Molto scozzese, meno britannico, al Queen’s ha perso negli ottavi, ma la speranza inglese per Wimbledon è sempre lui…

 

di Fabio Bagatella – foto Ray Giubio

 

A una settimana dall’inizio di Wimbledon, i tabloid d’oltremanica si domandano se quest’anno sarà finalmente la volta buona. La vittoria di un tennista britannico manca ormai dal lontanissimo 1938 quando Fred Perry firmò la sua tripletta ai danni del barone tedesco Gottfried von Cramm. Dopo i “quarti” del 2008 e la semifinale del 2009, la grande speranza della Gran Bretagna è scozzese e si chiama Andy Murray. Conosciamolo meglio…

 

Andrew (Andy) Murray nasce a Glasgow il 15 maggio 1987. Mamma Judy è un ex “coach” nazionale scozzese, papà William è un manager. Andy ha un fratello, Jamie, maggior di un anno. I piccoli Murray crescono a Dunblane, cittadina della Scozia centrale che il 13 marzo 1996 è teatro di un sanguinoso fatto di cronaca. Thomas Watt Hamilton, un 44enne ex capo-scout disoccupato, uccide sedici bambini ed un adulto nella scuola elementare locale (Primary School) prima di togliersi la vita.

 

Andy ha sempre dichiarato che all’epoca era troppo piccolo (otto anni) per capire cosa gli stesse  accadendo intorno. Lo scozzese è stato sempre abbastanza restio a parlare dell’evento: nella sua autobiografia, Hitting Back, sono solo due i riferimenti all’accaduto. Nella “tragica” mattina di marzo Andy si rifugiò in un aula per evitare il massacro mentre dei “rapporti” con Mr. Hamilton si evince solo un passaggio in macchina dato da mamma Judy al futuro killer quando Andy frequentava un gruppo scout guidato dallo stesso Hamilton.

 

I fratelli Murray impugnano la prima racchetta già a due anni: nell’infanzia di Andy c’è però anche molto calcio. Il nonno materno Roy Herskine è stato un calciatore professionista: ha militato anche nell’Hibernian (seconda squadra) e forse Andy acquisisce parte del suo DNA. Anche i famosi Glasgow Rangers (nel 2000) si interessano ufficialmente al secondogenito dei Murray ma il suo destino non sarà quello di ricalcare le orme del nonno.

 

Pur riconoscendo l’utilità di aver potuto praticare per qualche anno uno sport di squadra come il “soccer”, Andy sostiene di aver sempre preferito le competizioni “face to face” dove sei solo tu contro il tuo avversario: proprio per questo motivo lo scozzese è anche un grande amante del pugilato. E’ comunque il tennis la sua grande passione che diventa, con il passare degli anni, vera e propria causa di vita. 

 

A 15 anni lascia la Scozia per la Spagna: destinazione Accademia Sanchez-Casal di Barcellona. Andy ricorda spesso quanto fu duro lasciare tutti gli affetti e i luoghi amati a quell’età per inseguire quel grande sogno che il suo primo coach Leon Smith sosteneva e sostiene essere nelle corde della sua racchetta. Smith, che ha seguito Andy fino ai 17 anni, non ha mai nascosto le grandissime potenzialità del suo pupillo definendolo sin dalla più tenera età: “unbelievably competitive” (incredibilmente competitivo). Competitivo nel suo doppio senso: dotato sia delle qualità tecniche che di quelle caratteriali per raggiungere il top del tennis mondiale.

 

Il suo primo match è del 1992: Andy ha soli 5 anni. A 12 si aggiudica il prestigioso Orange Bowl di categoria, a 17 l’US Open a livello junior: la BBC lo nomina miglior giovane sportivo dell’anno (2004). L’anno dopo, a 18 anni,  è già professionista e mostra subito di che pasta è fatto: finale a Bangkok (nel suo ottavo torneo ATP disputato) e due turni superati sull’erba di casa (Queen’s e Wimbledon). Alla fine del 2005 è già ben all’interno della top 100: solo quattro ex numeri uno vi sono entrati ad un’età più giovane (Borg, Hewitt Roddick e Nadal).

