. Era volato in Russia per sostenere la sua Argentina nella finale di Coppa Davis. Confidava in Nalbandian e compagni, invece il sognò si arenò sulle lacrime di Josè Acasuso. Lacrime che si raggiungero anche il volto di Sergio (si chiama così, il nostro), ottimo professionista nel settore dell’informatica che aveva trovato lavoro in Italia. Più esattamente, a Trieste. Come ogni argentino che si rispetti, Sergio è un fanatico di sport e coglieva ogni occasione per seguire la nazionale in ogni trasferta europea. E aveva grande nostalgia della sua Corrientes, tranquilla cittadina a 50 chilometri dal confine con il Paraguay, dove era nato e cresciuto. Chiunque ha conosciuto Sergio avrà pensato a lui quando Leonardo Mayer, lo Yacaré di Corrientes, ha regalato all’Argentina la quinta finale della sua storia. A maggior ragione quando Leo, intervistato da Annabel Croft (e con l’ausilio di una traduttrice) è scoppiato a piangere. Lacrime che hanno impiegato dieci anni per diventare di gioia. Il traguardo più ambito, ‘sta benedetta Coppa Davis, non è ancora afferrato. Però l’Argentina continua a volteggiarle intorno e lo fa grazie a un eccezionale spirito di squadra. A Pesaro, due dei tre punti erano arrivati da Federico Delbonis. A Glasgow, il bottino si è equamente spartito tra Juan Martin Del Potro, Guido Pella e Leonardo Mayer. Per l’amor del cielo, il successo di Del Potro su Murray è il classico “puntone” che ha rovesciato la sfida, ma i numeri non hanno cuore e si limitano a registrare. Ma c’è tanto significato nel successo di Leonardo Mayer, il 29enne che non riesce a imparare l’inglese e odia viaggiare, ma che secondo l’amico Carlos Berlocq ha un cannone al posto del braccio. Lo ha dimostrato nel drammatico match contro Daniel Evans, dopo che Murray aveva disposto di Pella e portato la Gran Bretagna sul 2-2. Ha perso il primo set, travolto dalla tensione, ma poi ha giocato il miglior tennis della sua vita. “Non mi costava giocare a tennis” dice lo Yacarè ripensando all’infanzia. Usano questa frase, gli argentini, per dire che hanno talento. E ce ne vuole parecchio per cedere la miseria di 11 punti al servizio negli ultimi tre set. Con questi numeri da bombardiere, Leonardo Mayer ha fissato il 4-6 6-3 6-2 6-4 che spinge l’Argentina in finale.
IL LAGO DI COMO MEGLIO DELLO US OPEN
La vittoria più bella è arrivata nell’anno più difficile, in cui ha dovuto rinunciare alle Olimpiadi per la seconda volta. Dopo aver saltato Londra 2012, aveva fissato Rio come obiettivo principale. In quattro anni, il suo ranking gli avrebbe tranquillamente consentito la qualificazione. Ma è crollato a poche settimane dal traguardo a causa di un problema alla schiena che da marzo in poi non l’ha lasciato in pace. “Il dolore andava e veniva, mi faceva male soprattutto quando tiravo servizio e dritto. Ho chiesto al mio corpo più del dovuto perché c’erano i Giochi. Il momento peggiore l’ho vissuto a Parigi, quando mi sono reso conto che non avrei giocato le Olimpiadi”. Uscito dai primi 100, si è preso un mese e mezzo di pausa e poi ha giocato qualche Challenger in Italia, vincendo la tappa di Manerbio. Niente Us Open, per lui. Mentre Daniel Evans faceva il fenomeno contro Wawrinka e per poco non lo batteva, Leo era sulle rive del Lago di Como. Però capitan Orsanic lo ha sempre tenuto in considerazione: conosce il suo record in Davis e sapeva che da lui avrebbe avuto il massimo. Sempre. E non ha avuto dubbi sul giocatore da schierare quando il corpo di Del Potro è andato in riserva. Qui è opportuno aprire una parentesi: tanti hanno criticato la scelta di Daniel Orsanic per aver schierato Delpo in doppio e non sul 2-2. Pensate che si beva un fiasco di vino prima di ogni riunione tecnica? O che ritenga Mayer più forte di Del Potro? Ovviamente no: già venerdì sera, dopo le 5 ore contro Murray, gli argentini avevano deciso: l’autonomia di Del Potro era al lumicino. Meglio schierarlo in doppio, dove si fatica di meno, e lasciare spazio a un altro in singolare. Era tutto stabilito, tutto concordato, dopo aver ascoltato il parere del giocatore e del fisioterapista Diego Rodriguez, che lo segue settimana dopo settimana.
