LA STORIA – Michael Westphal, n. 2 tedesco nei primi anni di Boris Becker. Morì a 26 anni, primo tennista vittima dell'AIDS. Ma aveva fatto in tempo a portare la Germania Ovest in finale di Davis, nonostante un tappeto che gli si sgretolava sotto i piedi. Esattamente 30 anni fa. 

Ultimo baluardo del tennis che fu, nel 1985 la Coppa Davis aveva ancora regole antiche. Set a oltranza, partite infinite, con buona pace di Jimmy Van Alen. Il 4 ottobre 1985, trent'anni fa, la Davis aveva un sapore diverso. Bello, affascinante, persin profumato. E ci regalò una storia destinata a entrare nella leggenda. O nella tragedia, visto il finale. “Vi do il benvenuto alla Festhalle di Francoforte. Quasi 10.000 persone stanno per assistere al secondo singolare tra Tomas Smid, numero 17 ATP, e Michael Westphal, n. 54 nella classifica del computer”. Con queste semplici parole, il telecronista Heribert Fassbender salutò gli spettatori di ARD, primo canale di stato tedesco. Non sapeva che li avrebbe tenuti col fiato sospeso per cinque ore e ventinove minuti. Non sapeva che la sua voce sarebbe diventata un oracolo per dodici milioni di tedeschi. Nel 1985, il tennis era per i tedeschi esattamente come lo sci per gli italiani tre anni dopo, quando le imprese olimpiche di Alberto Tomba avrebbero interrotto addirittura il Festival di Sanremo. Pochi mesi prima, un giovanissimo Boris Becker aveva fatto Bum Bum a Wimbledon. Ma quella sera di 30 anni fa, Boris sarebbe stato un attore non protagonista.


LA DAVIS HA LE SUE LEGGI

La Germania Ovest sognava di alzare l'Insalatiera. Non ce l'avevano mai fatta, ma Becker aveva acceso speranze nuove di zecca. Dietro di lui nessun fenomeno, ma validi scudieri. Il più forte era un ragazzone dai lineamenti dolci e i riccioli ribelli. Campione europeo Under 16, Michael Westphal era diventato professionista nel 1982 grazie alla bontà dei genitori, che accettarono di assecondare il suo talento e lo diedero in pasto al circuito ATP con il solo diploma di scuola secondaria. “Se le cose andranno male, avrà sempre tempo per tornare sui libri” disse la madre. In quel 1985, mentre nelle sale di tutto il mondo usciva Rocky IV, la Germania Ovest non era tra le favorite. Carl-Uwe Steeb era ancora in fasce, Michael Stich pure. Ma i pezzi del puzzle si misero insieme in modo inaspettato. Al primo turno batterono la Spagna e Westphal fu subito protagonista: via Sergio Casal, battuto 10-8 6-3 2-6 2-6 6-4 sul campo gommoso di Sindelfilgen. Ad Agosto, il Rothenbaum Club di Amburgo ospitò il successo contro gli Stati Uniti di Teltscher e Krickstein. Westphal non era in formazione, ma il punto decisivo arrivò da Hans Schwaier. Semifinale. Nello splendido impianto di Francoforte, futura sede del Masters, arrivò la Cecoslovacchia. Il talento di Miloslav Mecir, l'esperienza di Tomas Smid e persino il numero 1 del mondo, Ivan Lendl. In un match che profumava di Guerra Fredda, Ian Kodes pensò bene di tenere Lendl fuori dai singolari. Becker batté Mecir con agio, poi scesero in campo Westphal e Smid. In panchina, Boris si presentò con un grossolano maglione a quadri. Roba da anni 80, da paninaro con birra e wurstel. Tomas Smid era nettamente favorito e vinse i primi due set (8-6 6-1), prendendo un break di vantaggio nel terzo. Ma la Davis ha le sue regole. Le sue leggi. Spinto dalla gente, Westphal rimise in piedi il set prima del fattaccio. Sul 5-5, nel giocare una volèe di rovescio, il tappeto sintetico si sgretolò sotto i suoi piedi. Come un surfista in mezzo alle onde, giocò ugualmente la volèe e vinse il punto. Avrebbe potuto rimetterci la caviglia, forse il ginocchio, invece rimase illeso. Niente scene, niente teatrini: aspettò che il campo tornasse a posto e continuò a lottare.



