VERSO IL 2019
Calendario ATP – Calendario WTA
Dicembre è l'ultimo mese dell'anno, quello in cui finisce tutto. Il mese in cui si fanno i bilanci e si pensa al futuro. 20 anni fa esatti, rappresentò anche la fine di un sogno. Un'intera generazione di appassionati aveva la speranza di vestirsi di gloria tennistica, scrollandosi di dosso i racconti dei genitori che avevano vissuto il trionfo di Santiago del Cile, unica Coppa Davis mai vinta dall'Italia. Dopo i gioiosi anni 70, il nostro sport si era assestato su livelli decisamente inferiori, ostaggio di tanti errori che in questa sede non è il caso di rispolverare. Intorno alla metà degli anni 90, tuttavia, comparve un gruppo di ottimi giocatori. Andrea Gaudenzi e Renzo Furlan non erano forti come Panatta e Barazzutti, ma sapevano il fatto loro. Diego Nargiso non era magico come Paolo Bertolucci, ma il doppio era il suo pane quotidiano. E Davide Sanguinetti, soprattutto in quel 1998, dimostrò tutto il suo valore. Le semifinali del 1996 e del 1997 furono l'apripista a una stagione surreale e un po' fortunata. Con Furlan in crisi, l'Italia scoprì Davide Sanguinetti nel primo turno, a Genova contro l'India. Perse il match d'esordio contro Bhupathi, ma sulla terra gli indiani erano troppo scarsi. A una decina di fusi orari di distanza, a Mildura, i fratelli Black firmavano una delle più grandi sorprese nella storia della competizione e lo Zimbabwe batteva l'Australia a domicilio. Fu un bel favore per gli azzurri: nel cuore dell'estate, col Paese ancora un po' scosso dalla traversa di Di Biagio a Saint Denis, fecero a fettine gli africani al TC Prato. In semifinale c'erano gli Stati Uniti, in trasferta, e ancora una volta la buona sorte diede una mano agli azzurri di Paolo Bertolucci, che l'anno prima aveva rilevato una panchina vacante dopo le dimissioni di Adriano Panatta e il seguente terremoto politico, che mise fine alla presidenza di Paolo Galgani. A Milwaukee, i nostri avversari si chiamavano Todd Martin e Jean Michel Gambill. Onestamente, un insulto per la storia tennistica di un paese che in quel momento aveva Sampras e Agassi. Ma non era colpa degli azzurri, che in Ohio fecero il loro dovere. Gaudenzi OK, Sanguinetti super contro Todd Martin, poi il doppio vinse in cinque set e partirono i festeggiamenti. Italia di nuovo in finale, a 18 anni dai furti di Praga.
METEO E SUCCO DI FRUTTA
Tennis di nuovo nelle prime pagine dei giornali, non soltanto quelli sportivi. E finalmente una finale da giocare in casa, dopo sei trasferte. L'avversaria era una Svezia forte ma non irresistibile. Sembrava tutto apparecchiato per la gloria. Invece l'avvicinamento alla finale fu invelenito da una vivace polemica tra i giocatori e la FIT di allora. Come spiegò Andrea Gaudenzi nell'editoriale de “Il Tennis Italiano” di dicembre 1998, i giornalisti avevano chiesto ai giocatori se si sentissero prodotti federali e se avrebbero cambiato qualcosa nel settore organizzativo. Rispose per tutti il faentino, quello con maggiore personalità e dialettica. Disse senza mezzi termini che per diventare un professionista era fuggito in Austria (nonostante abbia lavorato al Centro FIT di Riano), e che il settore tecnico era stato incapace di produrre giocatori negli ultimi quindici anni. Adriano Panatta, che nel frattempo era rientrato nella FIT in altra veste, durante la breve presidenza di Francesco Ricci Bitti, rispose che i giocatori non avrebbero avuto troppo titolo per parlare, visti i lauti guadagni. “È come se chiedessi a qualcuno che tempo fa, e lui mi rispondesse che ha bevuto un succo di frutta. L'affermazione di Panatta non c'entrava niente con quello che avevo detto” scrisse Gaudenzi. A rendere ancora più teso il clima, i prezzi dei biglietti per la finale, programmata al Forum di Assago (che all'epoca era sponsorizzato da FILA) dal 4 al 6 dicembre 1998. L'abbonamento per tre giorni in piccionaia costava 200.000 lire, e si arrivava al mezzo milione per i posti migliori. Lamentele a non finire, alle quali Ricci Bitti rispose con un'uscita infelice. “Possono sempre guardarla in TV”. Mentre Paolo Bertolucci cercava di tenere i giocatori lontano dalle polemiche, spedendoli a giocare un torneo Challenger a Buenos Aires per riprendere confidenza con la terra battuta (superficie scelta dagli azzurri), il Paese era comunque elettrizzato. Si parlava di tennis nelle scuole, negli uffici, nei negozi.
