Il tennis del 2012 è troppo omologato. Come fare per renderlo più divertente? Sugli attrezzi non si può intervenire. L’unica soluzione sarebbe tornare alle superfici di un tempo.
Oggi è molto più semplice passare dalla terra di Parigi all'erba di Wimbledon
Di Riccardo Bisti – 14 marzo 2012
Dopo averci perso in finale a Dubai, Andy Murray ha dichiarato che Federer sarebbe certamente il numero 1 del mondo se ci fossero più tornei sui campi veloci, tipo quello trovato negli Emirati Arabi. A Indian Wells il campo è lentissimo: anno dopo anno, il tennis sta tradendo una delle sue virtù: la differenza delle superfici. Il problema non è nuovo. I campi sono sempre più lenti, creando una triste omologazione dei tennisti. Sono tutti forti, tutti solidi, ma la fantasia è un’altra cosa. Il serve and volley è quasi scomparso. Prima era una tattica come un’altra, un modo per intimidire l’avversario. Oggi è un diversivo, un strumento per “sorprendere”. Fino a qualche anno fa, i tornei del Grande Slam si giocavano su due sole superfici: tre sull’erba e uno sulla terra. Poi gli americani (nel 1978, dopo la parentesi su terra verde) e gli australiani (nel 1988) sono passati al cemento. Si gioca dunque su tre superfici diverse, il che dovrebbe favorire la varietà. Invece è accaduto esattamente il contrario. I rimbalzi sono sempre più simili, e il passaggio dalla terra del Roland Garros all’erba di Wimbledon è diventato una banale routine. Negli ultimi 4 anni, in tre occasioni il vincitore del Roland Garros si è imposto anche a Wimbledon. Anni fa sarebbe stato impensabile. Anche per questo le doppiette di Bjorn Borg hanno un valore maggiore rispetto a quelle di Nadal (2008 e 2010) e Federer (2009).
Rafael Nadal e Novak Djokovic sono l’emblema di questi cambiamenti. Qualche anno fa, nessuno pensava che Rafa avrebbe potuto diventare un campione al di fuori della terra battuta, mentre Djokovic sembrava ottimo soprattutto per il cemento. Eppure la loro capacità di migliorarsi ha trovato terreno fertile in superfici sempre più simili. Cambia il colore, cambiano le sensazioni sotto le scarpe, ma i rimbalzi sono molto simili. E i risultati si vedono. E’ una serie di conseguenze: i campi sono sempre più uguali; i tennisti giocano tutti allo stesso modo; i nuovi attrezzi fanno sembrare una fenomeno anche l’atleta più sgraziato. Questi fattori hanno reso il tennis piuttosto omogeneo. Vediamo ancora belle partite, per carità. Il problema è che un processo di questo genere non è positivo per il tennis. La presenza di campioni di assoluto livello come Federer (ultimo baluardo del tennis classico), Nadal e Djokovic sta mascherando il problema, anche perché si tratta di personaggi straordinari che hanno dato tantissimo in termini di popolarità. Ma quando loro non ci saranno più il problema rischia di deflagrare. Chissà che tra qualche anno Sports Illustrated non se ne esca con un’altra copertina “Is Tennis Dying?” come fece una ventina d’anni fa, poi smentito dai fatti. Di certo non è facile trovare una soluzione. Adesso il tennis è comandato da scambi muscolari, difficilmente sotto i 15-20 colpi. Qualche anno fa, tuttavia, ci si lamentava degli scambi troppo brevi sulle superfici veloci (sono passati alla storia i fischi a Ivanisevic, “reo” di tirare troppi ace) e delle eterne maratone sulla terra battuta. Insomma, non è che la colpa è anche nostra? Possibile che non ci accontentiamo mai? In verità, oggi al tennis manca qualcosa: il contrasto di stili. L’attaccante contro il difensore è una delle cose più affascinanti che si possono vedere su un campo da tennis. Prima questo concetto era tutelato dalla diversità delle superfici, oggi no. E per vedere qualche volèe ben giocata bisogna affidarsi ai peones del doppio.
La preoccupazione di tanti appassionati è che il tennis sia diventato troppo atletico e troppo poco “tecnico”. Ormai la preparazione fisica ha assunto un’importanza eccessiva. Tra le varie discipline sportive, il tennis è una di quelle maggiormente basate sulla tecnica. Il suo fascino dipende anche da questo. Il fatto che la tecnica sia sempre meno importante è un peccato. Una quarantina d’anni fa, il baseball si rese conto dell’eccessiva dominanza dei lanciatori sui battitori. Per questo abbassò l’altezza del monte di lancio e ridusse l’area dello strike. E' forse il momento che anche il tennis debba pensare a qualche modifica regolamentare? No, crediamo di no. Il tennis è legato alle sue tradizioni ed è giusto che le rispetti. La soluzione sarebbe tornare indietro, restituendo le superfici di 20 anni fa. Il Roland Garros lento, Wimbledon veloce e il cemento…democratico. La tecnologia dell’attrezzo ha già omologato abbastanza (e in quel caso non si può andare indietro), mentre sulle superfici si può lavorare in modo indolore. Perché è assurdo esclamare, come ha fatto la scorsa settimana il nostro Federico Ferrero: “Evviva, arriva il Roland Garros e finalmente vediamo un po’ di serve and volley!”. Non esiste.
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