US OPEN – Ormai dovrebbero chiamarlo così: dopo la clamorosa sconfitta di Djokovic, Marin Cilic mette ko Federer. Il croato sfiderà Nishikori nella prima finale Slam senza top-10 dal Roland Garros 2002.

Di Alessandro Mastroluca – 7 settembre 2014

 

Fed Ex. A New York, dove il pubblico vuole il sangue come diceva Jimbo Connors, l'epifania di Roger Federer, il campione che ha riscritto i libri di storia del tennis non avrebbe potuto essere più lampante: quel che era, non è più. E il 18esimo Slam continua ad allontanarsi. “Non mi serve il titolo numero 18 per essere più felice – ha dichiarato Federer – continuo a lavorare e ad allenarmi per conquistare altri tornei, non solo per un altro Slam”. Nessuna concessione, poi, a chi gli ha chiesto se perdere da un avversario rientrato da una squalifica per doping abbia un gusto più amaro. “Marin è stato un po' stupido, al massimo, ma non l'ha certo fatto apposta” ha dichiarato. Il pubblico non ha avuto la lotta all'ultimo sangue, non ce n'è stato bisogno. Ma in cambio ha avuto un pezzo di storia difficile da dimenticare. Ha visto Nishikori domare Djokovic, veleggiare verso la prima finale Slam e conquistare l'America. Poi ha visto Marin Cilic condannare Roger Federer a spettatore non pagante della sua peggiore sconfitta in una semifinale Slam. Perché mai lo svizzero aveva perso a questo punto di un Major da un giocatore fuori dalla top-5. In semifinale era stato sconfitto 5 volte da Djokovic, 3 da Nadal, una da Murray e da Safin, tutti compresi al momento del match tra il numero 1 e il numero 5, il maiorchino al Roland Garros 2005. E da allora, da quella finale tra Nadal e Puerta, non si vedevano due giocatori alla prima finale Slam giocarsi il titolo.


UN SERVIZIO INGIOCABILE

Mai Federer aveva perso in maniera così netta, portando a casa così pochi game, a New York dal 2001, dal 6-1 6-2 6-4 agli ottavi contro Andre Agassi che avrebbe giocato di lì a due giorni una delle partite più straordinarie nella storia di questo sport, il tributo a Van Halen perso contro Pete Sampras a 48 ore dall'attacco alle Twin Towers. Mai dal trionfo di Safin del 2000 proprio contro Pistol Pete si era visto un campione surclassato in maniera così totale. E non si ricordano tante esibizioni di forza così dirompenti nello stadio che porta il nome di un campione dell'intelligenza come Arthur Ashe. Cilic ha portato a casa 91 punti, la metà dei quali (43) grazie a colpi vincenti. Ha rischiato con la prima, ha servito solo col 56% ma quando l'ha messa in campo è risultato pressoché ingiocabile, perdendo solo sei punti. Ha piazzato il break subito, è salito 3-1, e ha chiuso il primo set con il quinto dei suoi 13 ace. È andato ancora più spedito nel secondo, in cui non ha brekkato al primo gioco e non ha perso nemmeno un punto con la prima. Federer, che aveva vinto tutti i cinque precedenti e cercava la settima finale a New York, la prima dal 2009, non ha mai dato la sensazione di poter creare dubbi nella mente dell'avversario. Così Cilic, che ha sempre vinto quando si è trovato in vantaggio di due set, ha continuato a dominare gli scambi da fondo, a rispondere con una precisione, un'aggressività senza precedenti. Perso il servizio per la prima volta nell'incontro, su uno dei rari vincenti di rovescio lungolinea dello svizzero, Cilic trova il controbreak subito al terzo game, grazie a due gratuiti di Federer, e allunga 4-3 con un devastante attacco di dritto. La partita, se mai è iniziata, finisce qua, finisce prima del lungolinea di rovescio a campo aperto che spinge Cilic a giocarsi il primo Slam senza aver mai giocato una finale nemmeno in un Masters 1000 e senza aver mai vinto un ATP 500.


UNA FINALE STORICA

Non si è mai concesso il lusso di pensare, il croato, non ha mai concesso il tempo di pensare: sui 165 punti dell'incontro, 126 si sono conclusi in meno di quattro colpi. È un ko tecnico quello che ha portato Cilic a diventare il primo croato in finale Slam dall'ultimo giro di giostra della wild card Ivanisevic a Wimbledon. Proprio lui che ora lo allena e che ha meriti nient'affatto secondari nella sua nuova freddezza, soprattutto al servizio. Che i margini per migliorare ci fossero, era il segreto di Pulcinella: era incredibile che un giocatore con la struttura fisica di Cilic ricavasse così pochi punti diretti. Ma quanti erano disposti a credere che Ivanisevic riuscisse a trasformare l'inaffidabile servizio di Cilic in un'arma tanto efficace e tanto simile alla sua? Certo non i bookmakers, che quotavano il titolo del croato a questi Us Open 80/1, più del doppio del successo di Nishikori, pagato alla vigilia 33 volte la posta. Chi ha rischiato su di loro due settimane fa avrà parecchi motivi in più per godersi la prima finale Slam fra due giocatori non compresi fra i primi 10 dall'affermazione di Albert Costa su Juan Carlos Ferrero al Roland Garros 2002. In ogni caso, Nishikori è certo di rientrarci comunque, in top-10, da martedì. Nishikori sarà almeno numero 8, ma salirà al n.5, davanti anche a Ferrer, dovesse vincere il titolo. Cilic, invece, ha bisogno di alzare il trofeo per rientrare fra i primi 10: diventerebbe numero 9 e farebbe uscire Murray dalla top-10 per la prima volta da luglio 2008. Alla fine, in una giornata così, di prevedibile restano solo le prime parole di Cilic. “E' una sensazione incredibile. È la partita migliore di tutta la mia carriera”.

US OPEN 2014 – UOMINI
Semifinali

Kei Nishikori (GIA) b. Novak Djokovic (SRB) 6-4 1-6 7-6 6-3
Marin Cilic (CRO) b. Roger Federer (SUI) 6-3 6-4 6-4