di MARCO CALDARA
Lo sport ogni giorno regala storie. Di campioni amati e strapagati, gente a cui basta poco per conquistare la notorietà, ma anche di chi primeggia nell’ombra, lontano dai grandi palcoscenici e dall’attenzione del pubblico. Sportivi che malgrado delle spiccate qualità faticano a ritagliarsi anche solo qualche riga sulle pagine di un qualunque quotidiano sportivo, ma non per questo sono meno fenomenali, sia dentro sia fuori dal campo. È il caso del trentanovenne bolognese Fabian Mazzei, numero uno d’Italia di tennis in carrozzina dal lontano 1999. Un atleta di altissimo livello capace di arrivare fra i primi venti del mondo, ma sconosciuto anche a parecchi appassionati. Un personaggio silenzioso e riflessivo, che nella propria vita ne ha passate parecchie, ma con tanta forza di volontà è riuscito a lasciarsi tutto alle spalle. E ora racconta anche i momenti più duri con gioia e un sorriso contagioso stampato sul viso, malgrado la sorte lo obblighi a vivere su una carrozzina dall’età di 21 anni. Era il 1994, quando durante una normalissima gara di sci (sport che praticava per divertimento nei week-end invernali) Fabian cadde rovinosamente, andando a sbattere contro un albero. L’esito fu terribile: lesione midollare D12-L1, e quindi paraplegia, sedia a rotelle. “Ma me l’aspettavo – esordisce – perché all’età di 12 anni mio padre mi portò da una sensitiva, che nel mio futuro vide la carrozzina. Io non detti peso alla sua visione, mentre lui si preoccupò molto, e me lo ricordava spesso, durante ogni raccomandazione. Viveva con questa paranoia, che un giorno è diventata realtà”. Una realtà crudele che gli ha tolto tanto, obbligandolo a ripartire da zero, ma allo stesso tempo ha aperto nuove strade, una nuova vita. Completamente diversa dalla precedente, ma ricca di soddisfazioni ancor più grandi.
UNA NUOVA VITA, DIVERSA E ANCORA PIÙ BELLA
Un normalissimo terza categoria si è trasformato in un uomo da quasi cinquanta vittorie internazionali fra singolare e doppio, più 46 titoli di campione italiano e quattro partecipazioni alle Paralimpiadi. Un talento invidiato da tutti i colleghi, che invecchia come il buon vino, affinando una tecnica esemplare. “Mi sono avvicinato al tennis in carrozzina nel 1997 – racconta il bolognese – per merito del maestro con cui mi allenavo prima dell’incidente. Fu lui a propormi di provare il wheelchair. Al tempo non c’era la visibilità mediatica di oggi, uscivamo dagli ospedali e neanche sapevamo che queste discipline esistessero. Io desideravo tornare a fare sport più di ogni altra cosa, perché sono uno sportivo, ed è nello sport che trovo la mia realizzazione. Così decisi di ascoltarlo e iniziai a giocare, e col tennis in carrozzina fu amore a prima vista”. Otto mesi dopo era già in Australia a disputare tornei internazionali, e l’anno dopo si guadagnò un posto alle Paralimpiadi di Sydney. Un’ascesa rapidissima ma non casuale, che l’ha visto mostrare una superiorità disarmante nei confronti di tutti gli altri italiani, tanto che nei tornei nazionali non perde un incontro da ormai tredici anni (Catania 1999, contro Claudio Rigolo). Ma ciò che ricorda con particolare emozione sono le quattro volte in cui ha messo piede nello Stadio Olimpico, per la cerimonia d’apertura delle Paralimpiadi. “Il momento più bello è quando viene acceso il braciere: ti scorre davanti agli occhi il film della tua vita, e capisci che tutti i sacrifici compiuti hanno avuto un senso. Si tratta di un’esperienza unica, che ho avuto la fortuna di vivere insieme a tante altre persone come me. Gente che ha avuto una sfortuna, ma si è saputa rialzare e ha dedicato tutta la vita a uno sport, per poter un giorno essere lì”. Persone da stimare, proprio come Fabian stima Shingo Kunieda, ventottenne giapponese che fra singolare (13) e doppio (11) ha vinto più tornei del Grande Slam di Roger Federer, e anche tre medaglie d’oro nel torneo a cinque cerchi. “In tanti si stanno ispirando a lui, perché giocando sempre in anticipo ha cambiato il modo di vedere il tennis in carrozzina, e poi è un ragazzo molto solare, intelligente”. Fra i professionisti del circuito Atp ammette invece di ammirare sia Rafael Nadal che Roger Federer, due giocatori diversi, ma ugualmente fenomenali. “Rafa è un combattente, mi ispiro a lui perché in campo mi piace lottare, adoro quelle giornate in cui mi per vincere devo soffrire, impazzire sul campo. Federer invece è poesia, quando gioca sembra non faccia fatica, non si capisce come gli possa riuscire tutto ciò”.
