E' possibile che “Open”, il libro-cult di André Agassi, abbia avuto tanto successo perché ha raccontato una storia inattesa: un tennista che ha sempre odiato il tennis. Un numero uno che voleva smettere. Un campione che nella vita avrebbe fatto volentieri altro.

Come ogni sport praticato a livello agonistico, il tennis è deleterio. Nel tennis non ci sono limiti di tempo: ogni situazione di punteggio, anche la più disperata, può ribaltarsi. E' il primo grande problema: se nel calcio stai vincendo 3 a 0 e mancano 5 minuti alla fine…ormai è finita. Nel tennis no. Sei messo alla prova fino alla stretta di mano. E poi si tratta di uno sport individuale. Se le cose non si mettono bene è solo colpa tua; l’avversario sarà pure bravissimo, ma non puoi incolpare nessuno. Non c’è il terzino fuori forma, o il pivot che ha sbagliato il passaggio. Ci sei solo tu. E non per tutti è un bene. “Il tennis è uno sport solitario. Non c’è un posto dove nascondersi quando le cose vanno male. Niente panchina, niente bordo campo, nessun angolo neutrale. Ci sei solo tu, nudo” diceva Agassi nel suo mitico “Open”. Il terzo aspetto negativo, forse quello più problematico, riguarda quelle giornate, quelle partite, in cui devi fronteggiare due entità: te stesso e il tuo avversario. E battere se stessi è davvero complicato. Una volta una maestra di tennis rispose a chi le chiedeva informazioni sulla sua attività da ex professionista: “Il tennis è uno sport che tira fuori o il meglio o il peggio di te. Nel mio caso ha tirato fuori il meglio.” In quel caso è andata bene, ma non è scontato che vada sempre così. Molti soffrono, per I più svariati motivi: paura della sconfitta (magari contro un avversario sulla carta più scarso), paura dei propri limiti (che non tutti sono in grado di riconoscere) e paura di deludere I propri genitori. Purtroppo esistono famiglie che vivono in funzione dei risultati dei figli: è il male maggiore, lo stesso che ha colpito André Agassi. Lui ne è uscito vincitore, ma migliaia di ragazzi non ce l'hanno fatta.

DIRE ADDIO E' DIFFICILE
​Vorrei raccontare il mio caso: a 16 anni di età (e 8 di agonismo alle spalle) ho deciso di appendere la racchetta al chiodo. L’ho fatto perché il tennis non mi faceva stare più bene, non mi faceva più divertire.
E se alla base non c’è il divertimento, hai già perso in partenza. Volevo smettere, volevo iniziare a vivere come i miei compagni di scuola. Però non ci riuscivo: nonostante la sofferenza, c’era qualcosa che mi faceva continuare ad allenarmi e a restare in quel mondo. Ho ben tatuate in mente le parole di Agassi nella quarta di copertina: “Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l'essenza della mia vita”. E’ vero: continui a farlo. Sei spinto a farlo. Per mille ragioni; per l’ambiente che si crea nel circolo, per gli amici, per i sacrifici tuoi e dei tuoi genitori, perché il tennis ti ha accompagnato sin da bambina e mollare ciò che occupa il 70% delle tue giornate ti cambierebbe la vita. Lo capisci quando inizi a crescere, quando subentrano altre priorità. Anche il bad boy australiano Nick Kyrgios non ama il tennis, ma non riesce a smettere perché non saprebbe cos’altro fare. Agassi definisce il tennis uno sport violento a livello psicologico e lo paragona alla boxe: “Il tennis è pugilato. Ogni tennista, prima o poi, si paragona a un pugile, perché il tennis è boxe senza contatto. È uno sport violento, uno contro l’altro, e la scelta è brutalmente semplice quanto sul ring. Uccidere o essere uccisi. Sconfiggere o essere sconfitti. Solo che nel tennis le batoste sono più sotto pelle.”

SOFFERENZA INEVITABILE
Capita spesso che un ritiro riguardi queste batoste sotto pelle che, come nella vita, o ti fanno reagire o ti mettono al tappeto. Può capitare di vincere tanto da piccoli e poi, con il passare degli anni, incassare il sorpasso di tanti coetanei. E' un passaggio naturale, ma molti ragazzi non lo accettano e ne soffrono. Chi ci è passato lo sa: smettere di giocare a tennis non è una scelta facile. Personalmente ho avuto bisogno di mesi per metabolizzare, ma alla fine ho preso la mia decisione. Non mi sono mai pentita anche quando mi dicevano “Vedrai che ritornerai sui campi…”. Infatti, non ci sono più tornata. Per fortuna anche Agassi ha fatto la sua scelta: “Gioco e continuo a giocare perché ho scelto di farlo. Anche se non è la tua vita ideale, puoi sempre sceglierla. Quale che sia la tua vita, sceglierla cambia tutto” scrive nel suo libro. E, a quanto pare, ha fatto la scelta migliore. Noi appassionati non dimenticheremo mai quel giorno del 2006 quando, dopo il match perso da Benjamin Becker, con le lacrime agli occhi, disse addio dopo 21 anni di sofferenza. Quelle lacrime ci hanno fatto capire che, almeno per lui, ne è valsa la pena.