Gianluigi Quinzi e Matteo Donati infiammano il ricco Challenger di Caltanissetta: battuti rispettivamente Facundo Bagnis e (di nuovo) Santiago Giraldo. Tutto quello che ci ha convinto, e non ci ha convinto, nelle vittorie delle due grandi speranze azzurre. (Foto Walter Lo Cascio)

“Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”, cantava Francesco De Gregori nella sua “la leva calcistica della classe ‘68”. Bene, siamo d’accordo con lui e non vogliamo certo sbilanciarci per un paio di match vinti, ma è all’occhio di tutti che al Challenger di Caltanissetta – con i suoi 106.500 euro di montepremi è il secondo torneo italiano dopo il Masters 1000 di Roma – sta succedendo qualcosa di molto interessante. Gianluigi Quinzi, alla “prima” in Italia da quando ha iniziato a lavorare con Ronnie Leitgeb, ha colto la seconda vittoria in carriera contro un top-100 battendo per 6-4 2-6 6-2 l’argentino Facundo Bagnis (95 ATP), e si è regalato un quarto di finale che è ossigeno puro, allungando a dodici la sua striscia di vittorie consecutive dopo i successi in due Futures fra Ungheria e Bosnia. Matteo Donati l’ha seguito un paio d’ore dopo superando di nuovo – e di nuovo al tie-break del terzo set, 6-2 3-6 7-6 – il colombiano Santiago Giraldo, uno che non ha bisogno di presentazione ed è decisamente più abituato a stare nel circuito maggiore. Al di là del risultato, due test interessanti per capire le condizioni attuali e il valore delle due migliori promesse azzurre, chi per un motivo, chi per un altro, non ancora sbocciate del tutto. Se, secondo i dati riportati nello streaming ufficiale dell’ATP, il match Quinzi-Bagnis ha superato quota 29.000 spettatori unici, mentre Donati-Giraldo ne ha fatti giusto 800 in meno, significa che di interesse nei loro confronti ce n’è eccome. E chissà cosa succederà venerdì, quando i due golden boy del nostro tennis si troveranno uno di fronte all’altro, per un duello che vale una semifinale e 45 punti preziosissimi, tanti quanti ne mette in palio un quarto di finale in un qualsiasi ATP 250. Ieri sera davanti al pc c’eravamo anche noi, e vi raccontiamo quanto di buono (e meno buono) abbiamo visto nei due match degli azzurri.

GIANLUIGI QUINZI

L’ATTEGGIAMENTO
Quando l’abbiamo intervistato un paio di mesi fa, Leitgeb (in Sicilia con Gianluigi) ha subito specificato che sarebbe stato imprudente attendersi dei miracoli nell’immediato, ma la sua mano si può già notare. Il Quinzi visto contro Bagnis, anche in un secondo set giocato piuttosto male, è parso un giocatore più sereno rispetto a come ce lo ricordavamo. Meno parole al vento, meno lamentele con sé stesso e più concentrazione. La striscia positiva di vittorie ha i suoi meriti, gli ha permesso di fare il pieno di fiducia e andrà rivisto quando arriveranno altri (inevitabili) momenti complicati, ma per ora è piaciuto.

IL CAMBIO DI RACCHETTA
I meno attenti all’attrezzatura non l’avranno notato, ma dopo parecchi anni con una Babolat Pure Control, il marchigiano ha iniziato a utilizzare una Pure Drive. E la scelta ha decisamente senso. Il controllo c’è già, c’è sempre stato, a questo Quinzi serve un po’ più di quella che nel gergo tecnico vien definita “spinta” e il nuovo telaio – la famosa Excalibur che ha cambiato la carriera di Sara Errani – può dargli una discreta mano.

LA VOGLIA DI VINCERE
Sembra una banalità, ma storia insegna che non lo è affatto. A Quinzi non manca, anzi, è sempre stata una delle sue principali qualità. Il rifiuto per la sconfitta, il desiderio di vincere sempre, a tutti i costi. In certi frangenti l’ossessione per il risultato si è ritorta contro, stavolta gli è servita eccome. Al secondo turno non avrebbe nemmeno dovuto esserci, invece ha recuperato dal cestino un primo turno contro Clezar ormai buttato via (1-5 al terzo), e oggi dopo il calo del secondo set è andato a prendersi il terzo, di superiorità, di voglia. Bagnis gli ha regalato il 3-1 con un doppio fallo, lui non gli ha più fatto vedere mezza chance.Quiz

LA DIFESA
Forse non è una buona notizia, specialmente per chi si è sempre definito un giocatore da cemento, ma già sapersi difendere come si deve è un bel punto di partenza. Il Quinzi 2.0 (o, se preferite, 3.0) è parso molto meno macchinoso negli spostamenti, segno che il duro lavoro fisico imposto da Leitgeb sta dando i risultati sperati. Si muove bene quando (troppo spesso, ma ci arriviamo) è l’avversario a comandare, e a determinate velocità sbaglia poco. Certo, se spingesse un po’ di più lui… Tende a giocare un po’ troppo lontano dal campo, e quindi è spesso obbligato a subire, fatica a imporre il suo gioco. Però a tennis si può vincere in vari modi, e se prendere sempre l’iniziativa è un problema, giusto concentrarsi su altri settori. Non diventerà il fenomeno che ci aspettava, ma ci sono un sacco di ottimi giocatori arrivati in alto con un tennis più attendista. Unico appunto: è vero che andare a rete non va più di moda, ma serve ancora.