"Due giorni prima dell'incidente chiesi a mia sorella di farmi delle foto in bianco e nero. Strano presentimento, forse la mia vita a colori è proprio questa…"
CANTO E TV, FRA DOLORI E SODDISFAZIONI
Sta dedicando gran parte della sua vita a racchette e palline, ma Fabian Mazzei è molto più che un semplice tennista. Un personaggio dalle mille passioni, dalle mille qualità, sul quale si potrebbe scrivere un libro, o forse due, tre. E infatti la sua storia non è passata inosservata, tanto che a Bologna stanno girando un film-documentario sulla sua vita particolare, ricca di soddisfazioni ma anche di periodi difficili. “È divertente – spiega l’azzurro – ogni tanto c’è una persona che mi segue con la telecamera, per riprendere un po’ di quello che faccio. Stanno cercando di analizzare vari periodi della mia vita, e vanno avanti finché c’è materiale”. E di esperienze da raccontare ce ne sono tante, legate agli argomenti più svariati. Uno dei più interessanti è la passione per la musica, in particolar modo per il canto, che l’ha portato addirittura a sfiorare la partecipazione al Festival di Sanremo, sezione giovani. “Era il 1995 e vinsi tutte le selezioni. Poi però mi dissero che in carrozzina c’era già Pierangelo Bertoli, facendomi capire che due sedie a rotelle erano troppe. La cosa mi ferì parecchio, in quanto arrivare sino a lì era stato molto difficile, perché a solo un anno dall’incidente il trauma era ancora vivo, e avevo la paranoia di farmi vedere in giro in carrozzina. In quell’occasione ho capito che il mondo della televisione è un mondo di apparenza, dove non conta la bravura ma solo l’immagine, perché io ero stato scelto dal pubblico”. Malgrado la delusione, però, Fabian ha deciso di non abbandonare la sua grande passione, e con gli anni ha perfezionato le doti canore, sino a incidere un disco nel 2006, dal titolo Voglio Vivere. “È andata bene, il cd ha veduto 5mila copie, ma purtroppo l’ho fatto con la persona sbagliata, che si è tenuta tutti i soldi. Ennesima conferma di come il mondo dello spettacolo sia pieno di ‘squali’, di gente pronta a sfruttarti come una macchina da soldi per poi fregarsene di te. Io accanto a me voglio persone vere, che siano uomini dentro, non solo all’apparenza”. Ma che genere di cantante è Fabian Mazzei? “Mi piace cantare un po’ di tutto, dalla lirica al rock, da Pavarotti ai Queen, passando per Muse e Radiohead. Però penso di essere predisposto per la lirica”. E infatti proprio dalla lirica è arrivata una delle sue maggiori soddisfazioni musicali, coincisa con la festa per i 100 anni della Fit. “In quell’occasione ho cantato il ‘Nessun dorma’ prima di Andrea Bocelli – racconta Fabian – ed è stato davvero piacevole. Prima dell’esibizione ho avuto due mesi di stress, ansia da prova e paura di sbagliare, ma è andata bene. Ho ricevuto quattro applausi durante il pezzo, e in tanti sono venuti a dirmi che sono meglio come cantante che come tennista”. Ma per dedicarsi al cento per cento al tennis ha dovuto abbandonare anche le lezioni di canto, e si sta pian piano allontanando dalla musica. “In questo momento non provo più le emozioni che avevo un tempo. Non ascolto più tanta musica, e ho anche abbandonato pianoforte e chitarra. Ho bisogno di stimoli, se canto è perché voglio fare qualcosa di importante, ma visto che quel mondo non mi emoziona non ho una grossa spinta in quella direzione”.
