Nei momenti difficili, la campionessa dell'Australian Open guardava il pupazzetto regalatole dal padre dopo una sconfitta. Lo guardava e capiva di avere mille motivi per sorridere. Per questo ha continuato a migliorarsi, incurante dei giudizi e delle sentenze affrettate. Da Herfølge a Melbourne, la lunga costruzione di un successo.

“Se deve succedere, succederà”.
Era il giugno dell'anno scorso quando Caroline Wozniacki ha dovuto rispondere all'ennesima domanda sul perché non avesse ancora vinto un torneo del Grande Slam. Davanti a lei non c'era un giornalista, ma la giocatrice di badminton Camilla Martin. Più che un'intervista, una raccolta di confidenze andata in onda sulla TV danese.
“Se deve succedere, succederà”.
Sette mesi dopo, l'incubo è finalmente terminato. In mondovisione, Caroline ci ha offerto un mix di lacrime e sorrisi. Ma è difficile capire cosa sia successo dentro di lei quando l'ultimo dritto di Simona Halep è finito in mezzo alla rete. Non lo può capire nessuno, forse soltanto papà Piotr. Un raro esempio di buon padre, ancor prima che allenatore. Soltanto lui sa quello che hanno vissuto, tra illusioni, delusioni, aspettative e ostacoli. Qualcuno aveva storto il naso perché Caroline non è mai stata in grado di tenersi un coach per più di qualche mese: Sven Groeneveld, Michael Mortensen, Ricardo Sanchez, David Kotyza, persino lo sparring partner (con ambizioni da coach) Sascha Bajin… tutti travolti da un rapporto che – visto da fuori – sembra malato, patologico. Ma quando non si conosce la storia, è meglio restare in silenzio anziché sparare giudizi. E la storia la conoscono solo loro due. Soltanto loro sanno da dove arriva la famiglia Wozniacki: polacchi, hanno trovato rifugio in Danimarca. Non facevano la fame, ma non navigavano nell'oro. Anni prima, il padre di Piotr (Tadeusz Wozniacki) non aveva la possibilità economica di mantenere il figlio. Così lo lasciò ai nonni materni. Aveva otto anni quando ha scoperto chi fossero, per davvero, i suoi genitori. In punto di morte, Tadeusz ha chiesto al figlio di cambiare nome per onorare quei nonni che tanto avevano fatto per lui. E così, dal 2003, sul suo passaporto c'è scritto Victor Krason. Ex calciatore, sposato con una pallavolista, non potevano che mettere al mondo due sportivi.

UN PREMIO DOPO UNA SCONFITTA
​Oltre a Caroline, c'era anche Patrik. Entrambi aspiranti calciatori. Ma se Patrik ha continuato a prendere a pedate un pallone, Caroline non trovava la sua dimensione. In Danimarca c'erano poche squadre femminili, e il padre non voleva che la figlia giocasse soltanto con i maschietti. Allora le ha messo una racchetta in mano, ma giocare a tennis in Danimarca non è facile. Un po' per il clima, un po' per l'assenza di strutture e tradizione. In quegli anni, tennis voleva dire Kenneth Carlsen (?) o Frederik Fetterlein (???). E poi i costi. I Wozniacki vivevano a Herfølge: per allenarsi, il padre doveva accompagnarla a Vallensbæk, Birkerød, Værløse Farum… si allenava al mattino presto e alla sera tardi, quando i campi non erano occupati dai soci. Studiava in macchina, mangiava in macchina, sognava in macchina. Però vinceva. L'hanno intervistata per la prima volta quando aveva 8 anni. Divenne talmente famosa da commuovere Peter Brixtofte, sindaco della città di Farum, che aiutò la famiglia ad acquistare un appartamento in città. Così avrebbe potuto allenarsi nelle migliori strutture possibili senza perdere ore e ore nel sedile del passeggero dell'auto di papà. Ma in Danimarca non c'è tradizione, non c'è possibilità di migliorare. E così Piotr Wozniacki ha scelto di seguirla a tempo pieno, cogliendo al volo la possibilità di trasferirsi a Monte Carlo, dove sono arrivati gli aiuti della WTA. “È stato un periodo durissimo perché sapevo che avrei dovuto privilegiare uno dei due figli – racconta Piotr – Patrik era un buon calciatore e aveva bisogno di aiuto, ma io dovevo scegliere uno dei due. Sono orgoglioso di come ha accolto la mia decisione e di come ha continuato a sostenere Caroline”. Per anni, si è sentito il peggior coach in circolazione. “Però mi ha aiutato parlare e imparare dalle altre persone del tour. Non consiglierei mai a un genitore di allenare il figlio, perché la percentuale di successo è bassissima. Un genitore deve tenere gli occhi aperti, ma da lontano. Un figlio ha bisogno che i genitori stiano alla larga”. Lui ha provato a mettersi da parte, tanti tecnici sono entrati a far parte del progetto. Ma Caroline non ha mai saputo – o voluto – staccare il cordone ombelicale. Aveva deciso così tanti anni prima, dopo che aveva perso una brutta partita in un torneo giovanile. Un dura battaglia, senza lieto fine. Nel viaggio di ritorno verso casa, lui uscì dall'autostrada apposta per andare in un negozio di giocattoli. Le ha comprato un orsacchiotto. “È il tuo premio per essere l'agonista numero 1. Ti aiuterà a tenere i piedi per terra e a capire quello che è davvero importante per te”. Ne ha avuto bisogno, negli anni a venire.

