Il challenger di Cortina ha visto un match tra i nostri due ex numeri 1 junior. Ha dominato alla distanza il toscano, che prova per l'ennesima volta ad afferrare il tennis che conta. Con lui, Fabrizio Fanucci. Il castello di Quinzi si è sgretolato in due anni: ora deve ripartire dalle macerie. 

28 maggio 2007. Un ragazzo di Firenze diventa numero 1 del mondo junior.

1 gennaio 2013. Un ragazzo di Porto San Giorgio diventa numero 1 del mondo junior.

4 agosto 2015. Matteo Trevisan e Gianluigi Quinzi si affrontano al primo turno del challenger di Cortina d'Ampezzo. Ambizioso, per carità, ma non certo il più importante del mondo. Nessuno dei due avrebbe avuto il diritto di giocarlo. Quinzi ha ottenuto una wild card, concessa dagli organizzatori dopo che la FIT, che pure continua a sostenerlo, aveva privilegiato altri nomi. Trevisan? Di lui si erano perse le tracce, o quasi. Di inviti non se ne parla, così ha dovuto giocare le qualificazioni. I due non hanno avuto nemmeno l'onore del Campo Centrale, dove in contemporanea giocava Filippo Volandri. Eccole, due ex grandi promesse del nostro tennis che cercano di rimettersi in piedi. Quinzi sta attraversando una spirale negativa, terribile. Trevisan non si è rassegnato a un ruolo di rincalzo che i risultati gli hanno conferito negli ultimi anni. E' stato al massimo numero 267 ATP nel 2010, anno della sua unica finale challenger, a Caltanissetta. Oggi si trova in 423esima posizione: Quinzi lo precede di 28 posti, ma l'inerzia è a favore del toscano. Non solo perché ha passato le qualificazioni, e nemmeno perché qualche settimana fa ha messo il naso – per la prima volta – nel main draw di un torneo ATP. No, Trevisan è ancora convinto di poter dire la sua. “In Italia non ci sono mezze misure: se vinci tre partite sei un fenomeno, se ne perdi tre sei un negato”. Lo diceva cinque anni fa, quando i problemi sembravano definitivamente alle spalle. Era ripartito con Fabrizio Fanucci, aveva ritrovato ambizioni importanti. Poi era finita anche quell'avventura, i problemi fisici non lo hanno mai lasciato davvero in pace, uniti a vicende extra-tennistiche che non lo hanno certo aiutato. Tra una settimana compirà 26 anni, ma Matteo non molla. E al suo angolo, a Cortina, c'era proprio Fabrizio Fanucci. Con lui, aveva ottenuto i migliori risultati. Non si erano lasciati benissimo, Matteo non volle entrare nei dettagli ma sapeva che Fanucci gli avrebbe dato una mano se ne avesse avuto bisogno. Pare che sia andata proprio così. “Voglio pensare solo al tennis, partita per partita, senza pressioni. Ne ho avute anche troppe, in passato” diceva durante le qualificazioni. Quest'anno sta giocando benino, ha vinto un paio di tornei futures (Porec e Bergamo), ma è ancora poco per il suo talento. Fanucci diceva che, tra gli italiani, negli ultimi 30 anni aveva visto fare certe cose soltanto a Trevisan. Le ha mostrate a Cortina, dove ha battuto uno spento Quinzi col punteggio di 4-6 6-3 6-0.


MATTEO SULLE ORME DI MARTINA?

Ha fatto la differenza nel primo game del terzo set. Dal 40-40, si è preso il break con uno splendido passante lungolinea, di rovescio, giocato da posizione quasi impossibile, e con una gran risposta di dritto. Guardi le foto di allora e trovi una persona diversa. Oggi ha la barba lunga e gioca col cappellino all'indietro, simboliche protezioni da un mondo che prima l'ha esaltato, poi lo ha abbandonato. Perché Trevisan non è stato “accolto come un messia”: peggio. Lui “doveva” essere un messia a tutti i costi. E' accaduto nel passaggio da junior a professionista, quando gli hanno diagnosticato la mononucleosi. Si è fermato ma ha ripreso subito, ancora prima di essere guarito al 100%. L'entourage dell'epoca voleva che giocasse a tutti i costi, bisognava battere un ferro ancora rovente. La pressione, quella pressione di cui Matteo si è stufato, lo aveva messo in un angolo. Adesso avrà una motivazione in più: il ritorno su ottimi livelli della sorella Martina, talento cristallino che qualche giorno fa ha vinto un torneo da 25.000 dollari all'Antico Tiro a Volo di Roma. Lei aveva smesso di giocare anni fa, incapace di reggere a certe situazioni. Il suo rientro, dicono, ha contorni che sono un mix tra fiaba e romanzo. C'è una storia da raccontare in rampa di lancio. La vicenda di Matteo non è meno affascinante e chissà che non possa ripartire da qui. E' troppo discontinuo e la classifica ne risente, ma quando lascia andare il dritto è ancora uno spettacolo. Nel secondo e nel terzo set ha
preso a pallate un Quinzi che si è lentamente spento, fino a non crederci più. Il terzo set è stato molto crudele per chi, due anni fa, si era commosso nel vederlo vincere Wimbledon junior. E il tempo – almeno fino ad oggi – ha dato una severa lezione all'azzurro. Mentre lui fatica a vincere una partita nei challenger, il suo avversario di allora (Hyeon Chung) è numero 77 ATP, passa un turno al “500” di Washington e stanotte sfiderà Marin Cilic, campione in carica dello Us Open.


QUINZI, RICOSTRUIRE DALLE MACERIE

Il castello di due anni fa si è clamorosamente sgretolato. Ricorderete la finale contro Chung, con la regia britannica che indugiava verso il clan Quinzi. C'erano il coach Eduardo Medica, la moglie Irasema Sandoval e Sebastian, il loro figlio (oltre a Mosè Navarra e Veso Matijas di Lotto). Esultanze sfrenate, soprattutto della moglie e del figlio. Dopo quel successo, al clan Quinzi è pervenuta un'offerta di Magnus Norman, quello che molti considerano “il miglior coach del mondo”. Avrebbe dovuto stabilire la base a Stoccolma e Norman non sempre avrebbe potuto seguirlo in prima persona (aveva appena iniziato a lavorare con Wawrinka), ma era certamente una buona opportunità. E poi c'era Elias Ymer, che all'epoca gli stava dietro. Scelse di restare con Medica, vuoi perché le vittorie fioccavano, vuoi per un legame affettivo. Quando il coach argentino, lo scorso aprile, ha abbandonato il progetto dopo quattro anni, GQ è entrato in una spirale negativa da cui non si è ancora ripreso. Tenconi, Torresi, Monachesi, Petrazzuolo…nessuno ha trovato la chiave giusta. Oggi si appoggia alla Breakpoint Base di Halle, accademia tedesca guidata da Jan De Witt. A Cortina c'era uno dei coach Breakpoint, mentre Medica si trova al future messicano di Tampica e – pare – non sta più con la moglie che invece segue con entusiasmo la crescita del piccolo Sebastian. Quel meraviglioso castello visto due anni fa non c'è più. Si è sfaldato completamente. Adesso è giunto il momento di ricostruire, partendo dalla voglia e dalla passione di giocare a tennis. Senza un gioco in grado di “spaccare” l'avversario, dovrà ritrovare l'intensità di un tempo. E i pienoni che aveva fatto registrare nelle sue prime apparizioni challenger, quando tra San Marino, Bergamo e altri tornei aveva attirato anche 3.000 persone a partita. A Cortina, su un campo secondario, c'erano solo i fedelissimi.