Un anno terribile, che ha svuotato campi, stadi, palinsesti e… tasche di tutti. Ma il tennis, che secondo gli esperti vale complessivamente attorno ai due miliardi di dollari, ha resistito. E forte del suo vero capitale – un milione e 200 mila addetti ai lavori – si prepara a ripartire
Un “mondo” interrotto dal 13 marzo
Ho passato diciotto anni della mia vita frequentando grandi tornei di tennis e credo di non aver mai visto una partita senza pubblico. Anche al campo 17 degli Us Open, alle 11 del mattino, laggiù dietro i baracchini degli hot dog, una partita di primo turno fra due tennisti poco conosciuti qualche spettatore ce l’aveva. Per curiosità, o per passione.
Il fatto è che chi va a un torneo di tennis, anche da spettatore, ci sta dentro per ore e le partite, magari 5 minuti, vorrebbe vederle tutte. Il tennis non è una partita di calcio, o di rugby, due ore e via. “Al tennis”, con ciò intendendo il luogo fisico in cui si svolge il torneo, si è sempre dentro. Ci si dà appuntamento, si mangia, si sta assieme. Ore di tennis e di vita. Da noi ci sono persone che, una volta all’anno, si danno appuntamento “agli Internazionali”, come fosse un ritrovo di famiglia, una reunion attesa 12 mesi. A Roma, poi… hai detto niente. Ci si conosce, si fanno amicizie, c’è gente che si innamora e poi magari si sposa. Chilometri percorsi da un campo all’altro, rincorrendo quel tal giocatore (“è la prima volta che lo vedo da vicino”), o quella tal partita.
Ci sono cascato anch’io, una volta a Wimbledon. Passa Gianni Clerici e mi fa: “vado al campo 6, c’è Isner-Mahut, sono 30 pari al quinto”. “Vabbè, il set è appena iniziato, vengo dopo”, faccio io. “No, non hai capito, sono 30 games pari al quinto…”.
E il resto del mondo, durante i tornei? E’ quello strano posto dove avvengono le cose. La politica, l’economia, il lavoro. Banalità, ci pensiamo domani. Durante il torneo non mi importa di nulla, il “resto” è tutto superfluo perché il mondo, il mio mondo, in quel magico giorno è tutto in quella pallina gialla che va avanti e indietro.
Tutto questo, il guardare, il giocare, il viaggiare, il parlarne con gli amici, l’appassionarsi, si è interrotto improvvisamente il 13 marzo a Nur Sultan, Kazakhstan, giorno che ricorderemo per sempre. Torneo Challenger sospeso ai quarti di finale per pandemia.
Diritti tv, una salvezza solo per i grandi tornei
Spenta la luce, per la prima volta da quando esiste il tennis. Annullati i tornei, chiusi i circoli, fermi i giocatori, di qualsiasi livello e ovunque. Non disputati 38 tornei Atp, inclusi tutti i Challenger fino ad agosto, 339 tornei ITF maschili e 313 femminili.
Le due ragazze liguri che durante il lockdown palleggiano da un palazzo all’altro sono l’icona di questo tempo sospeso. In estate diventeranno un sensazionale spot della Barilla, non metaforico ma reale, con Roger Federer che si complimenta con loro, nella sua unica apparizione da gennaio.
Quattro, cinque mesi senza nulla, poi una lenta, faticosissima ripresa. In Italia è Todi la Betlemme della rivoluzione tennistica marcata pandemia. Pur di giocare si rispolverano i Campionati Assoluti, quelli a cui nessuno badava più. Senza raccattapalle, senza darsi la mano a fine match. Nel mondo, il ritorno in campo avviene il 15 agosto nel challenger di Praga. Bene così, anche se si gioca nella bolla: albergo, partita, albergo. E il torneo, magicamente, diventa quello che un tempo erano i caffè, le chiese, le piazze, i teatri. Tutto in uno.
