Bernard Tomic chiede all'arbitro di allontanare il padre
Di Riccardo Bisti – 27 marzo 2012
La tematica genitori-figli è sempre molto in voga. L’ultimo episodio è avvenuto al Masters 1000 di Miami durante il match tra Bernard Tomic e David Ferrer. A un cambio di campo, l’australiano si è rivolto al giudice di sedia (il francese Cedric Mourier) chiedendogli esplicitamente di allontanare il padre John, che a suo dire gli stava dando fastidio. Nel quinto game del secondo set, con Tomic al servizio e sul punteggio di 0-30, il padre ha ripetutamente scosso la testa. Nel resto del game (poi vinto da Tomic), il giocatore ha ripetutamente brandito la racchetta in direzione del padre, invitandolo ad allontanarsi. Al termine del game, Tomic si è rivolto all’arbitro e i microfoni hanno captato tutto.
“E’ fastidioso. So che è mio padre, ma mi sta dando fastidio” ha detto Tomic, che poi ha proseguito “Vorrei che se ne andasse, ma come è possibile?”
Mourier: “Se tu gli dici di andarsene”
Tomic: “Non succederà. Se lo vedi fare coaching, digli di stare calmo”
Mourier: “Ha già preso un avviso”
A quel punto, Mourier pronuncia un avviso di warning per “coaching non autorizzato”, spingendo Tomic a dirgli addirittura “grazie”. E’ la prima volta nella storia che un giocatore ringrazia l’arbitro per avergli dato un warning. Nonostante le immagini (e le registrazioni) siano chiare, Tomic ha negato tutto. Si è limitato a dire che voleva mandare il padre a recuperare le racchette incordate. Al di là di questo, voci sempre più insistenti sostengono che Tomic sia in cerca di un nuovo coach. Non è la prima volta che il rapporto tra i due passa alle cronache: a un Future australiano del 2009, durante un match contro Marinko Matosevic, John Tomic invitò il figlio ad abbandonare il campo perché secondo lui gli “arbitravano contro”. Tomic venne squalificato per un breve periodo dall’ITF per aver obbedito alle indicazioni paterne. Sangue balcanico, John Tomic è un tipo piuttosto aggressivo. Non arriva ai livelli di genitori tristemente noti come Jim Pierce e Damir Dokic, anche perché la realtà del tennis femminile è molto diversa, tuttavia è uno da “bollino rosso”. In passato ha avuto contrasti anche con il coach Roger Rasheed, mentre l’unico che lo sostiene è Craig Tiley (direttore dell’Australian Open). Tiley gli riconosce grandi meriti nella crescita del figlio. In verità i due hanno una solida partnership lavorativa, e che un paio d’anni fa il figlio si lamentò con la direzione dell’Australian Open perché un suo matche era stato mandato in campo troppo tardi alla sera.
Un episodio del genere è accaduto anche lo scorso anno a Wimbledon, quando Walter Bartoli, padre di Marion, abbandonò il campo durante un match della figlia. Quella del “coaching” è una tematica molto sentita, soprattutto a livello giovanile e se ad attuarlo sono i genitori. Il caso di Na Li con il marito Jiang Shan è unico, mentre per il resto i legami familiari sono più spesso negativi. Non tutte le famiglie sono come quella di Rafael Nadal, con zio Toni che ha evidenti meriti della crescita agonistica del nipote (ma non sono state solo rose e fiori, come ha ammesso lo stesso Rafa nella sua biografia). Spesso i genitori vedono nei figli una possibilità di riscatto sociale e non sempre hanno la capacità di defilarsi e mantenere un atteggiamento corretto.
Il fenomeno di genitori molto “vivaci” è forte anche a livello giovanile. Basta recarsi presso un qualsiasi torneo e si possono vedere scene di ogni tipo. Per questo, nel Consiglio Federale tenutosi un paio di settimane fa, la FIT ha deciso di intervenire e legalizzare il “coaching” nelle categorie degli Under 10 agli Under 16. Gli interventi saranno possibili soltanto a fine set e (soprattutto) saranno consentiti esclusivamente agli insegnanti dotati del titolo di Tecnico Nazionale o Maestro Nazionale. L’idea è buona perché delinea con chiarezza il confine: durante un match, il giovane tennista deve ascoltare solo il proprio tecnico e non il genitore (a meno che quest’ultimo non abbia la qualifica, come ad esempio Cosimo Napolitano, papà-coach della giovane promessa Stefano). Ci sono un paio di aspetti che non convincono:
- Se uno dei due giocatori è accompagnato dal maestro e l’altro no, si rischia di andare incontro a un’evidente disparità.
- Il costo. Chi vorrà usufruire del coaching, all’atto dell’iscrizione dovrà indicare il maestro e pagare 1 euro “extra” di tassa FIT. Era davvero necessario?