Lo svizzero spinge gli inglesi a tifarlo anche contro Murray e azzecca una prestazione mostruosa. Più che a un match di tennis, sembrava di assistere a un evento mistico, una Messa Laica.
Roger Federer saluta il pubblico adorante
Di Riccardo Bisti – 12 novembre 2012
Ogni volta che Roger Federer scende in campo, si avverte una sensazione quasi mistica. E’ come se il pubblico si fosse reso conto che il tennis, dopo di lui, non sarà più lo stesso. E allora lo sostiene con un calore misto a venerazione. E’ qualcosa che va oltre i sentimenti terreni, come se migliaia di persone abbiano fatto proprio il concetto di “Federer come esperienza religiosa” teorizzato da David Foster Wallace. Una passione totale e totalizzante, che sfocia nell’acriticità. Guai a toccare il proprio idolo, anche se mostra qualche (umano) vizio terreno, come le maxi-richieste economiche per giocare il torneo di Basilea. Pretese legittime, considerando il suo valore di mercato (due esibizioni in Argentina gli faranno guadagnare più che vincere uno Slam…), ma per il torneo dove ha fatto da raccattapalle…mah. Il vero tifoso di Roger Federer, queste storie, non le conosce o non le vuole conoscere. Preferisce perdersi nella mitizzazione di un giocatore fantastico, il più bello da vedere. E non solo perché ogni colpo è un dipinto, ogni movenza è uno scatto da cartolina. Federer è riuscito nell’impresa più difficile: mischiare eleganza ed efficacia e non perdere la testa quando si è reso conto che avrebbe potuto diventare un campione da leggenda. “Una delle cose di cui sono più orgoglioso è proprio la capacità di gestire tutti gli impegni extratennistici senza perdere efficacia” ha detto in più di un’occasione. L’abbraccio collettivo più vigoroso nella carriera di Re Roger è arrivato durante il 7-6 6-2 a Murray, in una O2 Arena “piena in ogni ordine di posti”, come avrebbero raccontato i radiocronisti degli anni 80. Raramente si è visto un pubblico così schierato per Federer. Ogni punto era accompagnato da un boato, l’atmosfera era elettrica. Ci poteva stare, Londra è la città dove ha ottenuto alcune delle più belle imprese in carriera. Però…
Però gli inglesi hanno scelto di abbracciare Federer (e tutta la sua mistica) proprio contro Andy Murray, l’eroe di Gran Bretagna, l’uomo che ha tolto la polvere dal tennis di Sua Maestà dopo decenni di vacche magre. L’uomo che è tornato in finale a Wimbledon dopo 74 anni, ha vinto uno Slam dopo 76 e ha regalato un indimenticabile oro olimpico. Avrà le sue fisime da scottish, ma merita la giusta gratitudine. E invece gli inglesi hanno scelto Federer. Il suo servizio a uscire, il dritto più bello che c’è, il rovescio più elegante, la danza atletica durante i punti, persino le smorfie. Si sono schierati dalla sua parte, senza incertezze, dandogli la sensazione di giocare in 17.800 contro 1. Una sensazione di onnipotenza che lo ha esaltato, mandando in confusione Murray dopo un ottimo inizio. Lo scozzese ha preso un break in avvio, quando sembrava esserci una calamita tra il dritto di Federer e la rete di metà campo. Murray giocava come sempre, mischiando muscoli e talento. Ha avuto diverse occasioni per prendere il doppio break, ma non ce l’ha fatta. E Federer ha lentamente preso a risucchiarlo, giocando bene e servendo ancora meglio. L’aggancio arrivava all’ottavo game. Murray teneva fino al tie-break, saliva 3-1 ma lo perdeva 7-5. Il delirio del pubblico era ormai incontenibile, sembrava di assistere a un film. Nello sport non puoi scegliere il finale che preferisci, mentre nelle fiction è possibile. Il pubblico voleva Federer vincente, e ha spinto affinchè arrivasse il lieto fine. Sull’1-1 del secondo, Murray è salito 40-0 ma poi è stato travolto dall’ambiente, massacrato da un Federer sempre più padrone del campo. Al diavolo i precedenti (Murray gli sta ancora avanti), gli ultimi cinque set persi, le incertezze mostrate contro Del Potro. Lo svizzero è tornato Re per una notte, spinto dalla gente e contro un avversario incredulo, che non ha saputo ribellarsi alla realtà.
Ma che poteva fare? Come puoi ribellarti alla tua gente se fa il tifo per il tuo avversario? Devi essere un figlio di buona donna, ma Andy non lo è. Non è ancora in grado di trasformare il nervoso in carica positiva. E i volgari monologhi ripresi dalle impietose telecamere di Sky UK lo hanno mandato in tilt. Autolesionismo, frustrazione. Nel secondo set era chiaramente in confusione. Federer giocava come in paradiso, lui era stordito, come un pugile colpito in pieno volto. E la gente rideva, rideva e godeva nel rendersi conto di essere protagonista e non solo spettatore. In conferenza stampa, Andy ha provato a giustificarsi: “Quando Roger è avanti, è quasi impossibile da fermare. Tende a giocare sempre meglio. E io gli ho dato questo vantaggio in avvio di secondo set. Il pubblico? Ovunque giochi, Federer ha il sostegno del pubblico. E’ giusto che sia così per tutto quello che ha ottenuto”. Forse aveva smaltito la rabbia, o forse bluffava. Durante il match non sembrava così fatalista. Mentre Murray torna a casa soddisfatto della sua stagione (“Se 12 mesi fa mi avessero detto che avrei ottenuto questi risultati, avrei firmato subito”), Federer è pronto per l’ultima sfida della stagione. Non è in palio il numero 1, e forse non sarebbe la vittoria più importante della sua scintillante carriera. Ma la finale contro Novak Djokovic ha mille significati simbolici. Intanto perché supera, per numero di match, la rivalità contro Rafael Nadal. Contro lo spagnolo ha giocato 28 volte (il bilancio è 18-10 per Nadal), mentre la finale di Londra sarà la 29esima sfida contro il serbo (con Federer avanti 16-12). Ancora di più, Federer avrà bisogno della gente. Perché Djokovic ha tutte le qualità di Murray (tecnica, fisico), ma ha una testa più evoluta, più cattiva. E’ uno che può esaltarsi con il tifo contro. Djokovic non ha problemi ad applaudire ironicamente il pubblico (vedi finale dello Us Open), non ha problemi a tirare a occhi chiusi sul matchpoint per l’avversario (Federer ne sa qualcosa…) e si esalta nella rissa agonistica, nel tennis-wrestling. Da parte sua, Federer avrà la magia di un impianto che adora (ha vinto le ultime due edizioni), un pubblico che impazzisce per lui e quella rabbia agonistica che ogni tanto gli scappa via, come se pensasse di non averne bisogno. Quando ha messo a segno l’ultimo dritto contro Murray, si è lasciato andare a un salto felino, inusuale per uno come lui. L’ultima volta che aveva fatto un gesto del genere risaliva a Wimbledon 2009, quando battè Roddick e vinse il 15esimo Slam. Un match chiave nella sua carriera. Se lo ha rifatto in una semifinale del Masters è perché avverte l’importanza del momento. Sente l’empatia del pubblico, una comunione extrasensoriale. Sarà la finale più bella, più attesa e più bramata. Neanche gli sceneggiatori di Wrestlemania avrebbero saputo creare un clichè così invitante.
Federer gode, Murray è stordito
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