Tutto faceva pensare a una vittoria di Juan Martin del Potro. A Parigi, Rafael Nadal lo aveva tenuto a distanza. Già a Wimbledon si era avvicinato moltissimo, ma lo Us Open è il suo torneo preferito, quello che guardava da bambino alternandolo alle partite di calcio. Ormai aveva agganciato il Nadal versione 2018, poi le vicende degli ultimi giorni hanno prodotto il sorpasso virtuale, concretizzatosi con un ritiro di Rafa sul 7-6 6-2 per l'argentino. È la terza volta in carriera che Nadal abbandona un match in corso in uno Slam, la seconda nel 2018. In Australia si era bloccato contro Cilic, stavolta ha alzato bandiera bianca dopo appena due set per un improvviso dolore sul 2-2 nel primo set. “Non è stata una bella sensazione perché è arrivato di colpo, fino a quel momento stavo bene – ha detto Nadal – ho atteso fino all'ultimo, sperando che migliorasse, ma non è andata così. Odio ritirarmi, ma non aveva senso restare in campo per un altro set”. L'infortunio non sembra preoccupante, ma quasi certamente lo obbligherà a saltare la semifinale di Coppa Davis contro la Francia. “Magari tra una settimana starà meglio, magari tra sei mesi non sarà migliorato” ha detto un Rafa sinceramente dispiaciuto. Non c'è dubbio che le 15 ore e 54 minuti trascorse in campo per arrivare in semifinale abbiano fatto la differenza. In carriera non aveva mai sofferto così tanto per raggiungere la Final Four di uno Slam. “Non è il modo migliore per vincere la partita – ha detto del Potro, che qualche tempo fa era quasi sparito dal ranking ATP – amo giocare contro Rafa perché è il più grande combattente del circuito. Non mi piace vederlo soffrire in campo”.
TRAINER A BORDOCAMPO
Ma se c'è un giocatore che meritava un pizzico di fortuna, beh, era proprio JMDP. Il suo calvario è noto a tutti, così come i ricordi di un 2015 nero, in cui arrivò a tanto così dal ritiro. “Ma li avete visti i miei amici di Tandil, in tribuna? – dice – ecco, loro sono stati molto importanti”. La seconda parte della sua carriera gli ha dato gioie immense, ma non è finita qui. “Significa molto giocare un'altra finale Slam, non pensavo che ci sarei riuscito un'altra volta. Questo è il mio torneo preferito, i miei ricordi più belli li ho vissuti su questo campo, nel 2009, ma ero un ragazzino. Oggi sono molto più vecchio”. In questi nove anni si è sottoposto a quattro operazioni, tutte presso la Mayo Clinic di Rochester, in Colorado. In mezzo, ha saltato 14 tornei del Grande Slam e ha vissuto giorni duri, provando un sentimento simile alla depressione. Ma oggi è tutto alle spalle. Un nuovo coach (Sebastian Prieto) e un rovescio che col tempo ha trovato nuove vie. “Non so cosa ci sia di diverso nel mio gioco rispetto al 2009 – ha detto – forse, a causa degli infortuni, ho dovuto migliorare il rovescio in slice e imparare a giocare la smorzata. In questo senso, è stato positivo”. Il servizio e (soprattutto) il dritto hanno continuato ad essere letali. Nel pomeriggio di Flushing Meadows, uggioso ma senza pioggia, Nadal aveva chiesto la presenza del trainer a bordocampo ancora prima che il match iniziasse, ma nei primi game non ha dato particolari segni di difficoltà. Per due volte sotto di un break (con tanto di due setpoint annullati sul 5-4), si è rifugiato nel tie-break, ma lì del Potro ha giocato meglio, nonostante un'accanita resistenza in fase difensiva. Al primo cambio di campo nel secondo set, si è fatto nuovamente fasciare il ginocchio destro. Ben presto, ha iniziato a soffrire. Delpo è scappato 3-1, poi 5-2, infine 6-2. La mobilità di Nadal era via via compromessa: a fine secondo set pensava di andare avanti, ma l'ennesimo check con il fisioterapista lo ha convinto a lasciar perdere.
OCCHIO ALLA CLASSIFICA ATP
Con sportività, l'argentino ha fatto un cenno al pubblico, lasciando a Nadal tutti gli applausi prima di prendersi l'ovazione degli argentini, talmente su di giri che poi hanno festeggiato fuori dall'impianto, facendo un tale baccano da creare qualche problema alla trasmissione di Eurosport “Game, Schett and Mats”. Erano legittimati a farlo, perché New York sta sancendo l'ennesimo capitolo del “Milagro Del Potro” raccontato da Sebastian Torok nel suo libro uscito nel 2017 e che, a quanto pare, avrà bisogno di una ristampa per descrivere l'ennesimo miracolo. Tra l'altro, per lui si fa interessante anche il discorso legato alla classifica ATP. Dovesse vincere il torneo, si porterebbe ad appena 120 punti da Roger Federer e quindi con il numero 2 ATP a un tiro di schioppo. Nadal è ancora lontanuccio ed è quasi imprendibile anche nella Race stagionale (l'unico che potrebbe ancora pensare di acchiapparlo è Novak Djokovic: in questo senso, la finale sarà un match molto importante anche per questo). Però sta gettando basi importanti per provare ad raggiungere il terzo obiettivo che si era dato da ragazzino, l'unico che per adesso non si è avverato: diventare numero 1 del mondo. Ma adesso c'è una finale da giocare. Una finale con tanti significati, tra retorica e poesia applicata allo sport. Una finale tutta da vivere.
US OPEN UOMINI – Semifinale
Juan Martin del Potro (ARG) b. Rafael Nadal (SPA) 7-6 6-2