 

In quell’anno Andy stabilisce comunque un record: è il più giovane britannico a giocare un incontro di Coppa di Davis. Assistendo al match di doppio giocato in coppia con Sherwood e perso contro gli israeliani Erlich e Ram (quinto binomio del ranking mondiale all’epoca), l’ex pro britannico Jeremy Bates è emblematico: “una delle migliori performance che abbia mai visto, tremavo come una foglia.”

 

Andy non trema affatto ed inizia la lunga rincorsa che nel breve volgere di quattro stagioni lo conduce a un tiro di schioppo dalla leadership mondiale. 14 trionfi ATP in 21 finali tra cui 4 Masters 1000. Nei quattro Maior ancora nessuna vittoria ma quattro piazzamenti di tutto rispetto: finale a NewYork e Melbourne, “semi” a Londra e “quarti” a Parigi. E il biennio 2008-2009 che lo consacra come uno dei più forti giocatori al mondo: 11 successi in 13 finali disputate, la seconda posizione del ranking ATP ed il solo Federer a negargli la gioia Slam.

 

Quest’anno è iniziato sotto i più ottimi auspici ma, dopo la nuova debacle contro Roger nell’ultimo atto degli Australian Open, una lunga crisi di risultati e di gioco. Il ritorno sull’erba di casa potrebbe essere la medicina giusta per guarire i suoi malanni. Lo scozzese, che dopo Melbourne non ha collezionato nulla di degno della sua classifica, proverà a invertire il trend negativo proprio sul “verde”. 

 

Andy è seguito da un vero e proprio team di “esperti” composto da coach Miles Mclaghan, dai preparatori atletici Jez Green e Matty Little e dal fisioterapista Andy Ireland. Durante la stagione sulla terra battuta si giova da tre annate dell’apporto del due volte finalista dei French Open ed ex secondo giocatore al mondo, Alex Corretja.

 

Il suo attaccamento alla patria natale(la Scozia) è fortissimo: nel corso dei suoi primi anni di carriera annodata sul suo polso era infatti ben visibile una specie di bandana con la croce bianca decussata di San Andrea su sfondo blu, effige scozzese per eccellenza. I media inglesi si sono spesso scagliati contro questa sua “scozzesità” contrapposta ad una relativamente inferiore “britannicità” che Andy ha comunque sempre combattuto sin dai mondiali del 2006 quando fu accusato di aver gioito per l’eliminazione dell’Inghilterra contro il Portogallo. Lui è uno scozzese britannico ed è orgoglioso di ciò.

 

Da sempre sotto i riflettori dei canali mediatici britannici proprio alla luce delle grandi aspettative che l’intera Gran Bretagna (tennistica e non) gli riserva, Andy cerca da sempre di mostrarsi poco personaggio e molto atleta ma spesso si “ritrova” al centro di vere e proprio polemiche. Non ultima la sua presenza ad intermittenza in Coppa Davis nelle ultime tre stagioni (quelle della sua definitiva esplosione), le frequenti battute a distanza con l’ex capitano nazionale John Lloyd fino alla sua sostituzione proprio con quel Leon Smith primo coach di Murray. Molti addetti ai lavori hanno individuato lo zampino di Andy nella decisione della Federtennis britannica di “bocciare” l’altro candidato alla panchina di Davis, l’ex pro di origini canadese Greg Rusedski. 

 

Sugli spalti del Queen’s si sono viste in questi giorni mamma Judy e la storica fidanzata di Andy, la 22enne “inglesissima” Kim Sears. Dopo qualche periodo “burrascoso” tra la fine del 2009 e l’inizio della primavera, in cui i due si erano allontanati, sembra ritornato il sereno sulla coppia. Sarà sufficiente il sostegno delle due donne più importanti nella vita di Andy per regalargli il trionfo nello Slam di casa?

