L'INTERVISTA – Michelangelo Dell'Edera è stato il primo a intuire le potenzialità di Roberta Vinci e Flavia Pennetta: le ha seguite nei delicati anni junior e ha contribuito a forgiarne lo stile. "Meriti? Lo 0,0001%. Quando Flavia aveva 13 anni, dissero che non sarebbe diventata una tennista…” 

Quella foto è una benedizione. In questi giorni ha ripreso a circolare una vecchia immagine in cui Michelangelo Dell'Edera sorride insieme a Flavia Pennetta e Roberta Vinci. Frangetta e look da maschiaccio per Flavia, sorriso già gaudente per Roberta. L'attuale direttore dell'Istituto Superiore di Formazione “Roberto Lombardi” è stato il primo a intuire le potenzialità di due bambine che oggi gocheranno la prima finale Slam tutta italiana da quando il maggiore Walter Clopton Wingfield brevettò il Lawn Tennis. A poco più di un'ora dalla vittoria della Vinci contro Serena Williams, quante chiamate ha ricevuto? “Diciamo una quarantina di telefonate e un centinaio di messaggi”. In fondo è un piacere cogliere i frutti di un lavoro svolto venti anni fa, in una regione importante ma senza grosse risorse, in primis economiche. Quando non lo conosceva nessuno, anni fa, leggemmo un articolo in cui si diceva così: “In Puglia, senza grandi mezzi, sta svolgendo un grande lavoro Michelangelo Dell'Edera”. Il nome dell'autore vi stupirebbe. Oggi sta provando a diffondere su scala nazionale il piccolo miracolo pugliese, nell'ambizioso tentativo di creare un “Sistema Italia”. Ma è tempo di guardarsi indietro, almeno per una sera.

 

Dell'Edera, ricorda il primo incontro con Pennetta e Vinci?

Sicuro. Roberta aveva otto anni e mezzo, me la portò papà Angelo al centro tecnico di Galatina. Ci giocai circa 45 minuti e mi sorprese la facilità con cui gestiva attrezzo e racchetta. Sapeva fare tutto, aveva grandi qualità di coordinazione. Capii subito le sue potenzialità: non è un caso che da junior abbia vinto tutto. Flavia la conobbi a Bari, nel corso di un raduno tecnico regionale in un centro denominato “Bari Olympic Center” presso la sede del CONI regionale. L'obiettivo era proprio quello d individuare giovani talenti. Si trattava di una scuola prototipo in cui ragazzi venivano con una certa sistematicità per effettuare verifiche periodiche.

 

Una descrizione che somiglia parecchio a quello che state provando a fare oggi a livello nazionale…

Vero. Stiamo lavorando duro per costruire un Sistema Italia, ovvero strategie condivise da diverse componenti: organizzative, dirigenziali, familiari. Abbiamo obiettivi a lungo termine, non vogliamo creare campioni junior ma mettere i ragazzi nelle condizioni ideali per appassionarsi al loro sport. La formazione non deve essere un punto d'arrivo: con Roberta e Flavia, credetemi, non abbiamo mai pensato ai risultati immediati. Per noi non erano importanti, ciò che contava era l'obiettivo finale.

 

Quando ha capito che sarebbero diventate campionesse?

In Puglia c'era un consigliere nazionale, Franco Costantino, responsabile del settore femminile. A 12 anni e mezzo si decise di convocare Roberta presso il Centro Tecnico di Roma, diretto da Vittorio Magnelli e Claudio Galoppini. Per la prima volta nella storia della FIT, si mandò al Centro una ragazzina che doveva fare ancora la terza media, con tutti i problemi che avrebbe comportato. Ma dopo attente valutazioni decidemmo di farlo ugualmente. Questo fa capire quanto ci credessimo. Al contrario, Flavia non fu molto considerata fino ai 14 anni perché vinceva poco. La sua prima partita “vera” la vinse a Messina contro Giulia Meruzzi, tra le migliori dell'epoca, con un punteggio strano: 2-6 6-1 6-0 o qualcosa del genere. Fu convocata a Roma al secondo anno di under 16 e vinse subito i campionati nazionali a Cagliari, battendo in finale Anna Floris.