GALEAZZI E UNA SPERANZA DI NOME FEDERER
“Il Tennis Italiano” preparò un numero storico, con la bellezza di 272 pagine, quasi interamente dedicato alla finale. Nessun altro evento avrebbe giustificato uno sforzo così grande. Nei loro interventi, Thomas Muster e Claudio Mezzadri dicevano che ogni giocatore non cambierebbe un successo Slam con la Coppa Davis, ma ne riconoscevano la magia. C'era una bella intervista a Paolo Bertolucci, il quale ricordava il suo percorso in Davis e sottolineava di non aver “rubato” nessun posto a Panatta. “Mi sono seduto su una panchina che era libera”. Un bell'articolo di Viviano Vespignani ripercorreva la lunga storia dell'Italia in Coppa Davis, con una straordinaria appendice statistica: i risultati di tutti i match degli azzurri sin dallo storico esordio del 1922. Nell'epoca in cui internet era un bene per pochi, un documento straordinario. Spazio per anche per la Svezia: Paola Baronio era andata al torneo di Stoccarda per intervistare Jonas Bjorkman, mentre il direttore Lorenzo Cazzaniga (all'epoca redattore) parlò con Karl-Axel Hageskog, capitano svedese. La tecnica dei giocatori scandinavi fu curata direttamente da Andrea Gaudenzi, che descrisse pregi e difetti di ciascun avversario. Molto divertente un articolo di Stefano Semeraro su uno dei personaggi più popolari di quegli anni: Gian Piero Galeazzi, che avrebbe commentato la finale per la RAI. Ad arricchire ulteriormente il fascicolo, un po' di amarcord con un fantastico racconto di Gianni Clerici su Nicola Pietrangeli, destinato a rimanere l'uomo con più presenze in Coppa Davis. Senza dimenticare un bel confronto tra Adriano Panatta e Bjorn Borg, vere e proprie icone di Italia e Svezia (ma non solo) negli anni 70. Al di là della presentazione della Davis, è sempre interessante rileggere con il senno di poi articoli piuttosto datati. La rubrica sui giovani emergenti era curata da Angelo Mangiante, attuale volto di Sky Sport. La pagina parlava, udite udite, di un 17enne di belle speranze. Il suo nome? Roger Federer. Una pagina profetica, in cui trovava uno spazio per un altro giovane, Arnaud Di Pasquale. Curiosamente, un paio d'anni dopo sarebbe stato proprio il francese a battere Federer nella finale per il bronzo ai Giochi Olimpici di Sydney.