 


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di Fabio Bagatella – foto Ray Giubio

 

E’ nel 2005 che il 18enne Andy Murray passa al professionismo: nessun titolo ATP ma subito l’entrata in pianta stabile nei top 100. Il debutto nel circuito maggiore avviene sulla terra di Barcellona dove perde in tre set contro Hernych (79). Sull’erba di casa (Queen’s e Wimbledon) si presenta alla grande superando due turni ed eliminando tra gli altri Dent (30) e Stepanek (13 nel Maior). Le sconfitte sono sempre al fotofinish e contro grossi calibri (T. Johansson 20 e, nello Slam, Nalbandian 19). Nel resto della stagione due vittorie Challenger sul cemento americano (Apton, California e Binghamton, New York) cedendo complessivamente un set (al tie-break), la finale nel World Series di Bangkok dove si arrende con onore (3-6 5-7) solo al leader del seeding e del ranking Roger Federer ed i “quarti” di Basilea dove si toglie la soddisfazione di battere il connazionale Henman (28). Chiude la sua prima annata da “pro” al 64o posto del ranking mondiale quando alla fine del 2004 era numero 411. Da segnalare anche il debutto in Coppa Davis: a 17 anni e 293 giorni è il più giovane britannico di sempre ad essere impiegato nella competizione a squadre. La Gran Bretagna non riesce comunque a entrare nel Gruppo Mondiale: batte gli israeliani ma perde con gli svizzeri.

 

Nel 2006 l’avanzata prosegue: primo titolo ATP, ingresso nei top 20 e successo contro l’incontrastato leader mondiale Roger Federer. La prima metà di stagione registra il suo primo urrah sul duro di San Josè dove fa fuori in “semi” Roddick (3) ed in finale Hewitt (11) a cui annulla pure due match-points. A 18 anni e 9 mesi è il più giovane vincitore di un torneo ATP dell’anno. Se si escludono i quarti di Memphis (out con Soderling 87), il bilancio sino a giugno è molto magro perché non supera mai il secondo turno. L’aria britannica gli restituisce smalto: quarti a Nottingham e ottavi a Wimbledon (ko rispettivamente contro il nostro Seppi 72 e contro Baghdatis 16, dopo aver però battuto ancora Roddick 5 al terzo turno). Bene anche sul cemento statunitense: terza finale in carriera a Washington (persa contro Clement 57), “semi” al Masters Series del Canada (sconfitto da Gasquet 51), “quarti” a quello di Cincinnati e “ottavi” all’US Open (fuori con Davydenko 6). In Ohio regola 7-5 6-4 Federer (1) prima di subire la “vendetta” di Roddick (12). Conclude un’annata di regolare avvicinamento al top al 17o gradino della classifica ATP con il privilegio di essere stato uno dei due soli giocatori (l’altro è Nadal 2) di uscire vittoriosi da un match con Roger Federer (1). Degno di nota anche la finale in doppio raggiunta a Bangkok in coppia col fratello Jamie.

 

Il 2007 segna la sua “prima volta” tra i top ten grazie anche a due nuovi titoli e nonostante quasi quattro mesi di stop per problemi fisici. I primi tre mesi sono formidabili: gioca sei tornei e coglie sei ottimi risultati. Nell’ordine: finale a Doha (si “vendica” di Davydenko 3, ma cede a Ljubicic 5); “ottavi” a Melbourne (1-6 al quinto contro Nadal 2), bis a San Josè  e tre semifinali consecutive (Memphis ed i Masters Series di Indian Wells e Miami). Negli ultimi due appuntamenti è sempre Djokovic (13) a infliggergli due pesanti lezioni (sei giochi in tutto raccolti). A metà aprile fa il suo primo ingresso tra i primi dieci giocatori del mondo e vi rimane per circa due mesi (suo best è l’ottava posizione). I guai fisici lo costringono però a saltare tutta la parte centrale della stagione. Rientra sul “duro” americano ma il meglio lo realizza solo negli indoor europei. Vittoria a San Pietroburgo, finale a Metz (ko contro Robredo 9) e “quarti” a Bercy (contro Gasquet 13). Dopo aver rischiato di uscire dai primi venti, a fine anno è nuovamente vicinissimo ai big (11).

