La finale a inizio anno a Chennai è rimasta l'unica del 2017 di Daniil Medvedev, ma grazie al forfait di Zverev il russo ha conquistato l'ultimo posto disponibile per le Next Gen ATP Finals di Milano. Quest'anno si è fatto notare per le monetine tirare a Wimbledon alla giudice di sedia, ma anche per l'ingresso fra i top-50. Cresciuto nel mito di Marat Safin, sogna la vetta del ranking mondiale. «E di starci per tanti anni».DANIIL MEDVEDEV
Luogo di nascita: Mosca (Russia)
Data di nascita: 11 febbraio 1996
Classifica ATP al 1 gennaio: numero 99
Miglior classifica stagionale: numero 48
Miglior risultato: finale ATP 250 Chennai
IL PERSONAGGIO
Il cognome è lo stesso di Andrei, ex numero 4 del ranking ATP, oppure di Dmitry, Primo Ministro della sua Russia, ma Daniil Medvedev precisa subito: «Nessuna parentela!». Per paragonarlo al primo è presto, mentre della politica gliene importa poco, anche perché il paese d’origine l’ha abbandonato già da un pezzo, per un motivo tutt’altro che inedito. «Arrivati ad un certo punto, la crescita professionale in Russia diventa molto difficile». Allora, insieme all’intera famiglia ha fatto le valigie e deciso di raggiungere la sorella in Costa Azzurra: lei a Nizza per lavoro, lui a Cannes per scrivere con la racchetta la sceneggiatura del suo film da Festival. Potrebbe iniziare dall’episodio più strano della sua carriera: a Wimbledon, dopo l’impresa contro Stan Wawrinka al primo turno, ha perso al secondo contro Ruben Bemelmans e all’uscita dal campo ha lanciato delle monetine alla giudice di sedia Mariana Alves. Il motivo? Semplice: a volte non riesce a controllarsi, e fa la prima cosa che gli passa per la testa. Ma oltre alle bizze comportamentali, il ventunenne moscovita si è fatto notare anche per i risultati. Senza exploit, ma con una viva costanza, negli ultimi due anni ha scalato posizioni su posizioni, entrando fra i primi 50 del mondo. «Penso che avrei potuto far bene in qualsiasi sport, perché sono un tipo molto competitivo. Anche alla Play Station, la sera dopo gli allenamenti: mi aiuta a rilassarmi». E anche sui banchi (si fa per dire) dell’università online, visto che ne ha già completate due, una con indirizzo sportivo, l’altra economico.LA TECNICA
Per gli amici è The Bear, l'orso, ma solo perché è la traduzione di Medvedev in lingua russa. Perché se è vero che il ragazzone russo tocca quota 198 centimetri, è vero anche che pesa appena 80 kg, pochini per un soprannome del genere. Una vecchia pubblicità lo definirebbe "magro come un grissino", ma non è un male in senso assoluto. Anzi. La palla pesa comunque, ma in dono c’è una reattività che uno di (quasi) due metri normalmente si sogna. E allora ecco che trova un senso la scelta dell’erba come superficie preferita, così come la parola return, risposta, indicata dal protagonista come colpo migliore di un tennis dallo stile sgraziato, non proprio da stropicciarsi gli occhi, ma molto efficace. Lui lo definisce rischioso, difficile da leggere, con colpi piatti e pochi fronzoli. «Djokovic e Murray sono la dimostrazione che oggi la risposta è il colpo più importante, insieme al servizio». E in quest'ultimo Daniil deve migliorare se vuole anche solo avvicinare i risultati (in campo) del suo mito Marat Safin. «Non servo forte come potrei, devo alzare la percentuale e continuare a migliorarmi, per subire sempre meno break». Tanti o pochi, nel 2016 non gli hanno impedito di conquistare lo Young Guns Contest di Tecnifibre e incassare l’assegno di 50.000 dollari messi in palio tra un gruppetto di giovani talenti, classificati a fine stagione in base ai loro risultati sul campo e sui social media. Ora proverà a investirli per il suo futuro, magari per ampliare lo staff che conta sui francesi Julien Jeanpierre e Gilles Cervara, e sul monegasco Jean-Renè Lisnard.IL FUTURO
Nel 2017 Medvedev ha iniziato la sua corsa col pettorale numero 99, arrivando su fino alla 48esima posizione. La finale conquistata a inizio anno a Chennai è rimasta l’unica, e il suo potenziale si è visto un po’ troppo a sprazzi, ma è riuscito comunque a conquistare un posto alle Next Gen ATP Finals, e in Russia oltre che su Khachanov e Rublev puntano anche su di lui. «Siamo cresciuti insieme sin da ragazzini, ci supportiamo e spero che un giorno, tutti insieme, riusciremo a vincere la Coppa Davis». Ma il tennis è uno sport individuale, ognuno va per la propria strada. Medvevev, sulla sua, non ha dubbi, e sarà felicissimo del posto a Milano. «Sarebbe una grande esperienza, qualificarsi vorrebbe dire aver disputato un’ottima stagione. Per arrivarci sarà necessario essere nei primi 100 del mondo: è un obiettivo che non voglio lasciarmi sfuggire», diceva a inizio stagione, con l’obiettivo top-50. Ora che l’ha raggiunto, è il momento di puntare più in alto. Dove? Glielo suggerisce ogni giorno l’agenzia di management che ne cura gli interessi: si chiama Top Five. «È il sogno di ogni giocatore, anche perché vorrebbe dire aver vinto tanti titoli importanti. Io ci credo, ma sono consapevole che il mio tennis dovrà crescere ancora tanto, come il fisico, l’aspetto mentale, gli spostamenti e tutto il resto. E anche per arrivare nella top 10 bisogna diventare come una macchina». Per ora, il suo motore ha ancora qualche vuoto di troppo. Ma ci sta lavorando con uno psicologo dello sport e promette che crescerà ancora. Verso il segno di tutti: salire in vetta alla classifica. «E starci per tanti anni». L'ambizione non gli difetta.
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