IL ROVESCIO BIMANE DELLA VINCI
La pagina sull'emergente italiano, sempre a cura di Mangiante, parlava di un ventenne Daniele Bracciali, reduce dal terzo turno a Wimbledon e considerato il giovane più vicino al quartetto di Davis. La rubrica di coach Claudio Pistolesi esaltava la figura dei giovani allenatori italiani che avevano il coraggio di intraprendere l'attività internazionale. Tra loro, menzionava Roberto Brogin (che oggi lavora per Tennis Canada) e un giovanissimo Umberto Rianna (oggi responsabile degli Over 18 per conto della FIT), oltre a ricordare il proprio ruolo nella crescita del tennis giapponese. Scriveva per nostra rivista anche Graziano Risi, poi divenuto fedelissimo dirigente di Binaghi con delega al Settore Tecnico. Nella sua rubrica, Risi esaltava Uros Vico: pur senza sbilanciarsi sul suo futuro, ne decantava le lodi raccontando un divertente aneddoto di un match junior tra lo stesso Vico e l'ex baby fenomeno José De Armas, vinto dall'azzurro nonostante il comportamento poco corretto dei venezuelani. Già 20 anni fa non mancavano le discussioni sulla Serie A1, vinta dal TC Matchball di Firenze tra le polemiche: il TC Palladio di Vicenza (che aveva speso mezzo miliardo per tesserare i più forti italiani) mandò in campo i ragazzini per protestare con la FIT per la decisione di far giocare il match nel veronese e non a Vicenza, perché la richiesta era arrivata “fuori tempo massimo”. Fu il ritorno di una manifestazione che era stata messa in naftalina nove anni prima e che si trascina ancora oggi, con regole insensate che l'hanno resa priva di significato e interesse. Sfogliando il giornale, viene un groppo in gola. C'è una foto a doppia pagina di una giovanissima Roberta Vinci, con cappellino e bandana… intenta a giocare un rovescio a due mani! Chi l'ha conosciuta per la sua rasoiata in slice rimarrebbe di sasso nel vedere come portava il colpo da ragazzina. Un paio di mesi prima, aveva vinto la Youth Cup (antesignana della Junior Fed Cup) con altre due baby promesse: Flavia Pennetta e Maria Elena Camerin.
LA SPALLA DI ANDREA FA "CLAC"
272 pagine piene di sogni, grandi e piccoli. Il principale riguardava la Coppa Davis che nel frattempo era arrivata, in tutto il suo splendore, a Milano. Il sogno sarebbe durato quattro ore, il tempo della battaglia tra Andrea Gaudenzi e Magnus Norman. Sarebbe durato fino al 5-5 al quinto (dopo che Andrea recuperò da 0-4), con quel servizio che gli diede il punto del 6-5 ma gli devastò la spalla destra.
“Clac”.
Un rumore secco, sordo, che avrebbe costretto Gaudenzi a uno stop di quattro mesi. La foto-simbolo di quel weekend è quella che abbiamo scelto per la home page, con Andrea rassegnato mentre gli controllano la spalla. Sapeva benissimo che era finita, anche se provò a giocare un paio di game col tendine lacerato. Italia-Svezia finì lì, perché il faentino era l'uomo chiave: numero 1 in singolare e doppista insieme a Nargiso. Nel secondo singolare, Sanguinetti scese in campo frastornato e raccolse pochi game contro Magnus Gustafsson. Il giorno dopo, visto che Gianluca Pozzi era mancino, insieme a Nargiso giocò lo stesso Sanguinetti e non ci fu nulla da fare: la Coppa Davis sarebbe volata in Svezia, proprio come l'anno prima. Il sogno si era esaurito, tra polemiche a non finire tra giocatori e dirigenti dell'epoca. Qualcuno ebbe l'ardire di prendersela con Gaudenzi perché al venerdì sera andò in un locale insieme alla sua fidanzata. Quella finale avrebbe segnato l'inizio di un periodo nero per la Davis azzurra: dopo la stentata salvezza del 1999 sarebbe arrivata la retrocessione del 2000 e una decina d'anni nelle serie inferiori, con una gita addirittura in Serie C. Le cose sono decisamente migliorate negli ultimi anni, con cinque quarti di finale nelle ultime sei edizioni (con il picco della semifinale del 2014). Un weekend, quello di Milano, che l'Italia non potrà mai più rivivere perché la Coppa Davis è stata sacrificata in nome di un presunto business.
Ma questa è un'altra storia.
In quel dicembre 1998, esattamente vent'anni fa, ci fu uno dei risvegli più dolorosi nella storia del nostro tennis.