukova esagerò nel giocarle sul rovescio e glielo mise in palla. Cinque anni dopo, sempre in Australia, sempre in semifinale, la Sukova battè di nuovo la Navratilova, stavolta 9-7 al terzo. Vien da pensare che mamma Vera le avesse davvero detto qualcosa, in punto di morte.
AUSTRALIAN OPEN 1984 / FINALE EVERT-SUKOVA