A Wimbledon la superficie rende più difficile strappare il servizio e tanti match si sono già conclusi al quinto
LONDRA – Conosco uno che, se potesse, spunterebbe in tribuna nei match degli Slam solo al quinto set, quando la partita si fa spietata, la folla impazzisce, i muscoli cominciano a reclamare riposo e ogni risposta azzeccata, ogni maledetto doppio fallo, possono cambiare il destino di un incontro e, perché no, di una carriera. Il quinto set è la sublimazione del vero tennis, l’ultima frontiera dello sport che amiamo. Siamo a Wimbledon, e quindi come non ricordare l’8-6 conclusivo di Borg su McEnroe, il 9-7 di Nadal su Federer, il tie break che tolse al divino Roger il nono trionfo contro Djokovic, per tacere delle otto (!) ore di durata del quinto set della Partita Infinita, quella tra Isner e Mahut, consegnata dal 2010 all’eternità anche da una targa apposta sui muri del campo 18. Non è un caso, insomma, che molti campioni – dal recordman di vittorie Nastase a Djokovic, a Borg – abbiano costruito parte della propria leggenda grazie anche a questa crudele appendice.
A Londra, a causa forse della superficie che rende più difficile strappare il servizio all’avversario, abbiamo avuto finora tanti match portati al quinto set. In tutto il primo turno ben 19 match su 64 (quasi il 30%) si sono conclusi al fotofinish, quattordici dei quali hanno avuto un vincitore diverso da quello che avrebbe festeggiato se si fosse giocato al meglio dei tre set, tanto per confermare che il tennis sulla lunga distanza è davvero un altro sport, come si ama ripetere. Addirittura in otto occasioni il vincitore ha recuperato da 0-2 (tra gli altri, ne ha subito le conseguenze il nostro Arnaldi, rimontato da Tiafoe), in altre sei dalla situazione di un set a due, e tra questi spunta il nome di Darderi, che ha ribaltato Choinski alla distanza per completare la sua prima vittoria da queste parti. Tre partite, infine, si sono anche concluse al tie break, quella tra Vukic e Ofner, tra Cazaux e Bergs e tra Goffin e Machac.
Ma i giocatori cosa ne pensano? Da Wawrinka («il tennis sui cinque set è la storia del nostro sport, ciò che lo rende davvero bello. Un’esperienza dura mentalmente e fisicamente») a Dimitrov («se pensi che hai sette partite da vincere al meglio dei cinque set ti senti male, ma amo troppo questo formato») ad Alcaraz («è più difficile battere i grandi giocatori al quinto, io mi vedo come un giocatore davvero bravo nel quinto set, mi sento più a mio agio») è un coro di approvazione, con qualche nota contraria, come quella del solito Medvedev («giocare sui cinque set provoca più infortuni, bisognerebbe poi chiedere a chi è davanti alla Tv se ha voglia di reggere per quattro o cinque ore. Si, io sono per il tennis sui tre set»), ma ce ne faremo una ragione.
Poi c’è anche qualcuno che non vorrebbe neanche il tie break al quinto set, a cui piacerebbe tornare – di quella partita abbiamo già parlato – alle 11 ore spalmate su tre giorni di Isner-Mahut. Ma questa è un’altra storia.