Granatiere in campo, Milos Raonic stupisce per la cordialità e l’educazione. Sarà lui il grande rivale del “bad boy” Bernard Tomic? DI RICCARDO BISTI
Oltre a un gran servizio, Milos Raonis è dotato di un dritto molto potente
Di Riccardo Bisti – 20 gennaio 2011
Dopo le eliminazioni di Ivo Karlovic, John Isner e Lukas Lacko, l’Australian Open è rimasto senza “bomabardieri”. Anzi, no. C’è ancora Milos Raonic, classe 1990, canadese dal sangue montenegrino. A dispetto del ranking ATP (oggi è n. 23), sembra uno dei pochi in grado di scardinare il muro eretto dai Fab Four. Non gli manca niente: testa, fisico, tecnica e – ovviamente – un servizio micidiale. Nel match serale di sabato affronterà il vecchio leone Lleyton Hewitt, importante prova di maturità in vista di un possibile ottavo contro Novak Djokovic. Insieme a Bernard Tomic, il canadese è il giovane più credibile nella corsa al vertice. Tra i due può nascere una bella rivalità, magari diversa da quella “da ufficio stampa” tra Roger Federer e Rafael Nadal. Entrambi hanno origini balcaniche (croate per Tomic, montenegrine per Raonic), ma soprattutto hanno due caratteri diversi. Tomic è un “bad boy”: temperamento focoso, fidanzata appariscente, “fedina” già inquinata, carisma da vendere. Raonic, al contrario, sembra il ragazzo della porta accanto. In campo tira mazzate, soprattutto con il servizio. Ma è colto, maturo, intelligente. Uno con cui parleresti anche di argomenti extra-tennis. La sua classifica ATP è condizionata dall’infortunio all’anca patito lo scorso anno a Wimbledon, altrimenti sarebbe molto più avanti. L’operazione chirurgica ha restituito un Raonic scintillante e motivato. Ha vinto il primo torneo dell’anno (Chennai) senza mai perdere il servizio. “Il mio obiettivo? Semplice: essere uno dei migliori – racconta – ho visto giocare tante volte Pete Sampras, mio idolo d’infanzia, e non finiva mai nei campi secondari. Perché i campioni giocano sempre sul centrale”. In effetti, ci sono due modi per giocare sui campi importanti: affrontare un top player oppure essere uno di loro. Raonic ha scelto la strada da percorrere.
In un periodo storico sfavorevole ai giovani (8 dei 32 giocatori al terzo turno dell’Australian Open hanno almeno 30 anni), e in attesa di Dimitrov ed Harrison, Raonic rappresenta l’alter ego ideale di Bernard Tomic. I genitori dell’australiano abbandonarono la Croazia prima ancora di mettere al mondo “Bernie”, mentre Milos è nato a Podgorica, in Montenegro, quando si chiamava ancora Titograd. A 3 anni, per sfuggire agli orrori della guerra, i genitori hanno scelto di fuggire in Canada. Seguito e coccolato dalla federazione locale, Raonic è al 100% un prodotto canadese, e non c’è il rischio che faccia come Greg Rusedski, che abbandonò il Canada per approdare in Gran Bretagna. A domanda specifica, ha risposto senza esitazione: “Continuerò a giocare per il Canada”. E non potrebbe essere altrimenti, giacchè nel suo profilo Twitter c’è una foto con lui avvolto nella bandiera con la foglia d’acero. La sua forza, tuttavia, è stata nel “Non misurarmi mai con i miei connazionali. Me l’hanno insegnato i miei genitori sin da piccolo: non dovevo avere il Canada come termine di paragone, ma tutto il resto del mondo. Dovevo abituarmi a lottare per essere il migliore”. Casa sua è Toronto, ma in effetti è un cittadino del mondo. Risiede a Monte Carlo, torna spesso in Montenegro a salutare i familiari (i fratelli Momir e Jelena sono tornati nella patria nativa) e spesso fa base a Barcellona, dove si allena con coach Galo Blanco, ex discreto giocatore negli anni 90. Tipico terraiolo (fu uno dei tanti carnefici di Pete Sampras al Roland Garros), Blanco ha avuto il merito di far evolvere il tennis di Raonic, cogliendo dettagli importanti e aiutandolo ad affinarli. E non si limita ad allenarlo, ma spesso i due palleggiano insieme.
Il punto di forza di Milos, tuttavia, resta il servizio. Lo scorso anno ha ottenuto la terza miglior percentuale nel tenere il proprio turno di battuta: l’88% contro il 91% di Isner e il 90% di Federer. Condivide con Federer, al contrario, la leadership nei punti vinti con la prima di servizio: 79%. Il servizio è la giusta base per poi mettere in mostra il resto dell’artiglieria. Il dritto è devastante, la sensibilità a rete è sopra la sufficienza e recentemente ha imparato a giocare lo slice di rovescio. Senza dimenticare la mobilità, decisamente migliorata dopo l’improvvisa crescita adolescenziale che lo ha portato a un metro e 96 centimetri di altezza. “La decisione di operarmi all’anca ha causato parecchio stress tanto a me quanto al mio staff, ma alla fine è stata la scelta giusta” racconta con una proprietà di linguaggio quasi sorprendente. Osservatelo, nel match contro Hewitt. Prima di ogni servizio fa rimbalzare la palla otto volte e poi dondola il corpo per due volte prima di scagliare il missile. E’ il suo unico tic. “Ma mi viene naturale, non ci ho mai pensato” dice ridendo. Quando poi Christopher Clarey gli consiglia di non mettersi troppo a pensare, lui gli dà ragione. “Vero: pensare non è sempre la cosa migliore”. Incoscienza riflessiva: mica male, no?
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