Il Roland Garros 1989 avrebbe potuto raccontare una storia diversa, se solo Ronald Agenor non si fosse disunito nei quarti contro Chang. L’haitiano ci pensa ancora oggi…

Di Riccardo Bisti – 22 maggio 2014

 
Il ritorno di Michael Chang al Roland Garros non passerà inosservato. Sono passati 25 anni dalla grande impresa del 1989, quando battè Ivan Lendl negli ottavi e Stefan Edberg in finale. “Michelino” aveva 17 anni, divenne un grande campione, ma quello rimase il suo unico titolo del Grande Slam. Tuttavia, pochi ricordano che quel torneo poteva avere una storia diversa. “Ero avanti 4-2 nel primo set, ho dominato il secondo ed ero avanti 4-1 nel terzo…quanti rimpianti”. Parola di Ronald Agenor, avversario di Chang nei quarti di finale. La sua sfida contro Chang è stata inghiottita dalle imprese dell’americano, ma fu vera battaglia. “In semifinale Andrei Chesnokov era battibile, poi contro Stefan Edberg avrebbe potuto succedere di tutto”. E invece gli restano i rimpianti per quello che avrebbe potuto essere e non è mai stato. Agenor è stato un grande personaggio degli anni 80-90. Vuoi per la lunga chioma nera, vuoi per la racchetta Yamaha, vuoi per la grande passione per la musica che qualche mese fa si è finalmente tramutata in qualcosa di concreto, con l’uscita del primo album, intitolato “Love Genius”. Una specie di Yannick Noah in miniatura, la cui popolarità è stata scalfita dall’immenso carisma dell’amico. I due hanno dato vita alla prima finale “only black” nella storia del circuito ATP (Basilea 1987), poi si sono affrontati anche in Australia, sul centrale di Melbourne Park. Ha vinto sempre Yannick, come a voler chiarire chi è il più forte. Ma non ce n’era bisogno. Semifinalista a Roma nel 1988 (“E per poco non battevo Mats Wilander”), Agenor è stato al massimo numero 22 ATP. “La gente mi domanda sempre perchè non sono salito più in alto. Di sicuro ero troppo emotivo, e questo fa la differenza tra un campione e un buon giocatore. Poi ho commesso il grave errore di giocare soprattutto sulla terra battuta, mentre avevo le caratteristiche adatte per fare grandi cose sul veloce. Se avessi giocato di più sul rapido mi sarei piazzato tra la quinta e la decima posizione”.
 
AGENOR COME CONNORS
Ciò che colpisce, nella storia tennistica di Agenor, è la grande umanità. Tanti campioni hanno avuto la forza di non trasferire sul campo i dilemmi della vita privata: lui non ce l’ha mai fatta. Negli anni 90 avrebbe certamente vinto di più se non si fosse fatto travolgere dagli eventi. Nel 1992 è morto papà Frederic: per lui fu un colpo talmente duro da convincerlo a mollare per un anno. Al rientro, tornò competitivo. Nel 1994, tra l’altro, conobbe la futura moglie Tonya, una modella americana in viaggio di lavoro a Milano, dove lui era impegnato per il torneo ATP. L’Italia, in fondo, è sempre stata un posto speciale per l’haitiano. Nel 1990 vinse uno dei suoi tre titoli ATP a Genova, nell’impianto di Valletta Cambiaso, quando si giocava il torneo sponsorizzato da IP. E sempre a Genova ha giocato la sua ultima partita ufficiale, nel 2009, sette anni dopo il ritiro, giocando pochi game contro Francesco Picco. Ma torniamo alla sua carriera a intermittenza. Nel 1996, di nuovo competitivo, viene travolto da un mare di problemi personali e molla fino al 1998. A quel punto, a 34 anni, devastato dalla scomparsa della madre, decide di riprovarci e fa un miracolo: nel 1999 gioca una stagione straordinaria e risale al numero 88, diventando il più anziano top-100 dai tempi di Jimmy Connors. “Avevo un obiettivo ben preciso: giocare fino a 40 anni di età. Ma purtroppo c’è stato l’11 settembre e mi sono raffreddato. In quel periodo la gente aveva paura di viaggiare”. E così, nel 2002, ha esaudito le richieste della moglie e si è trasferito a Los Angeles, dove ha gestito un’accademia per una dozzina d’anni, portando anche qualche giocatore a ridosso dei top-200 ATP. “Ma ho preferito non viaggiare troppo, anche perchè un conto è andare negli Slam, un altro è passare da un challenger all’altro. Adesso mi sono trasferito a Miami e vorrei ricreare in Florida lo spirito della mia accademia”. Agenor ha la lingua sciolta, parla parecchio, e dice di non avere rimpianti. Eppure ci sono, anche se non li chiama così. E non si parla soltanto del quarto di finale contro Michael Chang.
 
QUELLO SGARBO A INDIAN WELLS
“Mi spiace aver rappresentato una nazione che non mi ha mai dato nulla in cambio”. L’allusione è ad Haiti. E pensare che avrebbe potuto tranquillamente fare altre scelte. Nato a Rabat, in Marocco, è l’unico membro della famiglia a non essere nato nel paese natale. Il padre ha lavorato una ventina d’anni nelle Nazioni Unite, poi è diventato Ministro dell’Agricoltura. Quando Ronald aveva 10 anni si spostarono in Congo, dove ha iniziato a giocare a tennis, poi a 14 si sono trasferiti definitivamente  a Bordeaux. “La mia carriera avrebbe potuto essere diversa se avessi scelto la Francia: in fondo ero il terzo migliore alle spalle di Noah e Leconte. Avrei potuto fare buone cose anche in Coppa Davis”. Agenor è diventato un cittadino del mondo (parla cinque lingue, compreso lo swahili), pur senza tradire un paese che non lo ha meritato, almeno secondo i suoi racconti. “Nel 2008 ho provato a creare un progetto per lo sviluppo del tennis ad Haiti, ma è subito crollato. Dal 1982 al 1998 non ho avuto nessuna sovvenzione dal governo haitiano. E quando c’è stato il terremoto del 2010 avrei dovuto scendere in campo a Indian Wells per l’esibizione “Hit for Haiti” con Agassi, Sampras, Nadal e Federer”. Avrebbe dovuto tenere un discorso, invece gli impedirono di entrare in campo pochi minuti prima. E così l’esibizione è passata alla storia per l’alterco tra Agassi e Sampras. Oggi Ronald vive tranquillo, si dedica alla musica e compirà 50 anni il prossimo novembre. Ma la storia sarebbe cambiata se quel pomeriggio di Parigi, 25 anni fa, avesse sfruttato il vantaggio contro Michael Chang. Ma la storia aveva deciso: i tumulti di Piazza Tienanmen erano il simbolo, il segnale che avrebbe vinto l’americano di origine cinese. Non c’era spazio per la zazzera ribelle di Agenor. Pur di vincere quella partita avrebbe dato volentieri in cambio le vittorie contro Agassi, Wilander, Connors, Muster, Stich e tanti altri….ma no, non ci fu niente da fare.