LA VELOCITÀ DI PALLA
Su questo aspetto ha pienamente ragione Leitgeb: niente miracoli. Ma è normale sia così. Per cambiare determinate cose o correggere alcune lacune ci vuole tempo, mesi, a volte anni. L’importante è iniziare e proseguire su una determinata strada. Il rovescio resta il colpo migliore, ma fa meno male di quanto potrebbe. Idem il diritto. A volte pare che la palla gli esca troppo piano dalle corde, contro certi giocatori rischia di beccarsi una valanga di vincenti, come avvenuto (in parte) all’inizio del secondo set. Ha accorciato un pochino e l’avversario è andato a nozze. Con questa palla sarà difficile fare chissà cosa.

IL SERVIZIO
I picchi di velocità possono spesso sopperire alla mancanza di varietà, ma al momento latitano entrambe le cose. Da uno che supera il metro e 90 ci si aspetta un servizio (molto) più efficace, a maggior ragione da chi parte col vantaggio di essere mancino. Ogni giocatore sottolinea che rispondere ai mancini è più complicato: un motivo ci deve essere. Non siamo tecnici, non spetta a noi dire come si possa lavorare sul servizio di GQ. Ma ci si può lavorare.

IL CALO DEL SECONDO SET
Gli è successo sia ieri sia oggi. Dopo aver vinto il primo, consciamente o meno, ha un po’ mollato la presa, ha perso profondità e si è lasciato dominare dagli avversari. Bravissimo a riprendersi in tempo, ma non sarà sempre così. Ergo, meglio ridurre le pause. Più il livello si alza e più il problema può diventare pericoloso.



MATTEO DONATI

IL CORAGGIO
Tornando alla canzone di De Gregori, proseguiva così: “Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”. Nel tennis giocato la seconda qualità non esiste, è uno sport individuale, ma le altre due sì e sono importantissime. Se Quinzi è sembrato far fatica con entrambe, non si può dire lo stesso di Donati. Matteo spinge forte. Si prende i suoi rischi anche nelle situazioni delicate e riesce spesso a emergerne con merito. Vuole sempre comandare il gioco, nel bene o nel male la partita la fa lui. A volte esagera, ma meglio perdere un punto con la scelta sbagliata piuttosto che con quella giusta dell’avversario. In quanto a fantasia, va citata la varietà al servizio. Sa usare (e bene) tutti gli angoli, e si è visto contro uno che in risposta sa il fatto suo

IL DIRITTO
Non c’erano dubbi, ma ogni match lo conferma. È un colpo già pronto per il tennis di alt(issim)o livello. Lo usa a comandare, a costruire i punti con ordine, ma anche a difendersi, a ribaltare l’inerzia dei punti. È pesante, salta alto, viaggia forte. È un piacere per gli occhi, come la risposta d’incontro che gli ha dato il break del 3-1 nel terzo set. Roba per pochi. E nel game seguente ne ha tirati un altro paio mica male. Lasciateci sbilanciare: non esiste che uno così sia ancora impantanato fuori dai primi 250 del mondo. Anche se è vero che buona parte della colpa è degli infortuni.

IL TIE-BREAK E I PUNTI IMPORTANTI
Due match in due giorni al tie-break del terzo set non si vincono per caso. Quando ogni punto perso pesa come un macigno servono “los huevos”, per dirla alla Fognini, e qui ci siamo eccome. A Roma l’aveva giocato alla perfezione, mentre oggi si è fatto riprendere da 5-2 (e servizio) a 5-4. Ma poi ha sparato una risposta nei piedi di Giraldo, a far capire subito che la rimonta era finita lì. In generale, Donati sembra portato a giocar bene i punti importanti. Come le due palle-break salvate alla grande in apertura di terzo, o il modo in cui è risalito da 0-30 sul 4-4: ace, frustata di dritto vincente, dritto ad aprirsi il campo e volèe dall’altra parte. Insomma, la stoffa c’è. Ora va cucita a modo.

IL SECONDO SET
Dopo aver dominato il primo set, con tre break consecutivi per salire 5-1, non ci si può lasciar sfuggire il secondo in quel modo. Il piemontese ha perso un po’ la misura dei colpi, Giraldo ha alzato il livello e in un attimo è volato sul 5-1 incontrando veramente poche difficoltà. Poi è arrivata la reazione, da 5-1 a 5-3, ma è stato troppo tardi.

I TROPPI ALTI E BASSI
Abbiamo citato prima il quinto game del terzo set per un paio di diritti splendidi dell’azzurro. Ma è stato anche uno dei simboli dei suoi troppi alti e bassi. Dopo aver arrancato nei primi due game di servizio è salito 3-1: sembrava aver preso il match in pugno e dato una seria mazzata al morale dell’avversario. Invece, in mezzo a qualche gran punto ci ha aggiunto alcuni errori di troppo, il break è tornato indietro e il match è iniziato da capo. In finale gli ha dato ragione comunque, ma quando ci sono concrete possibilità di scappare via è meglio non lasciarsele sfuggire.

LA MOBILITÀ
Vero che è molto alto, quindi i movimenti non saranno mai il suo forte. Vero che gli tocca spesso fare i conti con degli infortuni, quindi non può allenarsi come vorrebbe. Vero che è stato in campo due ore e mezza il giorno prima (anche se a 21 anni in 24 ore dovrebbe sparire tutto), quindi probabilmente non era al 100%. Vero che cerca di chiudere lo scambio nel minor numero di colpi possibile, quindi spesso non ha troppo bisogno di correre. Ma nel duello serale Donati non è parso proprio una scheggia. Ci si può (e deve) lavorare.