"Desideravo tornare a fare sport più di ogni altra cosa, perché sono uno sportivo, ed è nello sport che trovo la mia realizzazione…"
I VIAGGI, AMORE CHE PUÒ DIVENTARE ODIO
Tra le sue tante passioni trovano un posto di primaria importanza anche i viaggi, l’avventura, il desiderio di scoprire ogni angolo del Pianeta. “La vita del tennista permette di visitare un sacco di posti, ma difficilmente durante un torneo si ha il tempo per fare i turisti. Così ogni volta che posso prendo e me ne vado”. Ha girato il mondo una manciata di volte, ma la sua fame geografica non si è ancora saziata. “Mi piacerebbe tanto andare in India, ho sentito dire da molte persone che in mezzo alle montagna indiane c’è un’atmosfera unica. Un altro posto che mi affascina è il Tibet, però immagino sia poco accessibile per una carrozzina”. Ama viaggiare, ma allo stesso tempo proprio la troppa assenza dalla sua casa di Granarolo (poco fuori Bologna) ha rischiato di portarlo a dire basta con racchette e palline. “Il tennis è un grande sentimento, e perciò all’improvviso lo si può anche odiare. Quella del tennista tante volte è una vita in solitudine, fra aerei, alberghi e campi da tennis. Non si riesce a costruire grandi rapporti a livello umano, e per questo varie volte ho desiderato una vita più tranquilla, ma la passione mi ha sempre spinto ad andare avanti. Nel 2007 ero ad un passo dal mollare tutto, ma l’incontro con Alberto Setti (suo attuale coach presso il Cus di Bologna e allenatore della nazionale, ndr), è stato fondamentale. Era uno dei miei maestri prima dell’incidente, e il suo modo di insegnare mi ha dato tanti nuovi stimoli, spingendomi a cercare sempre qualcosa da migliorare”. Proprio durante un viaggio è accaduto anche uno degli episodi più bui della sua vita, ma che gli ha dato tanta forza per rialzarsi. “Ero in vacanza in Australia, dove mi sono rifugiato per dimenticare una storia d’amore finita male. Erano stati quattro anni e mezzo sfiancanti, con tanti litigi e un matrimonio pazzo a Las Vegas. Io ero in depressione, ero davvero arrivato al fondo, e il mio cuore non ha retto. Si è fermato per quaranta secondi e mi sono accasciato a terra, fuori da casa. Per fortuna c’era nei paraggi un’infermiera che mi ha subito soccorso e ha chiamato l’ambulanza, e non ho avuto nessuna conseguenza. In quei quaranta secondi ho visto una luce fortissima, e poi tante scene strane, non del tutto chiare. Sono momenti che lasciano il segno”.
"In tanti mi chiedono di provare ad andare alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016, ma non so cosa farò nei prossimi quattro anni…"
IL SOCIALE: ESPERIENZA UNICA
Oltre ad averlo reso un atleta eccezionale, e a non avergli tolto la possibilità di dedicarsi alle sue passioni, l’incidente l’ha anche reso un uomo migliore, come Fabian stesso racconta. “Il mondo purtroppo è legato a cose materiali, a situazioni che non fanno crescere, mentre il dolore a volte aiuta. La vita è una ruota che gira: un giorno va bene, un giorno va male. E può andare male a tutti. Tanti non se ne rendono conto, si credono invincibili, etichettano gli altri come ‘sfigati’. Io a 20 anni ero già una persona molto sensibile, ma purtroppo anche un po’ superficiale. Qualche mese prima del mio incidente ero in discoteca, quando passò un ragazzo in carrozzina. Ricordo che dissi a un mio amico “ma questo che cosa ci viene a fare in discoteca? Non può camminare, non può ballare”. Certo, allora avevo vent’anni, mentre adesso ne ho quaranta, ma è la dimostrazione che grazie all’incidente ho capito parecchie cose, scoprendo tanti valori della vita”. Ed è proprio per questo che ha deciso di spendere tempo ed energie nel sociale, portando la propria esperienza ai pazienti del Montecatone Rehabilitation Institute, noto centro imolese che si occupa del trattamento di lesioni midollari in fase acuta e post-acuta, e di quello delle gravi cerebrolesioni acquisite. “Nell’ultimo periodo non ci sono potuto andare per mancanza di tempo, ma aver lavorato dieci anni con ragazzi reduci da gravi lesioni è stata un’esperienza che mi ha dato tantissimo. Dover trasmettere la voglia di vivere a gente che nello stesso incidente ha magari perso i propri cari è una cosa unica, veramente difficile. In quel momento non mi interessava che imparassero a giocare a tennis, ma che ritrovassero gli stimoli per andare avanti. Sono felice, perché so di essere contato qualcosa per molte persone”.
E NEL FUTURO CHISSÀ…
Un altro degli obiettivi accantonati per dedicarsi al tennis è quello di iscriversi a un’accademia della lirica. “Mi piacerebbe, ma non ne ho il tempo. Un giorno spero di riuscirci, come spero di aver la possibilità di studiare filosofia. Nella vita mi sono ispirato alle tante esperienza vissute, e per questo trovo che la vita sia una filosofia. Quando parlo con le persone mi accorgo che queste mi ascoltano, quindi si capisce che sono uno che ne ha passate tante”. Sa bene quel che ha vissuto, ma non vuole sapere cosa lo aspetta. “Cerco di vivere il presente, senza guardare troppo avanti. In tanti mi chiedono di provare ad andare alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016, ma sinceramente non so cosa farò nei prossimi quattro anni. Manca ancora tanto tempo, e preferisco andare avanti giorno per giorno, senza pormi obiettivi a lungo termine”. Non vuole sentir parlare di futuro, insomma. Ma una cosa è certa: se un giorno deciderà di voltarsi indietro troverà tante gioie e poco di cui rammaricarsi, e potrà continuare a sorridere. Perché la sua battaglia l’ha vinta da un pezzo, diventando un campione nella vita, ancor prima che sul campo da tennis.