A 68 anni, Gail Falkenberg non ha ancora detto basta ai tornei ‘pro’. Proprio lei che iniziò a fare sul serio a 38 primavere, quindici passate a lavorare come regista. “Sei pazza” le dicevano, invece si è costruita un’ottima carriera. E quasi batteva la Capriati.A volte può bastare la carta d’identità per diventare dei personaggi. Qualche tempo fa ha attirato l’attenzione Felix Auger Aliassime, il primo giocatore nato nel nuovo millennio a entrare nel ranking ATP, stavolta a stupire è una storia al contrario. I 14 anni del canadese di origini togolesi lasciano spazio ai sessantotto (!) della statunitense Gail Falkenberg, che invece di godersi la meritata pensione continua imperterrita a competere nelle qualificazioni dei tornei ITF. Nel mondo ce n’è parecchia di gente che nonostante l’età ritarda di continuo la data di scadenza del proprio sogno con la racchetta, fregandosene dei 6-0 6-0 a destra e a manca. Quasi ogni nazione ha il suo: per l’Italia c’è Enrico Becuzzi, la Francia – suo malgrado – ha trovato il pazzoide Nicolas Leobold*, e via dicendo. Ma Gail è diversa dagli altri. Occhiali grandi, cappellino in testa, tutore al ginocchio sinistro e racchettone di quelli che ormai si vedono solo in qualche circoletto di provincia alla domenica mattina, l’americana al tennis ci ha dedicato tutta la seconda parte della sua vita, e continua a giocare per una sfida personale. Niente punti, niente scusa per viaggiare per il globo, niente voglia di vivere in un mondo che non le appartiene (più), bensì il desiderio di vedere fin dove può arrivare. La sua vita nel mondo del tennis è stata una sfida sin dall’inizio, da quando nel 1985, a 38 primavere sul groppone, mollò un lavoro da apprezzata film-maker a Los Angeles per buttarsi nel Virginia Slims Tour, rendendo il tennis da hobby a lavoro da un giorno all’altro. “Sei pazza” le dicevano tutti, esortandola a ripiegare sui tornei nazionali over-35, salvo ritrattare a fine Anni ‘90 quando diventò “fenomenale”, ancora nel ranking WTA a 51 anni, dopo aver superato un turno nelle qualificazioni degli Australian Open e siglato il best ranking alla posizione numero 360.
SOGNAVA GLI YANKEES, HA TROVATO IL TENNIS
Risultati incredibili in relazione all’età, e la gran parte dei quali raggiunti a tempo perso, mentre lavorava come coach alla University of Central Florida. Iniziava alle 9 del mattino, ma era già sui campi alle 7.30, dopo un’oretta di corsa da un angolo all’altro del Campus. “Era l’unico momento del giorno in cui potevo concentrarmi sul mio tennis”. Poi seguiva gli allenamenti, lavorava qualche ora in ufficio e tornava per le sessioni pomeridiane. L’ha fatto dal 1991 alla fine del 1998, allenando entrambe le squadre di tennis (maschile e femminile) e per un periodo pure quella di basket femminile, rimasta senza coach. Proprio lei che il basket l’aveva praticato per divertimento solo ai tempi in cui frequentava la University of California di Los Angeles, insieme a un sacco di altri sport, ma aveva il carisma per guidare comunque la squadra. Idem per i tennisti: nei college USA capita di rado di vedere delle donne alla guida dei team maschili, ma con la sua personalità la Falkenberg era la persona ideale. “Non insegnava la tecnica, ma la tattica, il modo in cui giocare i punti, e soprattutto come controllare le emozioni”, raccontano di lei. C’è riuscita talmente bene che da quelle parti la ricordano quasi come una leggenda, e saranno felici di vederla ancora sui campi da tennis a 68 anni. E pensare che da ragazzina è cresciuta nel New Jersey ammirando Mickey Mantle, leggenda degli New York Yankees. Pur essendo donna sognava un ruolo da numero 8 nella sua squadra del cuore, ma la passione per il baseball è scemata all’Università. Lì è nata quella per il tennis, forgiata per tanti anni e sopravvissuta anche alla laurea con tanto di Master in produzione cinematografica, che la portò per una quindicina d’anni a girare film e documentari in tutti gli Stati Uniti.
QUELLA BATTAGLIA CON LA CAPRIATI
“Quel lavoro mi piaceva molto, ma sentivo che il mio futuro era nel tennis”. Così, ci ha provato alla soglia dei 40 anni, togliendosi grandi soddisfazioni e facendo piangere tante avversarie. “A volte la mia presenza generava imbarazzo. Ho visto parecchie giocatrici nascoste negli spogliatoi a chiedersi come avessero potuto perdere da ‘quella vecchia’, eppure era successo davvero”. È stato così fino al 1999, quando in un colpo solo ha mollato Università e attività internazionale a favore di un posto da insegnante di tennis allo Sports Club di Las Vegas. Per una dozzina d’anni non si è più vista nel circuito, ma nel novembre del 2011 si è riaccesa la scintilla. Quasi quattro anni più tardi Gail è ancora lì, con suo look old style completamente bianco e un sorriso a trentadue denti che l’accompagna sui campi di Florida, Alabama, South California, Georgia e Mississippi. Intorno tante ragazzine in cerca di gloria, che talvolta la scambiano per una socia del club, pronta a un’oretta di cesto col maestro, salvo poi trovarsela dall’altra parte della rete. E fa niente se fa sempre più fatica a togliere lo zero dal taccuino del giudice di sedia, quello che conta è combattere ancora, con lo stesso fuoco che l’ha sempre accompagnata, quando sognava di giocare a baseball, allenava una squadra di basket o lottava per oltre tre ore con una Jennifer Capriati di 29 anni più giovane, che dopo qualche mese sarebbe arrivata in semifinale allo Us Open. “Non voglio pormi limiti, e non voglio che qualcuno lo faccia al posto mio. Nessuno deve permettersi di determinare potenzialità e futuro di altre persone. Quando decisi di diventare una tennista professionista, tutti mi dissero che non sarei mai andata oltre la terza categoria. Beh, direi che ne ho fatta di strada”. Già, e di questo passo continuerà a farne, sorridendo a ogni 6-0 6-0 come fosse una vittoria.
* Nicolas Leobold è un eccentrico signore francese di 47 anni, occhiali rosa di Hello Kitty, taglia XL e tennis da far ridere un ‘ennecì’, che nelle scorse settimane è diventato lo spauracchio dei tornei Futures in Italia. Sul suo profilo Twitter si definisce (anche) ‘ATP Pro’, ma in campo rimedia solo biciclette e fuori combina un disastro dietro l’altro. Hanno imparato a conoscerlo i Carabinieri di Bergamo, Lecco e Lodi, dove ha tentato quello che probabilmente rimarrà il suo ultimo sign-in. Non gli è stato permesso di firmare per le qualificazioni a causa delle multe da saldare che si portava dietro dalle settimane precedenti, lui ha reagito disintegrando il pc del supervisor. Fortunatamente, pare che l’ITF abbia preso provvedimenti.
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