UNA MARATONA PER RINASCERE
​Professionista a 15 anni, nel 2010 è diventata numero 1 al mondo. Forse non era ancora pronta, ma era una storia troppo suggestiva per non essere infiocchettata dai media. Anni prima, dopo aver vinto i campionati nazionali under 12 senza perdere un solo game, le chiesero cosa avrebbe voluto diventare da grande. “La numero 1 del mondo” rispose, con la bocca imprigionata da un apparecchio ai denti. Una volta arrivata in cima, ha capito che lo star system non era come lo aveva immaginato. Tanto in fretta ti esaltano, altrettanto velocemente ti dimenticano. E allora gliene hanno dette di tutti i colori, da “numero 1 più scarsa di sempre” a “incapace di vincere un torneo del Grande Slam”. Poi si è fidanzata con il golfista Rory Mcllroy e la stampa mainstream scrisse che si trattava di un fidanzamento-business, buono per intascare i quattrini che Caroline non riusciva più a guadagnare sul campo da tennis. Lei era innamorata sul serio e non dimenticherà mai la proposta di matrimonio, avvenuta nella notte di San Silvestro tra il 2013 e il 2014. Era tutto pronto, la sua amica Serena Williams aveva organizzato un addio al nubilato coi fiocchi. Cinque mesi dopo, Mcllroy l'ha scaricata con una telefonata. Non le ha concesso neanche un incontro chiarificatore "Quando ho visto le partecipazioni, ho capito di non essere ancora pronto". In quei giorni, l'orsacchiotto regalato da papà Piotr è diventato ancora più importante. “Ogni volta che lo imballo nella mia borsa da viaggio, succede la stessa cosa. Lo guardo, mi prendo un secondo di pausa, e poi penso a quando sono stata fortunata ad aver avuto così tanto amore nel corso degli anni. E non posso fare a meno di sorridere”. E così ha saputo reagire, tornando di nuovo competitiva. Pochi mesi dopo era in finale allo Us Open, bloccata – ovviamente – da Serena Williams. Come a volersi scusare, Serena è andata ad aspettarla all'arrivo della maratona di New York, qualche settimana dopo. Per esorcizzare il dolore post-separazione si è sfogata nel running. Le avevano dato della pazza, è finita che ha coperto i 42 km più famosi del mondo in meno di tre ore e mezza. Sembrava la svolta definitiva, poi sono arrivati gli infortuni, il più grave a una caviglia. Nessuno l'ha aspettata, nemmeno il computer WTA. L'ha fatta scendere fino al numero 74.

PIÙ FORMICA CHE CICALA
“Quando stai a casa per molto tempo realizzi che la vita va avanti e trovi un equilibrio anche facendo qualcosa di diverso. Ho trovato il lato positivo anche in questa situzione, ma non ho mai pensato di smettere – ha detto un paio d'anni fa in un'intervista con Esquire – nella mia testa non ho mai pensato di smettere, sono ancora giovane e spero di avere ancora tanti anni di tennis. Certo, so di avere tante opportunità fuori dal tennis, la mia vita sarebbe buona a prescindere”. Oltre al talento, madre natura le ha regalato l'avvenenza. Certe doti non sono passate inosservate a quelli di Sports Illustrated, che l'hanno ospitata per ben tre volte nella Swimsuit Edition. Qualcuno pensava che fosse indice di scarsa professionalità, invece lei ha continuato a lavorare con diligenza. Più formichina che cicala, a dispetto delle apparenze. Lo Us Open 2016 l'ha riproposta ad alti livelli, il 2017 l'ha rilanciata. Otto finali e un paio di titoli importanti (Tokyo e WTA Finals) che l'hanno riportata in seconda posizione. Oggi l'incubo è terminato: a 7 anni e 3 mesi dalla prima volta, è tornata al numero 1 del mondo. Lo ha fatto nel modo migliore, vincendo una partita colma di intensità e prendendosi quel titolo che la consegna alla storia del tennis. Le dà il diritto di essere presa in considerazione, come se finalmente certi numeri contino qualcosa. Quella che inizierà lunedì sarà la 68esima settimana in cima al ranking WTA. Più del triplo di Maria Sharapova, Kim Clijsters, Jennifer Capriati, Arantxa Sanchez e Venus Williams. Non vuol dire tutto, ma neanche niente. “Ho imparato a tenermi certe cose per me, senza spiattellarle sui social media” aveva detto Caroline. È nato così, in modo decisamente più discreto, la nuova relazione con l'ex stella NBA David Lee. Tre mesi fa è arrivata la seconda proposta di matrimonio. Lei è convinta che sarà quella buona. Forse non avrà più bisogno di guardare il suo orsacchiotto per capire che ha mille motivi per sorridere. Ma il segreto di questo successo, forse, sta proprio nell'averlo portato sempre con sé. Nella buona e nella cattiva sorte.
“Se deve succedere, succederà”.