Il caso Llodra giustifica la domanda. Qualche anno fa il Guardian ne parlò diffusamente, ma noi crediamo che il tennis sia come il resto della società. Forse un pizzico meglio.
A Jo Wilfried Tsonga capita di ricevere lettere a sfondo razzista

Di Riccardo Bisti – 13 marzo 2012

 
Lo sport, si sa, è uno spaccato della società che cambia e si evolve. E’ normale che anche sul campo da tennis ci siano situazioni “da strada”. L’ultima è avvenuta a Indian Wells, con Michael Llodra multato per aver pronunciato una frase razzista (“Fucking chinese”) verso una coppia di spettatori durante il suo match contro Ernests Gulbis. L’ambiente del tennis è generalmente tranquillo ed educato, anche in virtù dell’internazionalità del nostro sport (seconda solo all’atletica leggera). Ma anche nel nostro mondo ci sono stati episodi di razzismo, veri o presunti. Uno dei più famosi riguarda proprio il torneo di Indian Wells. Nel 2001 avrebbero dovuto affrontarsi in semifinale Venus e Serena Williams. Venus si ritirò 10 minuti prima di scendere in campo, scatenando le ire del pubblico che durante la finale contro Kim Clijsters se la prese a morte con Serena, scatenandosi in attacchi che lei stessa definì “razzisti”. In quel caso, probabilmente, c’era solo la rabbia dovuta alla sensazione che i derby in famiglia fossero comandati a tavolino da papà Richard, ma la reazione delle Williams fu perentoria: mai più Indian Wells, chissenefrega se il torneo è obbligatorio. In verità, papà Richard ha dichiarato che lui è Venus vennero apostrofati “negri” mentre raggiungevano il loro posto per assistere alla finale. “Un ragazzo ci ha detto: ‘Vorrei che fosse il ‘75’, riferendosi alle rivolte razziali di Los Angeles”.
 
La popolarità porta molti vantaggi, ma anche tanti fastidi. E le sorelle Williams sono le tennista di colore più famose di sempre insieme ad Althea Gibson ed Arthur Ashe. E’ dunque normale che gli episodi di razzismo (vero o presunto) riguardino soprattutto loro. Come qualche anno fa al torneo di Miami, quando durante un match di Serena uno spettatore gridò: “Tira la palla in rete come un negro qualsiasi”. Turbata e sconvolta, chiese che l’uomo venisse allontanato dagli spalti. Venne accontentata. Un altro episodio importante risale al Roland Garros 2003, quando Serena venne fischiata selvaggiamente dal pubblico francese durante la semifinale contro Justine Henin. Al di là degli aspetti razziali, fu uno dei punti più bassi degli ultimi 10 anni. L’episodio spinse il quotidiano inglese “The Guardian” a scrivere un articolo dal titolo: “Il tennis è razzista. E’ giunto il momento di fare qualcosa”. Si scriveva che la classe media avrebbe preferito che i campioni di tennis fossero bianchi. “Venus e Serena vengono accolte bene a Wimbledon – si scriveva – ma tra il pubblico ci sono pochissimi spettatori di colore. E c’è poca simpatia per spettatori, commentatori o giornalisti neri. Le sorelle Williams arrivano da un mondo diverso rispetto alle loro avversarie. Il fatto è che questo non viene quasi mai detto o scritto. Le sorelle Williams, insieme al padre, vengono sottoposte a continue critiche, accuse e insinuazioni: il loro fisico sarebbe un vantaggio ingiusto, sarebbero arroganti e distaccate, poco popolari presso le altre giocatrici. Senza contare papà Richard, etichettato come una figura ridicola e assurda, capace di aggiustare le partite. La maggior parte del razzismo – soprattutto quello della classe media – non è crudo né esplicito, ma sottile e sfumato, celato dietro le critiche alle singole persone e non espresso attraverso i pregiudizi veri e propri”.
 
Jo Wilfried Tsonga è francese, ma papà Didier è congolese. La sua pelle scura è la ragione di alcune lettere a sfondo razzista. Si, avete letto bene. Il numero 6 ATP riceve lettere offensive. “Mi scrivono in tanti – racconta Tsonga – spesso sono lettere simpatiche, di bambini o di genitori di bambini che vogliono giocare a tennis, ma ricevo anche lettere razziste. E’ davvero doloroso, perché non sei pronti a subire una cosa del genere. Purtroppo la stupidità non può essere cancellata, ma solo controllata”. L’episodio di Llodra è stato deplorevole, ma la sensazione è che fosse dettato dal momento. Nessuno pensa veramente che il francese sia razzista, anche perché viene da uno dei paesi dove l’integrazione razziale è meglio riuscita. La definiremmo una leggerezza, come quella di Lleyton Hewitt a un vecchio Us Open. Durante un match contro James Blake, a seguito di una chiamata sfavorevole, si rivolse verso e l’arbitro e disse: “Guarda il mio avversario e il giudice di linea: non ti sembra che abbiano qualcosa in comune?”. Erano entrambi di colore. Hewitt ha sempre detto di essere stato frainteso, e forse c’è da credergli. Il razzismo c’è, ma forse il tennis è una delle realtà che ne è meno colpito. Può capitare che tra il pubblico possa nascondersi qualche stupido, ma il problema non è circoscritto al nostro mondo. La società dovrebbe migliorare, estirpare i pregiudizi. Quando ci sarà riuscità, il Guardian non sentirà più il bisogno di scrivere articoli di questo tipo. Ma l’impressione è che ci vorrà ancora un po’ di tempo. Purtroppo.