L’immagine di Novak Djokovic è stata utilizzata per celebrare i risultati di un sondaggio che ha negato l’autorità di Pristina nel nord kosovaro. DI RICCARDO BISTI
La scheda del referendum organizzato dalle municipalità serbe del Kosovo

Di Riccardo Bisti – 17 febbraio 2012

 
La strada principale della piccola città kosovara di Zvecan è tappezzata di immagini di Novak Djokovic. Ma non si celebra la vittoria all'Australian Open o qualsiasi impresa tennistica: l’immagine di Djokovic ha scopi politici. Accanto al suo volto c’è la scritta: “Referendum: 99%”. L’allusione è al referendum degli scorsi 14-15 febbraio, quando i residenti del nord del Kosovo (quasi tutti di origine serba) hanno detto “no” in forma plebiscitaria (99,74%) alla domanda: “Accetti le istituzioni della cosiddetta Repubblica del Kosovo?”. Il Referendum è stato organizzato dalle quattro municipalità serbe del nord del paese. Il mandato del governo kosovaro, gestito da albanesi, non è riconosciuto in queste zone. Boris Tadic, presidente serbo (che in più occasioni ha cercato di associare la sua immagine a quella di Djokovic, andando anche a Londra per seguire la finale di Wimbledon) si è dissociato dal referendum, definendolo illegale e inutile. La partecipazione al voto è stata elevatissima. Le scuole erano un continuo viavai. Seggi improvvisati, scatole di cartone, matite consumate. In pochi si sono preoccupati di mantenere la segretezza del loro voto. Da quelle parti l’odio per le istituzioni kosovare è così grande che il voto è un puro esercizio di retorica.
 
Tra gli organizzatori del referendum c’è un ingegnere di nome Dragoljub. La sua opinione è chiara: “Tutti gli altri popoli della ex Jugoslavia avevano il diritto a esprimere il loro desiderio attraverso i referendum: sloveni, croati, macedoni, albanesi…stiamo solo dicendo quello che vogliamo e quello che non vogliamo”. Mitrovica è una città divisa. A nord ci sono i serbi, a sud gli albanesi. Il referendum si è svolto presso la scuola “Alas Mihailo Petrovic”. La gente dice all’unisono: “Vogliamo solo stare insieme alla nostra gente”. Qualcun altro dice: “Noi non vogliamo vivere in un “paese” chiamato Kosovo. E ricordatevi sempre di mettere le virgolette”. E’ risaputo che i serbi residenti in quella zona, del “Kosovo”, non ne vogliono sapere. Il problema riguarda ciò che pensa la Serbia propriamente detta. Il Kosovo settentrionale è governato dai partiti dell’opposizione serba, che si sta organizzando in vista delle elezioni che dovrebbero svolgersi il prossimo 6 maggio. Entro la fine di febbraio, la Serbia conta di ottenere lo status di paese candidato per l’adesione all’Unione Europea. I partiti dell’opposizione, tuttavia, sono contrari. In questo modo sperano di danneggiare il progetto politico e – di conseguenza – indebolire la posizione di Tadic. I serbi hanno provato a ottenere lo status di candidato per l’ultima volta lo scorso dicembre, e ancora una volta non ci fu niente da fare. Per riuscirci ci vogliono tre condizioni: detto che nessuna è stata ancora soddisfatta, tra queste c’è la necessità di un accordo tra Serbia e Kosovo affinchè quest’ultimo sia rappresentato nelle riunioni regionali. Le trattative sono in corso, ma la soluzione sembra ancora lontana. Di certo è un momento chiave: se la Serbia dovesse ottenere lo status, le elezioni di maggio dovrebbero essere sospese. In caso contrario, inizierebbe la campagna elettorale.
 
Novak Djokovic si è “compromesso” sulla questione ormai quattro anni fa. Nel febbraio 1998, poco dopo la sua prima vittoria all’Australian Open, mandò un videomessaggio alla gente di Belgrado che stava manifestando contro la proclamazione di indipendenza del Kosovo. Djokovic disse: “Il Kosovo è serbo e siamo pronti a difenderlo”. Quella sera scoppiarono disordini di ogni tipo, con dozzine di ferite. Venne incendiata l’ambasciata americana e vandalizzate quelle croata, bosniaca e tedesca. Il padre e lo zio di Djokovic Kosovska Mitrovica, la città divisa in due. La famiglia Djokovic ha vissuto per qualche tempo aZvecan. Djokovic è ancora molto legato alla sua terra d’origine e ha recentemente finanziato la costruzione di alcuni campi da tennis e l’acquisto di ambulanze. In certi paesi, separare sport e politica è ancora un'utopia.


Febbraio 2008: il videomessaggio di Djokovic sulla questione serbo-kosovara.