Il curioso caso di Novak Djokovic: domina il circuito da cinque anni, eppure il pubblico gli preferisce ancora Federer e Nadal. L’ha ribadito la finale dello Us Open, ma il serbo non ha colpe. Forse deve solo aspettare: potrebbe essere una semplice questione di tempo.L’ultima finale dello Us Open ha confermato l’assoluto dominio di Novak Djokovic. Salvo un paio di periodi in cui ha ceduto la prima piazza del ranking, ‘Nole’ sta dominando il circuito mondiale dal 2011, stagione del primo titolo a Wimbledon, che gli regalò la vetta della classifica mondiale. Eppure, oltre quattro anni e sette Slam dopo, con la doppia cifra appena siglata, il serbo non è ancora il preferito del pubblico. Vince quasi sempre lui, ma la gran parte degli appassionati è rimasta schierata per Roger Federer e Rafael Nadal. L’ha confermato proprio l’ultimo confronto Slam con lo svizzero, sostenuto dal pubblico dell’Arthur Ashe come forse mai nessuno prima. Nemmeno con in campo il miglior Agassi, secondo una voce esperta come quella di Darren Cahill, il pubblico arrivò a tanto. Djokovic ha vinto lo stesso, dichiarando di essere addirittura riuscito a trasformare in energia positiva l’ostilità degli spettatori, ma la questione ha sollevato più di un interrogativo. Come mai, nonostante vinca così tanto, non riesce a entrare nel cuore della gente come gli altri due big dell’ultimo decennio? Non ruberà l’occhio come gli altri due, ma ha almeno altrettante qualità, e non si può più nemmeno dire che abbia un atteggiamento peggiore: messe da parte le bizze di gioventù, salvo qualche singolo episodio (ma quelli capitano a tutti, Federer compreso) è praticamente perfetto dal 2009. Magari a volte esagera nelle esultanze quando il match entra nella lotta, ma la resistenza alle situazioni difficili è pur sempre una delle sue migliori qualità. Normale che provi a estremizzarla. Addirittura, negli States qualcuno ha ipotizzato che lo scarso amore per Djokovic possa derivare dalla provenienza geografica: una Serbia nell’ideologia generale meno ‘fine’ della precisa Svizzera o di altre nazioni. Può essere vero, ma rimane un motivo stupido.
 
‘NOLE’ È ARRIVATO NEL MOMENTO SBAGLIATO
Probabilmente, le verità sono due: la prima è che arrivato nel momento peggiore, inserendosi in un duopolio che il pubblico adorava, mentre la seconda sta nell’essenza del tifo: è vero che nello sport vige la legge del più forte, ma non sempre il più vincente è anche il più amato. Ci sono tante dimostrazioni. In un’epoca in cui la popolarità di un personaggio pubblico si misura anche attraverso i consensi sui social network, un giocatore pittoresco come Dustin Brown (mai nei primi 70 del mondo) ha più ‘followers’ su Twitter rispetto a Marin Cilic, che solo un anno fa ha vinto un torneo del Grande Slam, risultato nemmeno immaginabile per il Brown di turno. Ergo, i risultati contano, ma non sono tutto. L’importante è aver emozionato, aver lasciato qualcosa di tangibile, anche se magari appartiene già al passato. Lampante l’esempio della MotoGp, altro sport individuale: in Spagna hanno tre dei quattro piloti più forti del mondo, quelli che nelle ultime stagioni hanno vinto di più, ma anche da quelle parti i veri boati si sentono solo ai sorpassi di Valentino Rossi. Una leggenda al pari di Federer, il cui nome basta da solo per oscurare tutti gli altri. Roger è uno degli sportivi più amati di tutti i tempi. Viene visto come una divinità e l’affetto per lui cresce ogni giorno di più, insieme al sogno di vederlo alzare al cielo un ultimo trofeo del Grande Slam. E fin qui va bene, la gente ha diritto di schierarsi dalla parte che preferisce. Ma tifare per lo svizzero non implica il dover andare contro Djokovic, o contro Nadal, o viceversa. Non nel tennis. Sono loro stessi i primi a rispettarsi sul serio, ma invece che trarne esempio molti fan vanno oltre generando qualche situazione spiacevole, come avvenuto nella finale newyorkese. Che il pubblico dello Us Open sia il più indisciplinato dell’intero circuito è cosa nota, ma non è comunque una giustificazione. Hanno tenuto più di un comportamento sopra le righe, arrivando addirittura a esultare agli errori del numero uno ATP.
 
IL CASO DI LLEYTON HEWITT
Nel processo che l’ha reso un campionissimo, ‘Nole’ ha imparato ad andare oltre certi episodi, e non è un caso che nella conferenza stampa post-successo abbia preferito sorvolare sull’argomento, utilizzando un po’ di sana retorica. “È normale – ha detto –che un campione come Roger abbia la maggior parte del tifo, lo sapevo anche prima di scendere in campo, spero di poter un giorno trovami nella sua stessa posizione”. È stato fin troppo bravo: per una volta un piccolo sfogo sarebbe stato giustificato. Nessuno discute il fatto che non meriti per vari motivi lo stesso tifo di Federer, ma di certo non merita nemmeno di trovarsi vittima di comportamenti antisportivi. Fortunatamente, ora il numero uno può stare tranquillo per qualche settimana, visto l’arrivo della tournèe in Asia, il continente dove il divario dagli altri due nell’applausometro  è più sottile. Da quelle parti lo amano tutti, vuoi per le campagne pubblicitarie mirate dello sponsor UNI QLO, vuoi perché in terra asiatica il vero boom del tennis è arrivato solo negli ultimi anni, quando pure lui faceva già parte dei primissimi. Per il resto del mondo, invece, ci sarà ancora da aspettare. Magari le cose cambieranno dopo il ritiro di Federer e Nadal, o magari anche prima, solo con il passare dei mesi. La storia del circuito è piena di esempi di giocatori che hanno man mano migliorato il loro rapporto col pubblico. L’esempio più calzante è quello di Lleyton Hewitt: agli inizi non piaceva per i suoi modi un po’ grezzi, da sbruffone, ma con l’età è maturato e ora mezzo mondo pagherebbe per vederlo cogliere un ultimo grande risultato. La differenza è che per attirare nuovi consensi ‘Nole’ non può fare molto più di quanto stia già facendo.  Ma forse è comunque una semplice questione di tempo.