Il Grand Slam Board rinuncia al proposito ufficializzato lo scorso anno: i quattro Major resteranno con 32 teste di serie, format istituito nel 2001. Tornare a 16 avrebbe garantito primi turni più equilibrati, con la teorica chance di un primo turno tra il n.1 e il n.17. “Ascoltati i giocatori e le TV, abbiamo stabilito che non ci sono motivi per cambiare”.

Andando contro le linee guida diffuse lo scorso novembre, i tornei del Grande Slam hanno deciso di mantenere il format attuale, con 32 teste di serie. Il Comitato dei tornei del Grande Slam, riunitosi l'anno scorso, aveva deliberato la modifica a partire dal 2019. Marcia indietro: non ci sarà il ritorno a 16. Da quando i tabelloni sono a 128 giocatori, gli Slam adottavano un seeding a 16 giocatori che aveva indubbi vantaggi spettacolari ma era meno “tutelante” per i più forti. Motivo? Il numero 1 del mondo avrebbe potuto pescare un top-20 già al primo turno, magari il numero 17. Con il seeding raddoppiato, invece, i migliori giocatori avevano la certezza di non affrontare neanche un top-32 nei primi due turni, “cristallizzando” i tabelloni almeno fino al terzo turno. Detto che le valutazioni a tavolino sono state spesso disattese dal campo, è capitato di assistere a giornate senza particolare appeal e con incontri a senso unico. Per questo, i tempi sembravano pronti per un ritorno al passato. Invece, anche nel 2019 si andrà avanti con le 32 teste di serie. La modifica è stata effettuata nel giugno 2001: sembra che a caldeggiarla fossero stati gli specialisti della terra battuta, i quali auspicavano una maggiore “tutela” sui prati di Wimbledon. Erano altri tempi: intanto l'erba era davvero veloce, non come quella di oggi. E poi gli Slam avevano un montepremi invitante ma non ricco come oggi. Non a caso, diversi specialisti del rosso non si presentavano neanche a Londra. Prendete un campione come Thomas Muster, ex numero 1 ATP: in carriera c'è andato quattro volte, perdendo sempre al primo turno.

SCELTA CONDIVISA CON GIOCATORI E TV
Nel 2001, tra l'altro, ci fu l'onda emotiva di due sconfitte eccellenti nei tabelloni femminili. All'Australian Open, Lindsay Davenport (n.2) perse contro la numero 25 Jelena Dokic. Curiosamente, accadde lo stesso anche al Roland Garros, con la sconfitta di Venus Williams per mano di Barbara Schett, oggi volto noto di Eurosport. Perdere così presto alcune delle giocatrici più attese non piaceva ai tornei, che dunque accettarono di buon grado la riforma. Va detto che in 17 anni non ci sono stati particolari rivoluzioni: per esempio, in campo femminile, negli ultimi dieci Slam con la vecchia regola c'erano state 19 giocatrici non comprese tra le teste di serie a raggiungere i quarti di finale (o meglio). Guarda caso, la stessa cifra da Wimbledon 2015 allo Us Open 2017. Quest'anno, undici giocatori non compresi tra le teste di serie hanno raggiunto almeno i quarti, cinque uomini (Edmund, Chung, Sandgren, Cecchinato e Millman) e sei donne (Mertens, Suarez Navarro, Putintseva, Cibulkova, Giorgi e Tsurenko). Cifre che evidentemente soddisfano il Grand Slam Board. Non era stata una modifica epocale allora, è lo stesso oggi. I sorteggi dei main draw non avranno particolari incertezze o mine vaganti, ma tant'è. Semmai, incuriosisce il fatto che sia stata fatta marcia indietro. In una breve nota, il Grand Slam Board ha fatto sapere che: “Dopo un intero anno di analisi dei match e dei feedback ottenuti dai nostri interlocutori, su tutti i giocatori e le emittenti televisive, i tornei degli Slam hanno deciso che non ci sono motivi validi per tornare a un tabellone a 16 teste di serie”. Insomma, comandano i big: da una parte chi ha maggiore influenza (i top-players), dall'altra chi versa i soldi (le TV). E si va avanti così.