L’INTERVISTA. Parla Luca Quinzi, papà di Gianluigi. “L’obiettivo non è scontato, ma ancora oggi un best ranking al n. 20 mi starebbe stretto. Non mi piacciono alcuni regolamenti”
Gianluigi Quinzi è nato a Cittadella il 1 febbraio 1996
Di Riccardo Bisti – 15 giugno 2012
Sul prossimo numero di TENNISBEST MAGAZINE, in edicola a inizio luglio, ci sarà un approfondito dossier su Gianluigi Quinzi.
“In Accademia te lo insegnano subito: diventare numero uno, due o tre al mondo. Potrei arrotondare a cinque, ma già 20 non andrebbe più bene”. Lo disse Luca Quinzi, papà di Gianluigi, nel 2008, quando il nostro direttore li andà a trovare a Monte Carlo, quando il baby-fenomeno del tennis azzurro si allenava con l’entourage di Riccardo Piatti. Da allora sono passati 4 anni e Gianluigi viaggia alla grande. E’ numero 3 del mondo nel ranking ITF, ma è stato anche numero 2 dopo la vittoria al Bonfiglio. L'attesa e l'interesse attorno a lui sono spasmodici. Pochi giorni dopo il trionfo al TC Bonacossa abbiamo fatto una chiacchierata con papà Luca, ex C2, ingegnere, presidente del Tennis Club di Porto San Giorgio (dove si gioca uno dei più importanti tornei internazionali under 12). Luca Quinzi è persona affabile: ama chiacchierare, confrontarsi, esprimere opinioni. E’ consapevole delle difficoltà che Gianluigi – e tutta la famiglia – dovranno superare per raggiungere l’obiettivo. Ma soprattutto ha le idee chiare sul futuro. E ha capito che il passaggio da potenziale fenomeno a fenomeno reale non è così automatico.
Come procede la crescita di Gianluigi?
Rispetto a qualche anno fa sono cambiate tante cose, ma la crescita è avvenuta in modo proporzionale sotto tutti gli aspetti: fisico, mentale e tecnico. Fisicamente è a posto, è cresciuto benissimo. Aveva alcune posture sbagliate con la schiena ma le ha in gran parte risolte. La muscolatura è sopra la media e ha fatto un ottimo lavoro di kinesiologia e osteopatia. Non ha avuto infortuni: chissà se è un segno del destino o un colpo di fortuna. Di sicuro è stata fatta accurata prevenzione. Sul piano mentale ha una stabilità eccezionale. Lì c’è poco da fare, o ce l’hai non ce l’hai. Puoi migliorare con le esperienze, e lui ha avuto la possibilità di vivere per tanti anni nel contesto americano. Ha vissuto in prima persona ogni situazione: questo lo ha forgiato. Sul piano tecnico parte da basi naturali elevate, ma deve lavorare molto. Aveva ragione Riccardo Piatti quando diceva che bisogna lavorare molto su questo aspetto. Ci vuole una maggiore pulizia tecnico-tattica e una migliore propensione verso la rete.
Qualche anno fa lei disse che non avrebbe firmato per un best ranking intorno al numero 20. Conferma?
Gianluigi aveva 12 anni e ci poteva stare la provocazione. Poi gli anni passano e ti accorgi che l’obiettivo non è così scontato. Tuttavia, ancora oggi, se dovessi metterci la firma, il numero 20 mi starebbe stretto. La differenza è che prima lo dicevo quasi con disprezzo, adesso con grande rispetto perché il numero 20 è un grande campione. Ma vincere il Bonfiglio a 16 anni, con tutte le pressioni che aveva, è una gran cosa. Il risultato conta, e via via conterà sempre di più. Tutto questo mi fa pensare che il lavoro può proiettare a obiettivi ancora più ambiziosi.
Ma la famiglia Quinzi vive solo di tennis?
Ne parliamo molto, anche per ragioni organizzative. E’ qualcosa che ci è piombato addosso, non l’avevamo progettato. E non vorremmo che si ripeta con il secondo figlio. La vita del tennista è difficilissima, porta stress incredibili. Essendo uno sport individuale prevede la condivisione con la famiglia, poi a 16 anni c’è una logistica in continua evoluzione. Più sali di livello e più le problematiche si fanno grandi. Io dirigo un tennis club, mia moglie arriva dallo sport…è normale che si parli molto di tennis. Ovviamente non è il nostro unico argomento.
Ma Gianluigi come vive la pressione? Percepisce l’attesa spasmodica che c’è per ogni suo risultato?
Né io né lui leggiamo quello che viene scritto su internet. Mi dicono che per 10 post su un qualsiasi giocatore, ce ne sono 400 su Quinzi. E’ normale: c’è voglia di un campione maschio, poi il suo background americano dà un pizzico di colore in più alla sua storia. La miscela può essere esplosiva, ma devi trovare un modo per affrontarla. Gianluigi temeva molto il Bonfiglio proprio per questo, ma la risposta è stata spettacolare. Di certo la parte mentale è il suo punto forte. E poi ha il vantaggio di trascorrere molto tempo fuori dall’Italia.
Quali difficoltà incontrerà?
Quelle che propone il tennis, in particolare il passaggio da junior a professionista che spesso è limitato da regolamenti assurdi. Le regole attuali tutelano molto i top 100, perché dai futures e dai challenger è molto difficile emergere. Ci sono in palio pochi soldi e pochi punti, rischi di rimanerci per anni. Da un punto di vista sindacale non mi piace, però egoisticamente credo che Gianluigi sia in grado di filtrare dall’imbuto, un po’ come successo a Tomic. E allora potrebbe andare bene così.
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