EROE PER UNA NOTTE
Lo spavento gli diede ancora più coraggio. Vinse il terzo, poi sul 4-4 nel quarto crollò nuovamente per terra, con il tappeto che gli si alzò nuovamente sotto i piedi. Ma ormai era in piena trance agonistica. Vinse 11-9 il quarto e i tedeschi capirono che sarebbe stata una serata storica. In TV arrivarono ad essere 12 milioni, mentre i 10.000 della Festhalle applaudivano ogni punto come se fosse un matchpoint. Avanti 5-2 nel quinto, si fece riacchiappare e iniziò l'epica. Quell'epica che dal 2016 non ci sarà più, in nome di una modernità che ha tolto spazio al romanticismo. Il punto decisivo arrivò intorno a mezzanotte. 17-15 al quinto e Westphal in trionfo. Germania in festa. Il giorno dopo, il doppio fece il suo dovere e la Germania Ovest colse la sua seconda finale (dopo quella del 1970). Tripudio, delirio, ospitate in TV. Ma nessuno sapeva che la piaga del decennio covava nel suo corpo già da 4 anni. Tra le tante novità gioiose, gli anni 80 furono anche quelli dell'AIDS. La stampa ricorda con pudore cosa accadde nel 1981: si limitano a dire che Thomas contrasse la malattia da una compagna di classe, tossicodipendente. Non spiegano nè come, né perché. Noi possiamo soltanto immaginarlo. Lui andò avanti per tutto il decennio: numero 49 ATP come best ranking, un paio di secondi turni Slam e poco altro. Aveva talento, Thomas, ma gli piaceva la vita dissoluta. Anzichè allenarsi, preferiva passare del tempo con la fidanzata Jessica Stockmann. Qualche anno dopo sarebbe diventata famosa come fidanzata e poi moglie di Michael Stich. Il loro fu un amore da favola. Il tennis faceva da sfondo a una vita effimera ma bellissima, fatta di viaggi in prima classe, puntate al casinò, bicchieri di champagne in hotel. Si narra che un giorno Nikki Pilic, capitano di Davis, lo prese da parte e gli disse di darsi una regolata. Ma lui aveva occhi solo per Jessica. La racchettina Adidas era in secondo piano. I risultati non gli interessavano più, specie dopo la grande delusione nella finale contro la Svezia. All'Olympia Halle di Monaco di Baviera perse entrambi i singolari, prima contro Mats Wilander e poi contro Stefan Edberg sul 2-2, pur scippandogli il primo set. La sua carriera in Davis sarebbe terminata tre mesi dopo, a Città del Messico, quando perse un altro singolare decisivo contro Leonardo Lavalle. La gloria e le ospitate TV erano solo un ricordo. La Perestrojka stava aprendo la strada a un nuovo mondo e lui rimase senza sponsor, abbandonato persino dal club di appartenenza, il Blau-Weiss Neuss. Non era un grosso cruccio.


 
UNA TRAGICA FINE
Si era rassegnato a una carriera nelle retrovie, giusto con qualche soddisfazione. Nel 1989 colse uno splendido quarto di finale ad Amburgo, ma non sapeva che sarebbe stato il suo penultimo torneo. La settimana successiva perse dall'argentino Gustavo Giussani a Salisburgo. Dopo quel match è collassato. Le difese immunitarie avevano lasciato spazio al virus HIV. Perse i capelli, fu devastato dalle allergie cutanee e prese medicine pesanti per due anni. Nel 1990 provò a tornare, almeno in doppio, ma non ci fu niente da fare. Morì il 19 giugno 1991 presso l'Eppendorfer University Clinic di Amburgo. Jessica gli rimase a fianco fino all'ultimo giorno, come in un film drammatico ma senza il lieto fine. Non vollero dire le ragioni della sua morte: i medici parlarono di un virus contratto due anni prima. Le pesanti medicazioni gli avrebbero causato problemi di cuore, mettendo fine alla sua carriera. Le condizioni erano migliorate, salvo poi precipitare. Pochi giorni dopo sarebbe iniziato il torneo di Wimbledon. Il 3 luglio, alla vigilia delle semifinali, morì Jimmy Van Alen, l'inventore del tie-break. Vinse Michael Stich, intascandone tre di fila contro Stefan Edberg e un altro contro Becker, in finale. Quei tie-break che Westphal non aveva potuto giocare. Qualche tempo dopo, Stich si sarebbe fidanzato e poi sposato con Jessica Stockmann, fedele fidanzata di Westphal fino all'ultimo giorno. Insieme avrebbero dato vita alla Michael Stich Foundation, impegnata nella lotta all'AIDS. Solo dieci anni dopo avrebbe rivelato la vera ragione della morte di Westphal. AIDS, la stessa malattia che avrebbe portato via Arthur Ashe. Oggi riposa nel cimitero amburghese di Ohlsdorf. La sua tomba, una piccola torretta senza foto e con qualche fiore, è lì a ricordarci un campione dimenticato, vittima dell'opulenza degli anni 80. Ma che ha fatto in tempo e costruirsi un posticino nella storia. Chissà cosa avrebbe pensato, il bel Thomas, dell'introduzione del tie-break nel quinto set. Probabilmente non gliene sarebbe importato nulla.  Gli bastava la sua Jessica.