Pete Sampras è stato inserito in una lista degli atleti più “noiosi” di sempre. Una valutazione ingenerosa, crudele, contro un campione che aveva un tennis fantastico e ha mostrato doti morali e agonistiche fuori dal comune. Ecco perché le argomentazioni di Deadspin non sono condivisibili… e i motivi per rivalutarlo.

Un paio di uscite, più ingenue che infelici, hanno contribuito a una percezione scorretta – se non distorta – della carriera di Pete Sampras. Deadspin è un sito americano molto seguito e ha una rubrica dedicata al dialogo con i lettori. Se ne occupa Drew Magary, giornalista di un certo livello. Per intenderci, ha scritto per testate importanti come GQ, Maxim, Rolling Stone, ESPN, Yahoo, Comedy Central e altre. Un lettore gli ha chiesto di individuare gli atleti più noiosi di tutti i tempi. La domanda era specifica: non si riferiva alla personalità ma allo stile di gioco. “Atleti senza stile o che rendono le partite noiose da vedere, ma brutalmente efficaci”. Magary ne ha individuati diciannove: il secondo a venirgli in mente (dopo il cestista Patrick Ewing) è stato proprio Pete Sampras. Diciamo che Pistol Pete non era un personaggio troppo brillante, proprio in virtù di alcune uscite così così. La leggenda sostiene che una volta disse a DeLaina Mulcahy, sua fidanzata nei primi anni di carriera: “Non farmi più una cosa del genere!” dopo che lo aveva portato a fare una visita a Louvre. È passata alla storia una sua frase in una conferenza stampa a Francoforte, durante un'edizione delle ATP Finals (che peraltro vinceva spesso): ammise candidamente di non conoscere Johann Wolfgang von Goethe. Raramente diceva cose interessanti, sostenendo che preferiva “lasciar parlare la racchetta”. Però – soprattutto in virtù della tipologia della domanda – è crudele considerarlo “noioso”. Ma quali sono le argomentazioni di Magary? “Tutti si sono lamentati del dominio meccanico di Pete Sampras quando collezionava titoli. E indovina? Tutto avevano ragione. Non c'è una storia di revisione per Pete Sampras. Non c'è modo di voltarsi indietro e apprezzare il suo massacro di serve and volley. Torniamo a quando si poteva vedere un suo match contro Goran Ivanisevic e nessuno tirava un dritto per un'ora intera. No, grazie”. L'affermazione è tanto superficiale quando condizionata da pregiudizi. E allora, perché non inserire in questa graduatoria Andy Roddick, il cui tennis era decisamente più “noioso”? Forse perché era brillante nelle conferenze stampa e sapeva gestire le pubbliche relazioni?

QUELLE VITTORIE EPICHE
Sampras era tanto noioso fuori dal campo quanto entusiasmante quando impugnava la sua Pro Staff da quasi quattro etti. E aveva doti morali importanti, nascoste da quell'aria un po' naif e lo sguardo perso nel vuoto. Ci sono episodi che lo dimostrano. È stata forse noiosa la finale di Coppa Davis 1995? Quell'anno, lui e il suo rivale Andre Agassi fecero un patto d'acciaio: avrebbero cercato di vincere l'Insalatiera. Agassi si fece male prima della finale a Mosca, ma Pete non venne meno all'impegno. Giocò una partita straordinaria contro Andrei Chesnokov, su un campo ridotto a pantano, laddove due mesi prima ci aveva rimesso le penne Michael Stich. Vinse in cinque set, privo di energie. Lo portarono fuori a braccia, senza neanche la stretta di mano all'avversario. D'altra parte, Pete ha convissuto per tutta la carriera con una forma di anemia che non lo ha certo aiutato. Ma quel weekend decise di dare tutto. Tornò in campo il giorno dopo, in doppio con Todd Martin, e vinse. Vinse anche alla domenica, contro Kafelnikov, regalando agli Stati Uniti una delle Davis più belle della storia. Molti giocatori di oggi, dal ritiro e dalla scusa facile, avrebbero fatto i capricci per il solo forfait del proprio compagno di squadra. Lui non fece una piega e fu epico. Purtroppo per lui, dieci anni prima avevano girato Rocky IV. Al ritorno in patria, nella finzione cinematografica, il pugile impersonato da Sylvester Stallone fu accolto con tutti gli onori. Sampras aveva trasportato nella realtà l'impresa del “buono” americano a casa del “cattivo” russo (non più sovietico) e sperava che il successo avrebbe avuto più risonanza. Invece arrivò negli States e nessuno lo considerò, come se non fosse successo nulla. Ci rimase talmente male da mettere in un angolo la Davis per il resto della carriera. Pete Sampras era un essere umano, non si nascondeva. Come allo Us Open 1996, quarti di finale, contro Alex Corretja. Non stava bene, e il vomito nel corso del match ce lo raccontò con crudeltà. Nonostante abbia rigettato le ultime tre cene sul Decoturf, si buttava a rete su ogni palla e la spuntò 7-6 al quinto, con tanto di matchpoint annullato. Quel vomito, tanto sgradevole alla vista, fu simbolo di epicità: nonostante una reazione fisica che non poteva in nessun modo controllare, riuscì a restare in campo e vincere la partita. Già che c'era, vinse il torneo. Noia? No, emozioni pure.