Organizzatori coraggiosi, quelli che hanno voluto esserci nonostante tutto, perché se i diritti televisivi salvano, o limitano le perdite di uno Slam o di un Master 1000, per un torneo minore contano zero. Ci si è salvati allora inventandosi tutto, quest’anno, dirette streaming e faccine di un pubblico finto collegato via skype, ma c’è un momento in cui la tecnologia non basta più a dare agli uomini fiducia in se stessi e la loro (nostra) sapienza si disfa in debolezza. Nella sala stampa del Roland Garros di settembre, il primo giorno i pochi giornalisti passeggiavano impazienti. Uno ripeteva :”Non la so scrivere questa cosa, non la so scrivere. Non è una storia da giornalisti, ci vorrebbe Omero”.
Quanto ha perso il tennis?
Quanto ha perso il tennis in questo “annus horribilis”? Qual è il Pil del 2020?
Cominciamo dai grandi tornei. Sponsor meno 30%, diritti tv salvi ma zero biglietti e zero indotto, parolina magica che si collega alle voglie e alle necessità degli spettatori, della “ggente”. Bisogna pur mangiare e bere, e magari comprarsi un souvenir. Ma se la gente non c’è…
Un torneo dello Slam fa mediamente 60.000 persone al giorno, per quindici giorni. Immaginiamo un Roma-Lazio moltiplicato per 15.
Prendiamo qualche numero. Gli Internazionali da noi incassano 12 milioni di biglietteria, quest’anno zero. Agli Us Open si vendono 207.000 birre al giorno, a Parigi centomila baguettes, a 7 euro l’una.
A Roma, un’azienda di abbigliamento che affitta uno spazio durante il torneo, incassa mediamente 6000 euro al giorno. In 10 giorni buoni, vuol dire fatturati da periodo natalizio. Numeri impressionanti. Quanto hanno perso al giorno questi tornei? E l’indotto? Il calcolo è facile ma la somma impossibile. Un buon riferimento, per dare una cifra alla perdita del Pil mondiale della racchetta, sono gli sponsor. Mediamente, statisticamente, meno 25%. Grazie a dieci anni di forte crescita, con questi numeri il sistema ha retto, e anche il business model. Anche se un po’ come sempre, quando ci sono in ballo tanti soldi, si salvano i grandi mentre i piccoli soffrono. E allora si capisce perché Us Open, Roland Garros, Roma e qualche altro ha deciso di giocare a tutti i costi “per perdere meno”, mentre tutti i medi e piccoli tornei hanno deciso di non giocare affatto, per non perdere tutto.
A soffrire sono i piccoli
Una bella differenza, uno spartiacque per salvare l’oggi ma soprattutto il domani di chi vive, in tutto o in parte, di tennis. Un esercito di fedelissimi. 1,2 milioni di persone nel mondo fra giocatori/giocatrici, tecnici, dirigenti, politici dello sport, organizzatori, gestori, personale necessario all’allestimento di un torneo, giornalisti, consulenti, aziende, sponsor e scusate se ho dimenticato qualcuno. Il tutto, modulato a livello mondiale, nazionale, locale e moltiplicato per 202 Paesi, praticamente tutti quelli riconosciuti dalle Nazioni Unite, più 1. La Palestina, dove esistono 4 campi dietro la striscia di Gaza. Miracoli del tennis.
E’ forse questo enorme capitale umano quello che ha patito di più e che il mondo del tennis deve assolutamente proteggere. Perché loro sì, hanno perso tanto quest’anno. Non sono ricchi, e diventarlo col tennis non è nemmeno il loro obiettivo. La pandemia questo di buono (per dire) ha fatto, perché dietro il simbolo della racchetta ha messo tutti sullo stesso piano: bravi e non bravi, buoni e cattivi, più e meno intelligenti. Viene in mente la frase di Bernie Ecclestone, l’inventore della moderna Formula 1, invitato qualche anno fa alla finale di Wimbledon: “non ero un appassionato di tennis, lo sono diventato in cinque minuti, là dentro”.