E così è via libera a Leonardo Mayer, l’uomo che ha pianto sul campo da tennis ma ha gioito fuori. Qualche settimana fa, lui e la moglie Milagros hanno scoperto di aspettare un bambino. La nascita del piccolo Valentino Mayer è prevista il prossimo 30 gennaio. Per questo motivo non andrà in Australia, allungando la preparazione e iniziando il 2017 dai tornei sudamericani. “Mio figlio diventerà la priorità assoluta, il resto passerà in secondo piano”. Ma da qui ai prossimi 25-27 novembre, la priorità sarà la Croazia, la finale di Davis, la quinta per l’Argentina ma la prima per Leonardo. “Non so cosa mi succeda in questa competizione, ma gioco sempre al massimo”. Forse perché viene coccolato e gli sembra di sentirsi a casa, lui che ha sofferto maledettamente il distacco dalla sua Corrientes. Prima quando si è spostato a Buenos Aires, all’età di 19 anni. “A Corrientes stavo bene perché il ritmo e lo stile di vita consentivano di allenarsi molto, mentre in una grande città si perde molto tempo per andare da un posto all’altro e questo mi rendeva nervoso”. E poi era lontano dal suo adorato fiume Paranà, dove da anni si dedica alla sua più grande passione: la pesca. E’ quasi un ossessione, passerebbe giornate intere ad aspettare che un pesce abbocchi. “Se esistesse un tour mondiale della pesca credo che parteciperei, ma solo se si potesse viaggiare in Argentina. Preferisco non prendere l’aereo, ho paura”. Il suo lavoro lo obbliga a prenderne parecchi, ma in Europa non è raro vedergli noleggiare una macchina per spostarsi da un torneo all’altro. L’aereo no, proprio non gli piace. Sarebbe forte, in un tour di esche e canne: anni fa, insieme al fratello, pescò un “dorado” di 14-15 chili. Ride di gusto, quando ne parla. Ma presso la Emirates Arena di Glasgow, nella sua rete c’è finito Dan Evans. Si pensava che lo stato di forma del britannico, unito alle condizioni ambientali decisamente favorevoli, offrissero quantomeno un match equilibrato. Invece Leonardo ha avuto bisogno di un set per mettere a punto i colpi, poi ha letteralmente dominato. Le sue aperture così ampie, in teoria non ideali per un campo rapido, si sono adattate ai rimbalzi e hanno disegnato traiettorie dolci, ma a una violenza inaudita. Non ha mai tremato, sembrava un veterano, super-abituato a giocare certe partite. Per un giorno, l’Argentina è ai suoi piedi. Anche Sergio, l’ingegnere informatico che aveva studiato a Bologna e aveva trovato lavoro a Trieste. L’uomo che sostava, desolato, nella sala d’attesa di Sheremetyevo. Oggi quell’uomo ha una famiglia, un figlio, e ha coronato il suo sogno: è tornato a vivere a Corrientes, dove era nato e cresciuto, grazie a un ottimo lavoro trovato presso l’Università de la Cuenca del Plata. Magari un giorno, quando anche Leo tornerà a casa, i due si incontreranno. E Sergio gli racconterà questa storia. Ci voleva un correntino per lavare via la delusione di 10 anni prima e tramutarla in gioia.
COPPA DAVIS – SEMIFINALE
GRAN BRETAGNA – ARGENTINA 2-3
Andy Murray (GBR) b. Guido Pella (ARG) 6-3 6-2 6-3
Leonardo Mayer (ARG) b. Daniel Evans (GBR) 4-6 6-3 6-2 6-4