Gli azzurri hanno avuto autonomia operativa tra Wimbledon e le Olimpiadi, e pare scomparsa la figura di un responsabile per la Preparazione Olimpica. Eppure, ad Atlanta 1996…
Dopo Wimbledon, Sara Errani e Roberta Vinci sono tornare a giocare sulla terra rossa
Di Riccardo Bisti – 25 luglio 2012
La Federazione Italiana Tennis punta moltissimo sulle Olimpiadi. Per come è strutturato lo sport italiano, con tutte le federazioni legate a doppia mandata al CONI, portare a casa una medaglia olimpica vale parecchio anche in termini di “peso politico”. Anni fa, l’ex Presidente del CONI Mario Pescante ce l’aveva con la FIT di Paolo Galgani perché “non arrivavano le medaglie”. L’ultima medaglia olimpica “Made in Italy” risale al 1924, quando il Barone Uberto De Morpurgo vinse il bronzo a Parigi. In verità abbiamo altri tre bronzi, colti da Nicola Pietrangeli, Paolo Canè e Raffaella Reggi. Tuttavia, giunsero quando il tennis era uno sport dimostrativo, a Città del Messico 1968 e Los Angeles 1984. Insomma, non fanno parte del “forziere azzurro”, come lo ha definito l’attuale presidente CONI Gianni Petrucci. Mai come quest’anno, l’Italia ha chance di medaglia. Delle cinque competizioni, doppio femminile e doppio misto sono quelle dove siamo più competitivi. Nel doppio femminile, in particolare, Errani-Vinci e Pennetta-Schiavone possono essere “da corsa”. In verità ci sono 5-6 coppie pericolose: le sorelle Williams, certo, ma anche Petrova-Kirilenko, Hradecka-Hlavackova, Huber-Raymond, Makarova-Vesnina, le stesse Dulko-Suarez. Nel doppio misto, al contrario, con un tabellone a 16 coppie basteranno due vittorie per entrare in zona medaglie. Nelle ultime edizioni dei Giochi, l’Italia non ha fatto granchè. Poca gloria in singolare, mentre Pennetta e Schiavone sono andate vicino alla medaglia nel doppio femminile a Pechino. Persero tra mille rimpianti (6-1 3-6 7-5 lo score) contro le sorelle Bondarenko.
Nel tennis, le Olimpiadi non sono il torneo più importante. Lo dicono i punti in palio, ma soprattutto la storia. Alla luce di questo, è giusto effettuare una preparazione dedicata? Difficile a dirsi, ma il CONI elargisce contributi proprio per la preparazione olimpica. A quel punto, tanto vale ingegnarsi e provare a fare le cose nel modo migliore. Il responsabile della preparazione olimpica, fino al 2007, è stato Riccardo Piatti. Il coach comasco, a contratto scaduto, ha preferito lasciar perdere e andare per la sua strada. Allora il ruolo è stato assegnato “ad interim” a Sergio Palmieri, già direttore degli Internazionali d’Italia. E’ rimasto tale per tre anni fino a quando la figura di Responsabile della Preparazione Olimpica del Settore Maschile (perché, ce n’era uno per il settore femminile?) è scomparsa, o almeno non ve ne è più traccia sul sito federale. Probabilmente se ne occupa il board strategico, di cui Palmieri è coordinatore e di cui fanno parte anche Corrado Barazzutti e Renzo Furlan. Insomma, contributi a parte, non sappiamo esattamente come si è svolta la preparazione olimpica dei tennisti italiani. Il tennis non ha bisogno di preparazione specifica, a maggior ragione se il torneo si gioca sull’erba, superficie dove è quasi impossibile allenarsi per l'assenza di strutture. Tuttavia, l’impressione è che si potesse fare qualcosa di più. Tra gli uomini, il solo Andreas Seppi ha stoppato l’attività dopo Wimbledon, anche per riprendersi dopo le fatiche degli ultimi tre mesi. Fabio Fognini ha giocato sulla terra a Umago e Amburgo. In campo femminile, Pennetta e Schiavone hanno seguito l’esempio di Seppi (anche se la milanese aveva accettato una wild card per il torneo di Palermo, salvo poi non andarci), mentre Errani e Vinci hanno giocato a Palermo, con la tarantina impegnata anche a Bastad (dove la Errani ha dato forfait). Insomma, non c’è stata uniformità: ognuno ha fatto per sé.
Magari i risultati arriveranno lo stesso (e sarebbe auspicabile), ma è un fatto che la migliore olimpiade dal 1988 a oggi è stata quella di Atlanta 1996. Renzo Furlan sfiorò la medaglia, perdendo nei quarti da Leander Paes (che poi si sarebbe aggiudicato il bronzo contro Fernando Meligeni, non esattamente un fenomeno), mentre Andrea Gaudenzi giunse negli ottavi e per poco non batteva Andre Agassi, poi medaglia d’oro. Gli azzurri arrivarono in forma smagliante a quel torneo anche grazie al programma olimpico stilato da Adriano Panatta (mentre il CONI bocciò quello inizialmente preparato da Paolo Galgani). In cosa consisteva? Tra gli uomini, il punto di riferimento era Riccardo Piatti, che oltre agli “storici” Furlan e Caratti seguì per una quindicina di tornei Pescosolido, Brandi e Nargiso per provare alcune coppie di doppio. A fine 1995 ci furono quattro settimane di allenamento tra Como e Milano, il tutto sotto la supervisione del preparatore atletico Pino Carnovale (che oggi lavora per la FIT). Per le donne venne coinvolta Antonella Canapi, già coach di Rita Grande e Nathalie Baudone, e vennero elargiti contributi ai coach di Silvia Farina e Adriana Serra Zanetti. Sul piano pratico, ci furono test atletici a dicembre, marzo e giugno, mentre durante la seconda settimana del torneo di Miami era in programma uno stage ad Atlanta per verificare le condizioni di gioco. Inoltre, nel dopo Wimbledon, ci fu l’obbligo di giocare il torneo ATP di Washington e venne chiesto alle ragazze di raggiungere gli uomini per rifinire la preparazione, saltando Palermo. Un programma che portò discreti risultati, almeno in campo maschile. Non è detto che sia indispensabile, e nemmeno che i risultati sarebbero stati peggiori senza la “preparazione”, ma il progetto c’era ed era serio. In vista di Londra 2012 sembra che ai giocatori sia stata lasciata totale autonomia operativa. La scelta può essere giusta, specie se i contributi CONI sono stati utilizzati per sovvenzionare l’attività di base o quella giovanile. Ma non ci sembra che la Federazione abbia fatto granchè in avvicinamento alle Olimpiadi, al di là della presenza di medici e fisioterapisti in giro per i tornei più importanti (aiuto peraltro preziosissimo). Un’eventuale medaglia, insomma, dovrebbe essere accolta con sobrietà e senza prendersi meriti che non esistono. D’altra parte lo disse anche Paolo Galgani in un’intervista di qualche anno fa: “Quando un Furlan vince nei tornei è tutto merito suo. Così come sono sue le colpe quando perde”. Sembra un’ovvietà, ma è bene ricordarsene. Sempre.
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