Sesto successo all’Australian Open per Novak Djokovic, che aggancia il recordman Roy Emerson. Poche sorprese contro Murray: deve lottare, ma gli bastano tre set. Chiude 6-1 7-5 7-6 e si prende il quarto titolo negli ultimi 5 Slam. Un dominio che durerà ancora a lungo.Una sorpresa può bastare. L’exploit di sabato di Angelique Kerber aveva aperto qualche spiraglio: partiva più sfavorita lei contro Serena Williams rispetto a Murray contro Djokovic, eppure ce l’ha fatta. Lo scozzese, invece, è rimasto a guardare di nuovo. All'Australian Open vince ancora Novak Djokovic, vince sempre Novak Djokovic, per la seconda volta consecutiva, la quarta in finale contro di lui, la sesta nelle ultime nove edizioni. Solo una leggenda del tennis australiano come Roy Emerson aveva saputo fare tanto. Il numero uno del mondo l’ha prima osservato, poi puntato e quindi agguantato, salutandolo pure nella cerimonia di premiazione, e fra dodici mesi proverà un sorpasso che al momento appare scontato. Questo Djokovic non ha avversari: anche Murray, il numero due del mondo, quello che lo insidia maggiormente nel ranking (seppur, va ricordato, con la metà dei suoi punti) si è arreso in tre set, 6-1 7-5 7-6. Ha lottato, ha lasciato sul campo tutto ciò che aveva, ma non è bastato nemmeno per dare troppo fastidio a un Djokovic imbattibile. Al di là del punteggio, la sensazione è sempre quella: questo Djokovic non può perdere. È così quando rifila 6-1 6-2 a Federer in 50 minuti, ma anche quando commette 100 errori gratuiti contro Simon, o si complica la vita in finale. Arranca, chiude con dieci gratuiti in più rispetto ai colpi vincenti e magari regala qualcosa come avvenuto sia nel secondo sia nel terzo set, ma quando la palla scotta e il punto va portato a casa lo porta a casa lui. E mentre Murray si tiene a galla con servizio e rovescio ma spreca un sacco di energie fra un punto a l’altro, positive a caricarsi o negative a lamentarsi con sè stesso (atteggiamento limitato solo da Ivan Lendl, e non a caso sotto di lui sono giunti gli unici due Slam), lui rimane tranquillo, ad aspettare il momento giusto per affondare la spada.
NON CE N’È PER NESSUNO
Dopo il 6-1 in mezz’ora del primo set, si è fatto riprendere sia nel secondo sia nel terzo, prima da 4-3 e servizio e poi da 3-2 e servizio, ma per Murray è stata soltanto un’illusione. Nel secondo l’ha beffato sul 5-5 prendendosi cinque punti di fila da 40-0 sotto, mentre il terzo l'ha risolto al tie-break. Murray si è dannato l’anima per raggiungerlo, ma ci è arrivato senza energie, dopo quasi 3 ore a ritmi serrati. Solitamente regge di più, e non sapremo mai se il giorno di riposo in meno ha influito sul suo rendimento, ma rimane la sensazione che anche se avesse lottato per altre due ore il punteggio non sarebbe cambiato. Giocarsela alla pari è una cosa, vincere è tutt’altro. I primi due punti del tie-break sono la sintesi del concetto: Murray ha commesso un doppio fallo, 'Nole' ha sparato un ace e ne ha salutato il crollo, come se il risultato massimo concesso fosse proprio quello. Un solo tie-break, ma guai a vincerlo. E così a Murray è toccato di nuovo il piatto d’argento, il quinto della collezione in altrettante finali australiane. Colpe? Poche. Meriti? Non troppi se non quello di aver rimesso in piedi sia il secondo sia il terzo set, anche se non ha mai dato l’impressione di poter vincere, dunque per lui è una magra consolazione. Ne avrà una migliore al suo rientro a casa, dove troverà la moglie Kim sul punto di dare alla luce il loro primo figlio. Djokovic gli ha augurato tanta fortuna, ed è proprio lui ad aver ripetuto più volte che l’arrivo in casa di un bebè sia fra i motivi della sua crescita. L’augurio è che possa servire anche a Murray, ma non sempre (o quasi mai) basta la ricetta per ottenere gli stessi risultati.
UNDICESIMO TITOLO SLAM
Per Djokovic è il 61esimo titolo in carriera, il settimo di fila nel circuito. L’ultimo torneo dove non ha vinto è stato Cincinnati, poi è seguita una lunga serie di trionfi, da condividere con Marjan Vajda e Boris Becker. Oggi il coach tedesco – una statua per tutto il torneo – era felicissimo, per il titolo del suo assistito e perché il divario fra ‘Nole’ è gli altri è sempre più ampio, in classifica e pure nel livello. L’ha detto il match con Federer, l’ha confermato questo: nelle due finali precedenti fra di loro c’era stata grandissima battaglia per i due set iniziali, mentre oggia il primo è durato mezz’ora e il secondo poteva finire prima. Il suo è un dominio che non sorprende più, ed è per questo che a qualcuno piace poco. Ma la speranza di vedere dei ricambi ad alti livelli non deve togliere l’attenzione da ciò che Djokovic ha creato: una monarchia assoluta con pochissimi precedenti nei libri della racchetta. Sta ammazzando la concorrenza, più del Federer degli anni d’oro, quasi come il grande Nadal sulla terra rossa. Ma lo spagnolo era imbattibile solo lì, lui lo è dappertutto, e passo dopo passo, Slam dopo Slam, sta agguantando i record di entrambi. Nadal è a 14, raggiungibile già quest’anno allo Us Open, Federer a 17, sei gradini più su. Sembrano tanti, ma di questo passo non lo sono affatto. Per la seconda volta in carriera ha vinto tre Slam di fila, e come la precedente gli manca il solo Roland Garros per completare il poker, e pure il Career Grand Slam. L’anno scorso partiva favoritissimo e non ce l’ha fatta. Quest’anno, se possibile, pare ancora più forte. Difficile pensare che fallirà di nuovo.
AUSTRALIAN OPEN – Finale maschile
Novak Djokovic (SRB) b. Andy Murray (GBR) 6-1 7-5 7-6
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