Uno splendido Paolo Lorenzi gioca alla pari per due ore con Andy Murray, facendo impazzire lo scozzese con un mix di tenacia, tattica e cervello. Strappa il secondo set, poi resta senza benzina e si arrende al quarto. Ma da questo Us Open “Paolino” esce ancora più forte e consapevole dei propri mezzi. E pure da nuovo numero uno d’Italia. 

In diciotto anni di carriera, Paolo Lorenzi di miracoli ne ha fatti tanti, più di quanti se ne aspettasse anche lui stesso. Ma chiedergli una vittoria contro l’Andy Murray degli ultimi mesi era veramente troppo. E allora può valere tantissimo il 7-6 5-7 6-2 6-3 con cui il 34enne azzurro ha tenuto lo scozzese sull’Arthur Ashe Stadium per 3 ore e 16 minuti, mostrando come mai la sua carriera sia sempre andata in crescendo. Sulla carta non aveva nemmeno una singola arma per far male a un giocatore come Murray: sulla potenza non c’è paragone, sulla resistenza nemmeno, e buttarsi a rete contro il passante del numero 2 del mondo non è affatto consigliato. Aggiungici le cinque ore di giovedì per battere Gilles Simon, con tensione e crampi a logorare muscoli e nervi, e l’epilogo dello Us Open dell’azzurro sembrava già scritto, addirittura scontato. Invece l’8 e mezzo per il primo terzo turno in carriera in un Major è diventato un 10 pienissimo, senza la lode perché in certi frangenti avrebbe addirittura potuto raccogliere qualcosa in più, ma comunque con una montagna di applausi. Bisogna essere onesti: un Murray così opaco quest’anno si era visto raramente, nei primi due set ha commesso  47 errori gratuiti (30 con il diritto!) e forse solo a Monte Carlo contro Paire o a Parigi contro la wild card Bourgue aveva litigato così tanto col suo tennis. Ma se in quelle due occasioni (entrambe chiuse con un successo) aveva fatto quasi tutto lui, nel bene come nel male, stavolta è giusto sottolineare i meriti di un Lorenzi magnifico, soprattutto dal punto di vista tattico. Si può dire che non avesse nulla da perdere, ma non ce l’aveva nemmeno con Federer a Wimbledon, nel 2013, o con Djokovic l’anno dopo, sia a Melbourne sia a New York. Eppure aveva raccolto appena 9 game in tre match, pagando un divario immenso. Oggi invece è stata un’altra storia, e il nuovo numero uno d’Italia (e 35 del mondo) è uscito veramente a testa alta.

FISICO, TESTA, CUORE. E GILBERT “RITRATTA”
Come ha raccontato nella breve intervista pre-match (“è stato in campo 5 ore l’altro ieri, cercherò di allungare gli scambi”), Murray è sceso in campo con due certezze: una netta superiorità negli scambi da fondo e l’idea che prima o poi Lorenzi sarebbe crollato. Un calo che ha atteso a lungo, in certi frangenti forse l’ha addirittura sperato, ma è arrivato sicuramente molto più tardi di quanto si aspettasse. E così “Paolino” si è regalato due set da vero protagonista, e non è un’eresia dire che li avrebbe meritati entrambi. Sapeva di averne meno, ma la fiducia accumulata negli ultimi mesi l’ha aiutato a provarci con coraggio, a buttarla comunque sul fisico e sugli scambi lunghi: dopotutto è pur sempre ciò che sa fare meglio. E l’ha fatto veramente al 100% se non oltre, rispondendo colpo su colpo al tennis di Murray, con colpi da soli 19 winners in 4 set ma tantissimo cervello. Non ha avuto paura di scambiare, non ha sofferto le variazioni, e soprattutto si è armato di tanta pazienza, proprio quella che è mancata all’avversario. Pare che Murray l’avesse sottovalutato, forse memore della frase pronunciata da Brad Gilbert, che all’Australian Open dello scorso anno disse di sentirsi in grado di giocarsela con Lorenzi, malgrado i 53 anni. A giudicare dai tweet di oggi il “guru” statunitense – che ha intervistato Murray a fine match (sarebbe stato curioso vederlo a colloquio con Lorenzi) – dev’essersi ricreduto, dopo averlo visto far impazzire il numero 2 ATP nello stadio di tennis più grande del mondo. E il dettaglio più incredibile è che Paolo ha addirittura lasciato il campo con qualche rimpianto, soprattutto per un primo set che l’ha visto bloccarsi sul più bello, una volta salito 5-4 e servizio grazie a un break (il primo del match) costruito in grande stile. Ha accusato la tensione, il dritto gli ha detto addio e con tre errori di fila ha graziato Murray, che poi l’ha beffato al tie-break, tirando un bel sospiro di sollievo.