 

Il 2008 è l’anno della definitiva esplosione: 5 trionfi ATP, una finale Slam e l’ingresso in pianta stabile nella top 5 mondiale. L’inizio di stagione è pirotecnico: vittorie convincenti a Doha e Marsiglia separate dall’inatteso rovescio al primo turno dell’Australian Open. Il suo “giustiziere” (Tsonga 38) arriverà sino in finale. Poi un lungo periodo interlocutorio (fino all’arrivo del “verde”) dove raggiunge al massimo i quarti di finale (Dubai). In Medio Oriente supera comunque per la seconda volta Federer (1) prima di perdere al cospetto di Davydenko (5). Nella seconda parte di stagione si torna a correre: “quarti” al Queen’s e a Wimbledon, “semi” al Masters Series del Canada, vittoria in quello di Cincinnati e finalissima all’US Open. Sfatato finalmente il tabù Djokovic (3) piegato nei quarti canadesi e nell’atto decisivo in Ohio. Nello Slam londinese ed in Canada è sempre Nadal (2) che lo ferma ma deve cedere nella semifinale di Flushing Meadows. Sempre a New York, Federer (2) si rivela però troppo forte. Dopo il Maior sull’erba fa il suo “ritorno” nella top ten (9) e non l’abbandonerà più. Enormi soddisfazione anche nell’ultima parte dell’annata: secondo Masters Series in cascina (Madrid) dove rende pan per focaccia in “semi” a Federer (2), bis a San Pietroburgo (dove domina in lungo e in largo) e qualificazione al primo Masters di fine anno grazie al 4o posto del ranking ATP (record assoluto per il tennis britannico). In Cina sfodera un round-robin eccezionale con tre vittorie in altrettante sfide (contro Roddick 6, Simon 9 e ancora Federer 2). Si arrende pero in “semi” a Davydenko (5). Al termine di un anno positivissimo è il numero 4 del mondo.

 

Il 2009 è un’altra annata straordinario: sei titoli ATP, la “semi” di Wimbledon, i “quarti” ai French Open e il suo best ranking di sempre (2). Se si esclude la debacle all’esordio del Masters 1000 romano (out contro Monaco 57) e il terzo turno di Bercy (ko con Stepanek 14), raggiunge nei quattro Maior come minimo gli ottavi di finale mentre nei restanti tornei disputati (11) non esce mai di scena prima dei “quarti”. Sei i trionfi: cinque sul cemento (Doha, Rotterdam, Valencia, Miami e Canada Masters 1000) ed uno sull’erba (Queen’s). Nel torneo della Regina non perde un set e solo due volte il servizio in tutta la settimana. Riporta un britannico nell’albo d’oro londinese settant’anni dopo Bunny Austin (1938). Nei Maior: ottavi di finale in Australia e negli USA (eliminato rispettivamente da Cilic 17 e Verdasco 15), “quarti” a Parigi (suo miglior risultato al Bois de Boulogne dove viene battuto da Gonzalez 12) e soprattutto semifinale a Londra (ko contro Roddick 6). Da segnalare inoltre la finale del Masters 1000 di Indian Wells (3 giochi racimolati al cospetto di Nadal 1). Conferma a fine anno il quarto posto di inizio stagione ma non riesce a superare il round-robin del Masters di fine novembre (a Londra) nonostante le vittorie su Del Potro (5) e Verdasco (8). Il bilancio complessivo di 80 vittorie e sole 13 sconfitte la dice lunga sul suo rendimento annuale: ciliegina sulla torta il seconda posizione del ranking ATP colta ad agosto subito prima di perdere i punti della finale newyorkese dell’anno passato.

 

Il 2010 si apre in maniera eccezionale ma poi è una lunga sfilza di risultati deludenti. Agli Australian Open gioca alla grandissima: arriva in finale perdendo solo un set (contro Cilic 14 in “semi”) ma deve arrendersi ad uno stratosferico Federer (1). Il resto della stagione è sino ad ora decisamente sottotono: si salvano solo i “quarti” ai Masters 1000 di Indian Wells e Madrid (sconfitto seccamente da Soderling 7 e Ferrer 12) ed in parte gli ottavi di finale del Roland Garros dove al debutto rimonta due set ed un break all’idolo di casa Gasquet (45) ma cede nettamente a Berdych (17). Nel primo torneo di preparazione a Wimbledon (il Queen’s), dove l’anno scorso aveva trionfato, è uscito di scena negli ottavi contro Fish (90). Occupa attualmente il quarto gradino della classifica mondiale.

 


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