Essere concentrati in campo durante un match fa la differenza. Ma cosa si intende esattamente per concentrazione? E’ un processo mentale elaborato, che non tutti i campioni riescono a padroneggiare pienamente. Guillermo Vilas ne era un maestro mentre invece…
Diceva Michel Foucault: “Quando scrivo c’è qualcosa che mi strappa a me stesso spingendomi lontano da tutto. E’ così che riesco a essere conclusivo e a trarre nuova esperienza”.
Estraniarsi dunque, ecco la risposta a chi non ama sprecare energie nervose nell’ottica di raggiungere la condizione ottimale di Entità Separata. Un modo diverso di definire il concetto di concentrazione, l’insieme di qualità cognitive che fissano il pensiero sul compimento di un’azione preordinata. Una forma di autogestione che lo sport ha fatto sua annidandosi in atleti affermati, abili a scartare messaggi esterni per convergere mentalmente verso un unico scopo. Competitori solidi, diversi da altri dispersivi troppo spesso sommersi da fattori estranei alla prestazione.
Un presupposto psicologico che induce il soggetto a focalizzare gli elementi utili al risultato e nulla di più. Una metamorfosi che i campioni di valore sanno attuare su se stessi mantenendo lucidità anche negli scorci di confusione mentale che possono sopraggiungere nelle fasi topiche della gara. L’atleta concentrato tende a controllare le emozioni con maggior raziocinio respingendo a priori il pericolo di un’emotività pronunciata. Una condizione a cui il campione tende con forza, attivando di volta in volta qualità psicofisiche da incanalare verso un obbiettivo alla volta.
Nei tennisti in particolare, la concentrazione passa per un corretto utilizzo delle pause. Un lasso di tempo in cui il giocatore avvia su di sé un rapido disapprendimento, gettando alle spalle il pregresso e recuperando il filo del gioco appena prima del punto successivo. Un esempio spiccato di Entità Separata fu sicuramente Guillermo Vilas che limitava ogni problema alla sua metà campo ignorando accadimenti esterni al gioco. Diversamente da John McEnroe che, a dispetto del grande talento, non azzerava del tutto il contatore nelle fasi di stasi scivolando in forme di nevrosi da sfogare su arbitri malcapitati. Una rivalità, la loro, che rifletteva differenti modalità di concentrazione. Quella del sudamericano, estranea a tutto, e l’altra del newyorkese, rumorosa e altalenante, solo a tratti incanalata in uno stato di Entità Separata.
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