Esiste una correlazione fra infortuni a spalla, gomito, polso, e attrezzatura? Abbiamo provato a fare chiarezza con l’aiuto di qualche dato tecnico

Allarme spalla per i giovani

In qualità di tecnico prestato dall’ingegneria al mondo del tennis, da anni mi pongo una domanda: esiste un collegamento fra la possibilità di contrarre infortuni, la tecnica di gioco e lo strumento che si utilizza in campo, intendendo con ciò telaio, corde e relativa tensione?

Appare piuttosto evidente come l’incidenza degli infortuni a polso, gomito e spalla siano negli ultimi anni in forte crescita, e come i soggetti particolarmente colpiti siano i giovani agonisti e i giocatori di medio-alto livello con un’età prossima o superiore ai 30 anni. La componente fisica, nel tennis moderno, del resto è determinante; lo sforzo ripetuto e gli shock da impatto comportano un aggravio all’apparato tendineo e muscolare importante e in grado di lasciare segni anche permanenti sul nostro fisico.

I più giovani si infortunano soprattutto alla spalla. Il motivo è semplice ed è legato al fatto che questa articolazione, particolarmente complessa dal punto di vista tendineo e muscolare, è biomeccanicamente una cerniera sferica, quindi estremamente delicata in termini di generazione di forza.

Buona parte degli infortuni alla spalla si deve alla generazione di potenza e di forza quindi, a tutti i livelli, se soffriamo di problemi del genere dobbiamo scegliere un’attrezzatura che ci consenta di produrre velocità di palla con il minimo sforzo, e che al contempo ci permetta di maneggiare la racchetta con buona facilità. Quindi sintetizzando: minor peso = massima maneggevolezza e buona generazione di potenza.

Rischi per il gomito? Il motivo è tecnico

Un’alta percentuale di infortuni, altrettanto comune e molto trasversale, interessa il gomito; le due varianti sono il classico gomito del tennista (tennis-elbow, o epicondilite) e il gomito del golfista (golf-elbow, o epitrocleite). Queste due patologie dipendono in misura notevole da aspetti tecnici: l’esecuzione del rovescio per l’epicondilite, quella del servizio-dritto per l’epitrocleite. In entrambi i casi gli elementi da considerare sono la corretta esecuzione dei colpi e la rigidezza dell’attrezzo (corde-tensione-telaio) in termini di shock trasmesso alle articolazioni.

Polso, attenti alla presa

Proseguiamo e prendiamo in esame il polso. Questa articolazione è come la spalla, una cerniera di tipo sferico, particolarmente delicata e allo stesso tempo molto utilizzata nel tennis moderno per dare ‘complessità’ alla palla e generare spinta. Essendo prossimo alla posizione di impatto, il polso risente in modo diretto e sensibile del contatto della palla sul piatto corde – che può arrivare a sviluppare un carico di picco di 12-15kg al momento dell’impatto – ma anche il tipo di presa, la dimensione e conformazione del manico, hanno un peso non trascurabile. In analogia con il gomito, il polso risente di giocate tecnicamente non corrette, utilizzo di corde rigide a tensioni elevate e presumibilmente un attrezzo troppo rigido in termini di risposta dinamica.

La salvezza viene dai materiali

Spalla, gomito e polso sono tre elementi connessi e parte di un sistema dinamico che contribuisce alla massima performance del giocatore. Ma la racchetta? La racchetta, come spesso si dice, è il prolungamento del braccio e come tale deve consentire di essere impugnata con naturalezza, cercando la massima velocità di esecuzione, il minimo sforzo e riducendo la trasmissione delle sollecitazioni alle articolazioni.

La ricerca dei produttori di telai e di corde, da qualche tempo a questa parte, si è diretta verso lo studio di attrezzi in grado di mitigare l’effetto ‘tavoletta’ dovuto al sovrapporsi della rigidezza del telaio a quella delle corde, per stemperare la potenza dell’attrezzo (dovuta alla rigidezza stessa del telaio e ad inerzie molto elevate). A prima vista una scelta anomala rispetto ai dettami che hanno guidato la progettazione delle racchette di nuova generazione negli ultimi dieci anni. La flessibilità dei telai perseguita da quasi tutti i principali marchi è ottenuta attraverso l’utilizzo di materiali come fibra di carbonio e di vetro, e compositi a basso modulo elastico. Da un lato, quindi, una sorta di ritorno al passato, guardando però avanti in modo innovativo. Materiali a minore rigidezza consentono infatti di avere racchette più flessibili anche nel caso di telai profilati, un tempo caratterizzati da valori RA (rigidità) superiori ai 70 punti; questo con l’obiettivo di interagire con maggiore dolcezza sulle articolazioni, garantendo facilità di movimento e pesi medio bassi. In questi termini, anche la spaziatura e il posizionamento delle corde ha un peso importante, dato che dall’ottimizzazione della spaziatura (in gergo tecnico drilling) e dallo studio oculato della conformazione dei passacorde (grommet), si possono ottenere variazioni significative in termini di resa dell’attrezzo, se è vero che spesso due racchette ‘giocano’ in modo differente semplicemente cambiando i passacorde.

Per le corde il percorso che si persegue è simile. La ricerca di questi ultimi anni punta a ottenere filamenti che consentano elevate rigidezze all’allungamento (rigidezza statica) per massimizzare la performance in termini di controllo ma con un minimo shock sulle articolazioni del braccio (minima rigidezza dinamica). In questi termini il trattamento superficiale delle corde, e il loro scorrimento laterale durante l’impatto, assume un ruolo fondamentale. Come diceva il buon Jack Kramer, scegliamo dunque il telaio che possiamo muovere alla massima velocità possibile per l’intero arco della partita, con un occhio particolare all’utilizzo di corde e tensioni che ci consentano di avere un controllo accettabile senza sollecitare in modo eccessivo le articolazioni, perché ricercare il controllo attraverso tensioni e corde rigide potrebbe essere controproducente sul medio e lungo termine.

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