Il calendario ATP deve combinare una serie di interessi, spesso diversi, sempre opposti. Allora nasce un compromesso che, per natura, non può soddisfare tutti. Qualcosa cambierà nel 2019, ma non ci saranno rivoluzioni. Di sicuro non è contento Milos Raonic: il canadese è tornato all'ATP 500 di Tokyo dopo uno stop di 5 settimane, in cui ha effettuato una piccola operazione al polso sinistro. Pur vincendo il suo match d'esordio contro Viktor Troicki (tornerà in campo nella mattinata italiana di giovedì contro Yuichi Sugita), si è lamentato dell'attuale composizione del calendario. Nel solo 2017, Raonic si è cancellato da cinque eventi e si è ritirato in un paio di occasioni. Numero 3 ATP in gennaio, oggi è sceso in 12esima posizione. “È molto frustrante, ho avuto più di una dozzina di infortuni che mi hanno costretto a saltare diversi tornei – ha detto Raonic – non è divertente, perché non mi sono potuto concentrare sul tennis ma solo sulla possibilità di giocare o meno. Ogni giorno, la domanda era: 'Oggi potrò giocare?' e non “Cosa ho bisogno di fare per migliorare?'”. E allora, ecco una stangata all'attuale calendario. In effetti, la stagione ATP dura dieci mesi per la stragrande maggioranza dei giocatori, che possono diventare undici per i partecipanti al Masters e i finalisti di Coppa Davis. “Pensate ai top-5 di fine 2016 – dice Raonic – io sono l'unico che sta ancora provando a giocare, e nessuno di noi ha partecipato allo Us Open. Forse è il testamento che certifica la necessità di una riforma: bisogna tutelare la carriera dei giocatori e garantire un tennis di buon livello per gli spettatori”. Raonic se l'è presa un po' con tutto: la programmazione dei tornei, la durata della stagione e la necessità di tanti spostamenti. “Credo che i tornei abbiano bisogno di un'occhiata”.
L'80% DEI GIOCATORI È DOLORANTE
Secondo Raonic, una stagione più compatta darebbe una mano alla competizione. “Date ai giocatori la possibilità di giocare in un periodo di sette mesi, in modo che possano concentrarsi su se stessi, sulla salute, ma anche sulla possibilità di migliorare, perché c'è bisogno di tempo. Credo che il tennis sia l'unico sport, forse insieme al golf, che vede i giocatori impegnati così a lungo senza la possibilità di riposare”. La pensa così anche Taro Daniel, che nel torneo di casa ha incassato una brutta sconfitta per mano di Yen Hsun Lu. “Trovo ridicolo il modo in cui il circuito è programmato – ha tuonato il giapponese – date un'occhiata a quanti giocatori sono infortunati in questo momento. La metà dei top-10 sono fuori, e soprattutto l'80% dei giocatori ha qualche dolore. Ci vorrebbe più spazio tra un torneo e l'altro. Ci sono giocatori che fanno cose pazzesche, tipo giocare negli Stati Uniti e in Cina la settimana dopo. E poi c'è chi resta in pista per quindici settimane consecutive dopo lo Us Open”. Noto per essere un cittadino del mondo, Daniel si sta lasciando dal suo coach e tornerà in Giappone dopo essersi allenato in Spagna per tanti anni. L'attuale organizzazione del calendario non gli va giù. “Per noi è una bella opportunità giocare da diverse parti del mndo, però è troppo dura. Per noi è facile dire che le cose vanno cambiate, ma come si fa? Sinceramente non ho la soluzione, ma sento che qualcosa dovrà cambiare”. Da quando l'ATP ha preso in mano il tennis mondiale, ormai quasi 30 anni fa, le discussioni sulla durezza del calendario tornano ciclicamente, così come la presunta necessità di accorciarlo. Il problema è che l'ATP deve mettere d'accordo le esigenze dei giocatori e dei tornei: come detto, sono spesso incompatibili. E allora sarà molto difficile che le cose cambino radicalmente. Forse si può ridurre il carrozzone di 1-2 settimane, ma i sette mesi di calendario auspicati da Raonic sembrano un'utopia.