 

Sia onesto: pensava che sarebbero arrivate così lontano?

No, non lo pensavo. Conoscevo perfettamente le loro capacità, ma il percorso è lungo e tortuoso. A quell'età è impossibile fare programmi sul lungo termine. Bisogna navigare a vista e pensare alla quotidianità, impostando un lavoro di grande qualità. Non le dirò chi, ma quando Flavia aveva 13 anni qualcuno disse che non sarebbe mai diventata una tennista.

 

Il ricordo più più piacevole di quegli anni?

Riguarda per entrambe la Coppa delle Regioni. Giocavamo a Palermo, contro la rappresentativa dell'Umbria, e Roberta era impegnata contro una ragazza di nome Cribellati, una montagna, una piccola Serena Williams. Roby soffriva la sua fisicità e perse il primo set. Al cambio di campo le chiesi se si stava divertendo e mi disse di no. “E cosa vorresti fare per divertirti?”. Mi disse che le sarebbe piaciuto battere e scendere a rete : la incitai a fare quello che le piaceva. I due set successivi terminarono in 40 minuti. Sempre a Palermo, Flavia giocò un match di grande qualità contro Emily Stellato, una delle più forti italiane dell'epoca, un punto di riferimento per tutte. Perse in tre set ma mostrò per la prima volta margini di crescita importanti. Di quella nidiata mi fa piacere ricordare un'altra ragazza che aveva esattamente le loro stesse potenzialità. Si chiama Valentina Imperio e purtroppo ha smesso a 17-18 anni.

 

Se 20 anni fa avesse dovuto scommettere su una delle due, chi avrebbe scelto?

Feci una scommessa con il ragionier Costantino e mi spiace che lui non possa raccontarla. Roberta era la più seguita, un piccolo fenomeno, ma gli dissi che c'era una ragazza forte quanto lei: Flavia Pennetta. Non ci voleva credere, ma anni dopo mi disse che avevo avuto ragione. Hanno avuto percorsi diversi ma entrambi “giusti”. Roby ha iniziato prestissimo, a 12-13 anni, infatti a 23 mi confidò che avrebbe voluto smettere, era stanca di girare. Flavia ha iniziato più tardi, ma in entrambi i casi sono state impostate come giocatrici a tutto campo, capaci di esprimersi con facilità in ogni zona. A livello under capita spesso che ci sia una specializzazione precoce: noi, al contrario, ci siamo preoccupati di costruire giocatrici complete. Pensi che io sgonfiai alcune palline con un ago per aiutarle a imparare lo schiaffo al volo. Furono le antesignane delle palle depressurizzate che ci sono oggi.

 

Quanto c'è di Michelangelo Dell'Edera nella finale dello Us Open 2015?

Uno 0,0000001% forse c'è. E' il frutto della mia passione ma anche dei maestri che le hanno iniziate al tennis per primi: Davide di Roma a Taranto con Roberta ed Elvy Intiglietta a Brindisi con Flavia (sua zia, ndr). Ci hanno messo passione e competenza.

 

Cosa sta facendo l'Istituto Superiore di Formazione per fare in modo che questo patrimonio non vada perduto?

Vogliamo portare l'ISF e il Settore Tecnico ad avere sinergie sempre più importanti. Io credo che per avere allievi talentuosi ci vogliano insegnanti altrettanto talentuosi. Le cose devono andare di pari passo: credo sia molto importante la scelta del Consiglio e del presidente Binaghi di lasciare all'ISF la responsabilità degli Under 16 per consentire a ragazzi e insegnanti di crescere insieme. Obiettivo? Creare i presupposti avere più ragazzi possibile, non solo 4-5 per annata, da lanciare nel professionismo intorno ai 17-18-19 anni. E' un progetto a lungo termine ma siamo molto ottimisti.