L’INSEGNAMENTO DI “PAOLINO”
Ma il vero capolavoro di “Paolino” è arrivato dopo, nel secondo set, iniziato con un break di Murray e poi girato fino al 5-2 Lorenzi, con tanto di doppio fallo sulla palla-break da parte di un Andy via via sempre più negativo. Lorenzi l’ha fatto pensare, gli ha fatto capire che doveva andare a prendersi ogni punto, e il “brit” è andato in tilt. Voleva spaccare il mondo, ma la palla non gli usciva bene dalla racchetta, il diritto non rispondeva ai comandi, così si è innervosito, ha iniziato a parlottare e a lamentarsi di tutto, della tensione delle corde troppo bassa, persino dei grip. Ma proprio nel momento peggiore, da campione, si è tirato su di nuovo e ha ridotto gli errori. Un game, poi due, tre, fino al 5-5, con tanto di scambio da 42 colpi per salire a palla-break. Ma invece che perdersi d’animo di fronte a un’altra occasione sfumata, Lorenzi è salito ancora di livello. Era dappertutto, prendeva tutto, obbligava Murray a giocare sempre uno, due, tre palle in più, e l’ha mandato ancora fuori giri. Sul 6-5 è salito 0-30 vincendo un punto incredibile, poi si è preso due set-point e gli è bastato il primo: Murray ha sparato il diritto fuori di due metri, con un diavolo per capello, e lui ha vinto il secondo dei 29 (poi diventati 31) set giocati contro i Top-10. Poi, come era prevedibile, il match è finito lì: il miracolo era già stato compiuto. Le energie buttate sul Centrale per andare un set pari hanno chiesto il conto all’azzurro, sono arrivate le vesciche alla mano destra e anche un calo evidente, quasi fisiologico visto il livello di tennis espresso fino a poco prima. Lorenzi ha perso intensità, Murray ha registrato servizio e diritto e ha iniziato finalmente a imporre il suo classico pressing, fino a un 6-2 6-3 mai in discussione, malgrado un paio di palle-break offerte nel quarto set. Ma Lorenzi è uscito da vincitore morale, dimostrando ancora una volta di meritare ogni singolo traguardo raggiunto. Nel suo box, insieme a coach Claudio Galoppini e alla futura moglie Elisa (si sposeranno a dicembre), c’erano anche Jacopo Berrettini e Maria Vittoria Viviani, due degli azzurrini impegnati nelle qualificazioni del torneo juniores. Lorenzi gli ha dato la miglior lezione possibile da apprendere a 17 anni, quando si annusa l’aria dei tornei del Grande Slam ma la strada per respirarla da “pro” deve ancora iniziare. Gli ha insegnato che con lavoro, sacrifici, dedizione e costante voglia di fare, il meglio può venire anche con i 35 anni dietro l’angolo. La speranza, ora, è di non rivederlo nei Challenger per un bel po’. Si è capito fin troppo bene dove merita di stare.

US OPEN 2016 – Terzo turno uomini
Andy Murray (GBR) b. Paolo Lorenzi (ITA) 7-6 5-7 6-2 6-3