LA RIVALITÀ CON AGASSI
Come quelle che ci ha regalato durante un match contro Jim Courier, in Australia. Sapeva che il suo storico coach, Tim Gulllikson, stava combattendo tra la vita e la morte. Uno spettatore gli gridò di “farlo per Tim” e lui alternò lacrime a ace, fino a vincere. E vogliamo parlare della rivalità con Andre Agassi? L'altro era più personaggio, più divertente di lui. Eppure Sampras non ha ma patito il gap di personalità ed è uscito sostanzialmente vincitore, non soltanto perché ha vinto 20 scontri diretti su 34 e ha raccolto quattordici Slam a otto. Ha vinto perché non si è fatto condizionare da un avversario che ha provato in tutti i modi a trasportare la rivalità in un contesto diverso. Fuori dal campo ha vinto Agassi (la differenza di qualità delle due biografie è imbarazzante), ma a Pete interessava il tennis. D'altra parte, era “The Tennis Guy”, come lo avevano soprannominato da adolescente. A differenza di Agassi, ha chiuso la carriera con un grande successo (Us Open 2002), peraltro in finale contro l'avversario di sempre. Contro Agassi ha giocato lo scambio più bello degli anni 90 (e lo ha vinto), contro Agassi ha giocato uno dei match più belli di sempre (quarti allo Us Open 2001, vinto) e da Agassi non si è mai fatto mettere i piedi in testa, come qualche anno fa: durante un'esibizione a Indian Wells, Andre ironizzò sul suo essere tirchio (riportando alcuni stralci del suo “Open”): Pete non la prese bene e gli scagliò addosso un servizio a 200 km/h. Pessimo gesto, ma come si fa a definirlo noioso? E del suo tennis ne vogliamo parlare? Il dritto è uno dei più belli ed efficaci che si siano mai visti. La soluzione incrociata, in corsa, era un capolavoro. Il servizio un'arma impropria, la difesa della rete era da felino. Anche la relativa debolezza del rovescio, paradossalmente, lo ha reso ancora più entusiasmante perché vulnerabile. Ogni volta che andava al Roland Garros (unico grande torneo che non ha saputo vincere) era affascinante vederlo, nel tentativo – sempre fallito – di decifrare la terra battuta, di trovare un modo per battere gli specialisti. Perché all'epoca le superfici non erano omologate come oggi, e Sampras doveva adattarsi. Mica come i campioni di oggi, che possono giocare allo stesso modo su ogni tipo di campo. E allora no, Pete Sampras non era noioso. Lo era come personaggio, ma il giocatore ha lasciato un'eredità straordinaria. Avesse giocato nell'epoca di Youtube e dei social network, lo avremmo apprezzato di più. Fa nulla. Però definirlo “noioso” è veramente troppo. Deadspin ha usato la foto qui sotto come simbolo negativo. Noi crediamo che possa essere l'espressione di Sampras dopo aver letto certe cose.