NEXT GEN – Legge i classici ed è appassionato di scacchi, ma Karen Khachanov spaventa soprattutto sul campo da tennis. Nel 2016 ha vinto il suo primo torneo e punta dritto ai top-20 ATP…che gli aveva pronosticato Yevgeny Kafelnikov. Ma sarà solo una tappa di passaggio…A Milano, per la presentazione delle Next Gen ATP Finals, l'ATP ha scelto di portare lui come potenziale protagonista internazionale. In effetti, Karen Khachanov si sta facendo largo a suon di risultati. Potenza devastante che fa il paio con una mente abbastanza complessa lo rendono uno dei giovani più interessanti del tour, speranza più fulgida di un paese – la Russia – che tra il ritiro dei suoi campioni (Kafelnikov, Safin, Davydenko, cui si aggiungerà Youzhny) e la svendita dei talenti al Kazakhstan, sta vivendo un periodo complicato. Ma con Khachanov può cambiare tutto…

IL PERSONAGGIO
Di spalle ha tutto del cestista, ma il basket l’ha visto solo di sfuggita. A prima vista sembra riunire i luoghi comuni sui personaggi dell’Est Europa: freddo, introverso, silenzioso, ma non è sempre così, soprattutto sul campo dove è un rude picchiatore, mentre fuori ama soprattutto riflettere. E se gli scappa qualche vamos è solo perché è in Spagna che l’han reso un giocatore. Contraddizioni che si abbracciano sotto il nome di Karen Khachanov, insieme all’hashtag NextGen, l’investitura dell’ATP alle sue stelle del futuro. Bastano due requisiti: meno di 21 anni e un posto fra i primi 200, e le porte si aprono. Sul tappeto rosso la bandiera della Russia ce l’ha portata lui, grazie a madre natura ma anche a uno zio-sponsor che ha aperto i rubinetti per una carriera partita da Mosca, virata in Croazia e arrivata a Barcellona. La città della Rambla ma anche di decine di accademie. La sua movida è tutta lì, altrimenti non sarebbe piombato a un passo dai primi 50 del mondo grazie al titolo di Chengdu, e fra i suoi interessi figurerebbe roba più mainstream. Invece nel suo trolley lo spazio della PlayStation è occupato dai classici della letteratura e al bivio (obbligatorio) università-servizio militare ha scelto Scienze Motorie, da seguire per corrispondenza, da un continente all’altro. «Studio temi inerenti al corpo umano, avere un’educazione aiuta». Come aiuta, dicono, giocare a scacchi: «È simile al tennis: bisogna pensare molto e adattarsi all’avversario. Dove sono più portato? Se fossero gli scacchi sarebbe un grande problema»
LA TECNICA
La nazionalità russa la dice (spesso) lunga sullo stile di un giocatore. Basta aggiungerci i 198 centimetri offerti da papà Abgar e mamma Natalia, e l’identità del Khachanov tennista diventa ancor più nitida. Gran servizio sempre sopra i 200 km orari, colpi di rimbalzo equilibrati e la voglia di spaccare la palla ogni volta che la tocca. Non fa differenza come, che sia di rovescio alla Safin, idolo ai tempi delle elementari, o col dritto alla Del Potro, modello quando ha capito che col tennis ci poteva vivere pure lui. Karen picchia senza pensarci troppo, con violenza, sale di un tennis costruito ad hoc per i campi veloci. Anche se lui, a sorpresa, dice di trovarsi meglio altrove. «Terra, o cemento lento. Posso comunque comandare il gioco, ma la palla arriva più piano e ho più tempo per organizzarmi». Tuttavia, la sua activity dice che ha fatto bene dappertutto: primo quarto ATP sul veloce indoor, secondo sulla terra, primo titolo sul cemento all’aperto. Segno che quello che trova sotto le sue Nike numero 47 non è un fattore, conta solo come va il rapporto testa-Wilson. Vedendolo per la prima volta, Fognini l’ha inquadrato così: «Se avessi la sua potenza, andrei a rete ad ogni scambio per chiudere i punti di testa». Poche parole per un grande complimento (perché da fondo fa veramente i buchi per terra), ma anche una mezza critica, perché la volèe la conosce appena. Ora che è arrivato nel giro dei grandi tornei il prossimo step passa da una maggiore ricerca della rete, per raccogliere quanto semina da dietro. Altrimenti rischia di sparare spesso a salve. Finendo le cartucce prima del dovuto.

IL FUTURO
«Arriverà nei primi venti giocatori del mondo entro un paio d’anni», disse di lui Yevgeny Kafelnikov a fine 2013, quando lo vide raggiungere i quarti a Mosca ancora minorenne. Sbaglia anche il Kaf, ma stavolta solo per eccessiva fretta. Perché il futuro del ragazzone di padre armeno (alla Agassi) è già tracciato, come la bordata lungolinea quando la palla gli arriva comoda sul rovescio. Magari non vincerà una manciata di Slam, ma fra i campioni che verranno c’è anche una sedia col suo nome. E Karen ha le idee chiare per occuparla a lungo e al suo fianco l’uomo giusto da far accomodare con lui: Galo Blanco. Uno che la stessa corsa l’ha già vinta qualche anno fa, da navigatore di Milos Raonic. Molti lo ricorderanno raggiungere i quarti a Roland Garros nel 1997, altri vincere l’ATP di San Marino due anni dopo. Da buon spagnolo anni 90 aveva un tennis totalmente diverso da Khachanov, ma non è sempre un male. «Non servono qualità simili, conta capirsi a vicenda. Noi ci capiamo ed è per questo che Galo mi ha aiutato tantissimo. Ma il traguardo che ci siamo prefissi è ancora lontano. C'è ancora tanto da lavorare e migliorare per crescere». Tre parole che ripete come un mantra per convincere soprattutto se stesso. Il lavoro mentale lo si percepisce da come pesa ogni frase. Il tono è sempre lo stesso, lo sguardo pure, ma gli occhi azzurri non mentono. Si illuminano una volta sola, quando parla di numero uno del mondo. «È il mio sogno, ma andiamoci piano» Gli obiettivi molto ambiziosi possono diventare un problema, meglio starci alla larga. «Però Djokovic insegna: il suo segreto è proprio quello di non porsi alcun limite”