Nadal è ancora protagonista della miglior partita del torneo ma, come a Rio, veste i panni dello sconfitto. Ciò che un tempo era il suo cibo, sta diventando il veleno del maiorchino. Rafa non sa più uccidere … Di FEDERICO MARIANI

Di Federico Mariani – foto Getty Images

 

Rafa ha appena risalito la corrente lunga tre matchpoint consecutivi in un entusiasmante tie-break del quinto set – una roba possibile solo a New York tra i quattro grandi tornei – ritrovando ossigeno col rifugio sul 6-6. Pouille ha giocato un match spaventoso per qualità, intensità e resistenza. Ha avuto le sue chance – tre di fila, appunto – ma nella palla-match col servizio a disposizione ha tentato un dritto inside-in dopo uno scambio duro, terminato un metro abbondante oltre la riga. Con questo dritto dovrebbe terminare senza lieto fine la favola del francesino dal tennis brillante. Nadal è un ossessivo della vittoria e fa proprio quel rifiuto totale della sconfitta concesso solo agli immortali dello sport, un atteggiamento che trasportato sui normodotati risulterebbe demenziale, caricaturale. Mai far rialzare Rafa dopo averlo steso, altrimenti sei morto. O uccidi o sei morto, è il tennis, è la vita. Dopo il cambio campo sul 6-6 è ancora il francese dal volto gentile al servizio. Si scambia, Nadal inizia a ordire la solita trama, quelle delle grandi occasioni: la chela mancina tramuta inserobilmente l’iniziale difesa in offesa e il diavolo di Manacor trova la palla morbida, quella dove fare perno, scivolare col corpo alla giusta distanza e trovare l’amico di una vita, il gancio coi piedi dentro il rettangolo di gioco: il colpo del ko, una sentenza.

 

Stop!

 

A questi livelli dritto e rovescio lasciano il tempo che trovano. Qui è la testa, la fiducia, l’anima a marcare la differenza tra la sconfitta e la vittoria. È uno sport di centimetri che sembrano chilometri e non potrebbe essere altrimenti. Se scava nella sua memoria, Rafa ritroverà quel dritto almeno qualche miliardo di volte, è il suo colpo, il punto esclamativo col quale concretizzava tutta la fatica dei massacranti scambi, mezzo necessario per metterlo in condizione di staffilare quel colpo.  Sul 6-6 contro Pouille, Nadal rema tre volte col rovescio, poi il dritto fa girare lo scambio e si arriva al momento-verità. Il maiorchino può scegliere e le alternative sono due e piuttosto banali: piazzare il vincente inside-out o piazzare il vincente inside-in. Quel dritto, invece, Rafa lo deposita a metà rete. Giù il sipario! Il vincente numero 59 timbrato da Pouille, autore di una prova mozzafiato, è quasi una banale conseguenza. Nadal – come accaduto alle Olimpiadi contro Del Potro  e in altre (troppe) occasioni negli ultimi mesi – prepara la bocca a una dolce vittoria ma ingoia l’amaro della sconfitta. Come in una perversa legge del contrappasso, Rafa si sta cibando di quella frustrazione che per anni ha instillato nei sui avversari.

 

Il tennis si dimostra sport di una crudeltà democratica. È perfido  con tutti, non fa sconti neanche alle divinità, e in fondo è giusto così. I numeri – che hanno sin troppa memoria ma pochi ricordi – fotografano un tramonto incombente sulla testa del giocatore più rivoluzionario del Gioco. Negli ultimi dieci Slam i migliori piazzamenti di Rafa sono stati due quarti di finale, sostanzialmente una miseria. Non è questo, tuttavia, a turbare il sonno dell’iberico perché, se sei una leggenda, i numeri diventano pleonastici. Nell’ultimo biennio Rafa sembra una tigre addomesticata, un serpente senza veleno. Tecnicamente e fisicamente non è lo schiacciasassi che fu, ma altresì non è certo la profondità del dritto o il rendimento del servizio che gli impedisce di vincere i match che deve vincere. Il problema ha sede più in alto, in quella psiche un tempo animalesca e programmata per uccidere che ora non uccide più, gli anglosassoni lo chiamano killer instinct e non si allena, ma si può disperdere. Certo è che dev’essere avvilente venire annientato con le tue stesse armi. Come per Federer, sarebbe fuori luogo vomitare sentenze auspicanti a ritiri o simili perché è scorretto invadere l'intimità di un campione provando a capire ragioni che, ovviamente, soltanto lui conosce. Lo svizzero ha inevitabilmente perso smalto e freschezza, ma dalla sua parte ha avuto (e probabilmente sempre avrà) il sostegno di un talento spropositato, servo perpetuo della sua racchetta. E Nadal invece? Se si sgretola la roccaforte delle sua certezze, cosa resta?

 

 

O uccidi o sei morto. È il tennis, Rafa, è la vita.