Jana Cepelova ha raggiunto la finale a Charleston. Con una curiosità: era completamente sola, senza nessuno al seguito. Una lezione per tutti quelli che si sentono persi senza coach.
La solitudine ha portato bene a Jana Cepelova
Di Riccardo Bisti – 9 aprile 2014
Il tennis è uno sport super-professionistico. Nulla è lasciato all’improvvisazione. Tanti hanno uno staff completo. Allenatore, preparatore atletico, fisioterapista, psicologo, nutrizionista…pare che non se ne possa fare a meno. Invece, evidentemente, si può. Jana Cepelova, ragazzotta slovacca di 20 anni, ha centrato una clamorosa finale a Charleston senza alcun aiuto. Era sola, abbandonata a se stessa. Eppure ha giocato il suo miglior torneo. Una storia da non raccontare a chi spende una fortuna pur di non restare solo. A ogni conferenza stampa glielo chiedevano. “Ma davvero sei sola? Non c’è nessuno che ti supporta?”. Coach Martin Zathurecky la segue da un anno e mezzo, ma dopo Miami è tornato in patria. “Ovviamente siamo sempre in contatto. Durante il torneo ci siamo sentiti via Skype, per sms…siamo un team”. Un team che comprende anche il preparatore atletico Ladislav Olasz e il fisioterapista Zdenko Duris. Ma a Charleston, dove i calzini si sporcano di verde, non c’era nessuno. I viaggi costano, e la Cepelova non può permettersi un coach ad ogni torneo. Nei primi giorni le ha dato una mano Janette Husarova, sua connazionale, in South Carolina per giocare il doppio. Ma poi è partita è “Janka” è rimasta sola. Ha dovuto provvedere a tutte le piccole incombenze. Racchette, lavanderia, prenotazione allenamenti. Di più: doveva anche cercarsi la compagna d’allenamento. Eppure ha centrato il successo della vita contro Serena Williams, poi ha messo in fila Elena Vesnina, Daniela Hantuchova e Belinda Bencic. In finale si è arresa ad Andrea Petkovic, che l’ha riempita di complimenti. “Mi ha impressionato, non posso credere a quello che ha fatto. Nei primi giorni non mi ero neanche resa conto che fosse da sola. Non so come abbia fatto. Ok, a volte non è male, però non hai nessuno con cui sfogarti, quindi devi tenere le emozioni negative dentro di te”.
A parte un bel dritto, la cui tecnica ricorda vagamente quello della connazionale Dominika Cibulkova, la slovacca non ha un gioco che colpisce. Però è una grande combattente e sembra avere i neuroni al posto giusto. E’ cresciuta nel mito di Martina Hingis (nata a Kosice, sua stessa città natale), ma adesso va matta per Rafael Nadal. Con lui condivide la superficie preferita, la terra battuta, ma il suo torneo preferito è Wimbledon. Durante la settimana di Charleston, l’unico lato negativo è stata l’impossibilità di condividere la gioia con qualcuno. “Ovviamente resto in contatto con parenti e amici. E se ho bisogno di comunicare con loro durante un match, guardo la telecamera”. Ciò che ha impressionato non è stato tanto la vittoria contro la Williams (vistosamente fasciata a una gamba, poi autodefinitasi ‘esausta’), quanto la capacità di superare la prova del 9, quella del 18 e anche quella del 27. “Ho vissuto una situazione simile alla sua – ha detto la Petkovic – e dopo un exploit è dura restare concentrati perchè ricevi in sacco di chiamate, vieni travolta dagli impegni, e solitamente c’è un calo. Quello che ha fatto è stato incredibile”. Prima del torneo, Jana era numero 78 WTA. E’ salita in 51esima posizione e ha intascato un bel gruzzolo (64.000 dollari al lordo di tasse e spese). Da adesso, è probabile che possa permettersi l’allenatore ad ogni torneo. Il tennis era nel suo destino: ha iniziato a giocare a 4 anni per seguire le orme del fratello Roman, quattro anni più grande, che oggi fa il maestro presso il Tenis Komplex di Kosice. Sono passati tanti anni, ma lei è ancora un po’ bambina, tanto che sul suo sito ufficiale c’è ancora una gallery di foto scattate insieme ai big del tennis. In effetti, osservandola, sembra una giocatrice da circolo. A parte un fisico e un portamento non esattamente da modella, a Charleston ha giocato con visiera Fila, completo Nike e scarpe Babolat. “Ho un contratto solo con Babolat per le racchette. Per il resto, non ho accordi per l’abbigliamento. Sto aspettando”.
Forse avrebbe anche potuto vincere, ma alla fine non ne aveva più. Un forte indurimento alle gambe le ha impedito di giocare al meglio in finale. “Ma forse è un bene che abbia perso – dice il coach – il primo grande successo può attendere”. A Charleston, ha effettuato lunghe chiacchierate proprio con Zathurecky. “A volte parlavamo per 40 minuti, altre ancora solo per 10. Quando era in hotel, con un buon wifi a disposizione, facevamo le conversazioni più lunghe”. Tuttavia, “Janka” (si era mai visto qualcuno con il soprannome più lungo del nome?) è abituata a fare tutto da sè sin da piccola, quando si allenava con i maschi e metteva in mostra un senso dell’anticipo fuori dal comune. Anche per questo è piuttosto brava in diversi sport. “Ed è una ragazza d’oro, molto legata alla sua famiglia, in particolare a mamma Jarmila, che ha fatto ogni sacrificio per lei. Adesso i genitori sono andati in pensione". La Cepelova ha dato una lezione a tanti colleghi. Sembra che la presenza di qualcuno sia indispensabile, pena chissà quale dramma. Invece la slovacca ha dimostrato che, in solitudine, si può anche giocare il miglior torneo in carriera. Da soli non c’è spazio per le distrazioni. Servizio in camera, computer acceso e il gioco è fatto. Meglio soli che (bene) accompagnati.
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